La libreria di Thomas, a Livigno (SO) |
Fra le tante, piacevoli conseguenze del nostro post di venerdì scorso, quella che più ci ha rallegrato e anche un po' inorgoglito è questo lungo messaggio di un libraio periferico e isolato, ma per nulla fuori dal mondo. Con un sentito ringraziamento e l'invito a continuare la nostra conversazione.
[di Thomas Ruberto]
Sono un libraio (non ho nessun attestato, solo una piccola libreria da gestire) e spero di dare un contributo a una discussione davvero intelligente che credo abbia toccato tutti i temi che riguardano il mondo dei libri. E per dare un contributo, vorrei parlare della nostra esperienza e di come intendiamo evolverci (magari anche per dare una spintarella a chi vuole aprire una nuova libreria), e naturalmente dire la mia su quello che ho letto nei vari commenti.
Cinque anni fa abbiamo deciso (io e mia madre) di provare a destinare ai libri uno spazio di 20 mq nel negozio di famiglia (con mille dubbi di mia madre, commerciante da trent'anni).
Passo indietro: vivo in un piccolo paese di montagna a fortissima vocazione turistica, estremo nord Italia, 6mila abitanti. Prima della nostra non esistevano librerie in paese, tanto che quando si è sparsa la voce della (minuscola) imminente apertura, la sorpresa sui volti dei compaesani è durata almeno un anno, più o meno il periodo di vita che ci davano. Non esistevano librerie prima della nostra, dicevo, così a chi ancora oggi mi chiede come vanno gli affari (sempre con annessa sorpresa sul volto), io rispondo che la sorpresa non deve stare nel fatto che la nostra libreria funzioni, ma che prima non ce ne fossero in paese. Io stesso, dopo aver finito l'università ed essere tornato all'ovile, potevo acquistare libri solo sul web (in formato cartaceo, parlo di 6 anni fa).
Avevamo deciso di provare a dare un'opportunità ai libri, vista la nostra passione per la lettura e la scrittura, ma per farlo non potevamo buttare tutto il lavoro precedente e stravolgere un negozio per quello che in fondo poteva rivelarsi un azzardo: così 20 mq e un investimento iniziale minimo ci erano sembrati ideali per la nostra prova. Io ero convinto delle potenzialità dei libri nel mio paese, dovevo solo toccare con mano le risposte dei lettori-clienti.
Tre anni dopo, nell'estate 2011, abbiamo ristrutturato l'intero negozio: la libreria è triplicata fino a occupare 60 mq al piano terra, gli altri articoli (borse e accessori) li abbiamo trasferiti al piano interrato in circa 30 mq. La libreria ha continuato ad avere successo, a conquistare lettori e credibilità, a incrementare le vendite. L'opportunità che avevamo dato ai libri si è rivelata un'opportunità per noi, e oggi possiamo dire di esserci consolidati. Per questo abbiamo deciso che, entro fine anno, la libreria si estenderà al piano interrato. Elimineremo il reparto borse e accessori (qui sì che la crisi di vendite è forte) e punteremo ancora sui libri (dove la crisi c'è ma è meno marcata).
Siamo però convinti che i libri da soli non bastino. Noi proporremo ancora di più una scelta di non-book di qualità (non scopriamo nulla di nuovo, e qui forse Diletta non sarà d'accordo con noi) e, vicino alla scelta di libri di cucina che vogliamo incrementare introdurremo i migliori prodotti del territorio (anche qui non scopriamo nulla di nuovo, e qui forse Diletta ci darà dei banalotti). Un'offerta che, crediamo, possa rendere ancora più piacevole la scelta di un libro, in un ambiente accogliente e originale (per ciò che riguarda la nostra provincia). Credo sia lo stesso concetto seguito da Spazio B**K, solo che ogni persona mette se stessa nel proprio progetto, la propria sensibilità, le proprie intuizioni, sempre con la consapevolezza che il tutto deve essere funzionale al luogo in cui si vive, al tipo di lettore che frequenta la libreria e all'evoluzione del mercato (prima locale, poi nazionale, poi mondiale).
Sono rimasto affascinato dalla libreria ideale di Anna, descritta nel suo primo commento : potrebbe essere anche la mia libreria ideale e di molti altri, sono convinto. Ma non sono convinto possa funzionare davvero, almeno in Italia (con l'eccezione di poche grosse città). Perché se è vero che l'Italia è fatta di province e cittadine (ed è vero), anche le librerie devono essere fatte a loro misura. Oggi i tempi per una libreria del genere in provincia (almeno nella mia) non sono maturi. Spero lo saranno in un futuro non troppo lontano.
Però la differenza tra libreria “da sogno” e libreria “da realtà” sta soprattutto nel fatto che la seconda è un'attività commerciale, e come per qualsiasi attività anche la libreria è prima di tutto un negozio con un bilancio da far quadrare e con, oltre al lavoro giornaliero di libraio, spese di corrieri e di resi, bollette luce, riscaldamento, telefono e adsl, costi della gestione finanziaria e del conto corrente, pulizie e ordine dell'ambiente eccetera. Tutte cose ovvie, ma a volte è meglio ricordarle, sennò pare che il libraio debba solo pensare ai libri sugli scaffali (o un negoziante alla merce da esporre). Inoltre, la libreria “da sogno” credo non possa essere una piccola libreria, perché a uno o due librai non basterebbero 24 ore per gestire tutto quello di cui parla Anna. E se in Italia si assumono uno o due dipendenti, si aggiungono altri costi (sostenibili?).
Per farla breve (e non ce l'ho con Anna, sia chiaro, perché la sua libreria “da sogno” potrebbe essere un modello da seguire a Milano, Roma, Torino o Parigi), sono convinto che le belle idee, intriganti, stupefacenti e rivoluzionarie siano piuttosto facili da avere. La difficoltà più grande sta nel metterle in pratica e soprattutto nel farle funzionare nel tempo. E, oggi, un libraio, con tutto quello che succede là fuori, deve prima di tutto essere concentrato nel far funzionare la propria idea, giorno dopo giorno, e poter ribaltare piano piano ciò che di sbagliato c'è nel mondo dei libri.
Poi, sulla qualità della produzione che ogni giorno troviamo tra le novità, credo sia già stato detto tutto. Non faccio però parte di quei librai schizzinosi che decidono di non vendere la D'Urso, oppure Brosio, oppure Vespa (una volta ho visto un cartello nella vetrina di una libreria con scritto “Noi non vendiamo i libri di Bruno Vespa”). Come credo sia giusto fare, cerco di dare equilibrio alle proposte, esponendo libri di qualità per i lettori forti e per chi vorrebbe diventarlo, e libri ad alta “vendibilità” per chi non cerca altro. Per fare un esempio, è anche grazie alle centinaia di copie vendute in estate della trilogia delle Sfumature, che dall'autunno all'Epifania abbiamo potuto proporre un bancone al centro della libreria con circa 30/40 romanzi di piccoli editori di qualità.
E poi avete ragione: il pessimismo regna sovrano, ovunque, anche se è chiaro che è difficile stare allegri nella situazione economica attuale e, direi, in quella istituzionale (italiana) degli ultimi decenni. Ma proprio l'aprire e gestire una piccola libreria mi ha insegnato a puntare l'attenzione sugli aspetti positivi e sui punti di forza di un progetto, sul tentare nuove strade calcolando bene i rischi, senza mai restare fermi nella posizione di partenza. Come dice Diletta, provare “a crescere investendo nelle idee, nei progetti di qualità, nelle tecnologie, in un'immagine attraente-seria”. Evolversi, appunto, anche solo nei limiti della piccola libreria, di un budget limitato e delle possibilità dell'intelletto della singola persona che gestisce il tutto.
La mia conclusione potrebbe farmi passare per individualista, ma in realtà non è così: credo nel confronto fra librai ed editori come sta succedendo in questo blog, non credo nell'iscrizione fine a se stessa in qualche associazione di categoria; credo che per evolversi ogni libraio debba prendere spunto da realtà diverse da quelle in cui ha la libreria, non credo nell'omologazione delle librerie e del loro catalogo; credo che il conflitto di interessi nel mondo italiano dei libri sia palese, dove i maggiori editori, distributori, librai lavorano per un'unica società, non credo che la situazione cambierà a breve finché le persone come voi, noi, resteranno in minoranza (ma si lavora per diventare maggioranza); credo nella carta e negli ebook e nella loro convivenza pacifica in libreria, non credo che Amazon e compagnia siano la sola risposta; credo che sia bello uscire di casa ed entrare in una libreria, dove ci sono cose chiamate “scaffali” e sopra ci sono cose chiamate “libri” che si possono addirittura toccare, non credo sia bello se il futuro ci vedrà accendere un computer e fare tutto restando in poltrona; credo a una politica dei prezzi più razionale e a un miglioramento della legge Levi, non credo agli sconti selvaggi di librerie di catena e librerie on-line; credo che un indirizzo web e un social network non saranno mai accoglienti e piacevoli quanto una piccola libreria ben tenuta; credo nei Topipittori e nei piccoli editori seri e capaci (fin dalla nostra apertura abbiamo avuto qualche vostro titolo tra gli scaffali), ma non credo che il settore ragazzi e illustrati sia il punto forte della nostra libreria; credo che il confronto con persone come voi sia fondamentale per un piccolo e ancora poco esperto libraio come me.
La puntata precedente di Riflessioni a margine di una crisi potete leggerla qui. E non mancate di leggere i molti, interessantissimi commenti.
Questa rubrica del nostro blog era cominciata da un lamento di Diletta Colombo: «non ne posso veramente più di analisi povere, stereotipate e vecchie sull'editoria e sul mercato librario.» Una risposta a questo lamento è, secondo noi, quello che scrive Thomas qui sopra. Ci fa bene il suo atteggiamento costruttivo e realista, il suo approccio pratico. Ci fa gioire la sua capacità imprenditoriale, grazie alla quale riesce a far prosperare una libreria in un paese di 6000 abitanti con un certo flusso turistico (ma non siamo a Cortina o Courmayeur).
RispondiEliminaUn atteggiamento, il suo, molto diverso da questo: http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:1955
Una bella testimonianza, grazie.
RispondiEliminaSpero, un giorno (magari vicino) , di portar anche io un contributo simile...
Per, ora, questo di Thomas è un bell'esempio.
Ila
col libraio di montagna, il gusto ci guadagna! E sono di parte. E bravo Thomas, bella energia, piedi per terra e sogni a portata di mano.
RispondiEliminache bello leggere l'esperienza diretta (e positiva, in barba alla crisi) di un imprenditore serio e competente! complimenti per la bella idea e in bocca al lupo per la vostra attività...
RispondiElimina@ Thomas grazie di aver raccolto in modo così intenso e chiaro il mio appello! Bello lo spazio e bello il sito. Evviva!
RispondiEliminaUna precisazione sui non book. Al di là dei gusti personali sul piacere o meno di trovarsi una barattolo di marmellata o una bottiglia di vino alla Z dello scaffale di narrativa, la mia critica sul gadget è riferita al suo uso come UNICA strategia commerciale per compensare il calo delle vendite di carta. Non sono minimamente una purista della libreria, ma anzi per il mix. Ma il mix fatto con intelligenza e gusto, guardando ai margini ma anche allo stile e alla complementarietà delle offerte diverse. Non c'è una regola, ognuno si costruisce anche sul non book la sua proposta, o in stile Mondadori/ Coop Ambasciatori, o in stile B**K (perchè anche noi abbiamo molti articoli non di libri) o come Gogol & Company a Milano, o come Articolo 21 a Bergamo che ha create un intero piano di non book sopra la libreria. La differenza la, come sempre, la capacità di scegliere, di come tenere insieme cose diverse, di quali prodotti scegliere (cioè che tipo di lavoro e di ricerca valorizzare).
Interessante testimonianza, e coraggio da leone, bravo Thomas! E' bello sapere che in tanti condividono queste idee. Vogliamo fare la nostra parte per aumentare quella famosa minoranza e farla diventare maggioranza. Siamo gente di montagna pure noi, e la salita non ci spaventa (a volte anzi è più pericolosa la discesa).
RispondiEliminaCrediamo, e non siamo affatto le prime a farlo, che da cosa nasca cosa. Capita allora che due perfette sconosciute che amano leggere e adorano farlo con e per i bambini un giorno abbiano la fortuna di poter contattare le case editrici italiane più belle dell’editoria specializzata per bambini (Topi docet)e comincino anche a venderli, tali libri. Crediamo nelle case editrici serie, quelle che ti rispondono fino a tardi, quelle che ti telefonano e ti chiamano per nome, quelle che ti dicono “diamoci del tu”.
Crediamo di poter cominciare, anche se il salto è profondo e dall’altra parte non sappiamo cosa troveremo. Crediamo nelle nostra passione e nelle nostre capacità, e crediamo che la condivisione, anche qui, su questo blog, smuova altre passioni ed altre competenze, e crei soprattutto una rete tanto larga da concedere autonomia a ciascuno ma tanto resistente da non far sentire solo nessuno.
Crediamo che i contributi pubblici per la cultura debbano essere distribuiti tra le biblioteche che, ad esempio, in Trentino funzionano benissimo. Conosciamo bibliotecari che “si arrabattano” con quattro soldi, eppure inventano attività e iniziative bellissime per i loro utenti. Non chiediamo soldi pubblici, non vogliamo sconti speciali, e questo non perché siamo ricche o completamente incoscienti, ma perché facciamo una cosa che abbiamo ben ponderato e discusso. Un rischio calcolato, si dice dal punto di vista economico. Perché anche se la testa corre veloce, i piedi sanno rallentare, e adeguarsi al terreno, scegliere le scarpe giuste, fermarsi, se necessario (si capisce che siamo montanare anche noi, no??). Vendiamo libri per bambini, che sono lo strumento fondamentale del nostro lavoro, che scegliamo ogni giorno, con gioia e con stupore, arricciando il naso, e a volte tappandocelo proprio. Lo facciamo perché siamo assolutamente convinte che i libri possano cambiare il mondo, e noi abbiamo bisogno di farli arrivare ai piccoli lettori, questi libri, i libri belli, seri, studiati, pensati da qualcuno che li tratta come fossero suoi cuccioli.
Noi partiamo da qui.
Grazie, B&I
Grazie a tutti, davvero, in particolare ai Topi per aver pubblicato la mia lettera.
RispondiEliminaCredo che fin dall'inizio questa discussione si sta dimostrando capace di trasmettere entusiasmo e coraggio a tutti noi, nonostante le difficoltà.
E le precisazioni di Diletta sul non-book mi fanno pensare e mi danno lo spunto per migliorare le scelte che faremo (è il famoso e fondametale "confronto tra librai ed editori" di cui abbiamo bisogno).
Ciao a tutti, a presto, e un saluto caloroso ai "montanari".
Thomas.
@ Tom ecco, hai sollevato un'altra cosa moooolto interessate: il confronto -serio, approfondito e aperto- tra operatori del settore. I librai tendenzialmente si confrontano per sapere (senza dare troppo nell'occhio) lo sconto che il distributore gli fa, i venduti dell'anno, per mettere in piedi associazioni per difendersi dagli sconti del mercato, per fare siti promozionali. Quasi mai per confronti approfonditi a 360 gradi sul lavoro, i contenuti, le tecniche, le strategie, gli scambi, le analisi/osservazioni. Quello che ci vorrebbe anche tra i librai dovrebbe essere che nasce da relazioni significative e contenuti. Facciamo uno scambio tra centro città e montagna?!
RispondiEliminaops ho dimenticato una parola "una rete che nasce". http://cleio.lafabbricadellezeta.it/ questo progetto sarebbe da esplorare.
RispondiEliminaDiletta, siamo pronti ad ascoltare e partecipare. Il progetto Cleio è interessante, invece tu che scambio avresti in mente?
RispondiEliminaThomas.
Ho da poco letto un saggio di Agamben (L'uomo senza contenuto) sulla storia dell'estetica.
RispondiEliminaSu come sia qualcosa di assolutamente recente nella storia della cultura (1600 circa) la nascita dell'"uomo di gusto", e con lui la nascita di un'arte con la A maiuscola e di un'arte con la a minuscola; anzi, forse dell’arte tout court come la intendiamo oggi.
Prima di questo avvento del buon gusto, l’arte non si differenziava troppo dal prodotto d’artigianato o da qualche elemento prodotto dalla natura, e il suo interesse stava nella capacità di stupire, appassionare, meravigliare, emozionare, informare… (un esempio di questo sono le wunderkammer, che al nostro gusto moderno sarebbero sembrate kitschissime).
Se ho capito bene quello che dice Agamben, sembra che sia proprio la nascita dell’idea di gusto e dell’uomo di gusto (che poi diventa il critico d’arte) che a poco a poco ha allontanato l’arte dai sentimenti: tracciando un solco profondissimo tra arte e pubblico. Arte e sentimenti. Fruitore, critico e artista.
Questa rivincita del gusto popolare, dell’oggetto di cattivo gusto nei book shop dei musei, delle 50 sfumature di grigio… perché non vederla come una rivincita del popolo che vuole riprendersi la sua arte?
Se fosse così, spazi multiformi come quello di Diletta, o gli scaffali ricchi di libri e non-libri di Thomas, potrebbero essere visti come un modo per togliere dalle grinfie delle grosse catene di gadget e dei grossi gruppi editoriali il monopolio di questo bisogno del pubblico.
Forse stiamo per assistere a una nuova riconfigurazione dei ruoli dell’arte, capace di attenuare la frattura tra arte e artigianato, pubblico e arte, tra fruitore, artista e critico.
Se crediamo a quello che dice Agamben, cioè che proprio l’invenzione dell’uomo di gusto ha finito per dare il colpo mortale all’arte, possiamo sperare che da questo rimescolamento delle carte nasca di nuovo un’arte viva, né nazionalpopolare né borghese, solo viva.
Questa discussione, piena di attori svariati, ne è un bell’esempio: non siamo qui per ridefinire quali sono i mestieri, gli spazi e i fini della cultura?
Grazie per questo confronto! Mi siete già tutti molto più simpatici di Amazon. :-)
@ Tom, @ Diletta, @ tutti gli altri: forse la cosa più semplice da fare - se vogliamo parlare di relazioni fra librai, fra librai ed editori, fra editori e librai e distributori e autori e lettori - è incontrarsi. Abbiamo la prima W: Why. Ci mancano le altre quattro: Who; Where; When; What.
RispondiElimina@ Passpartù: da dove partite, sembra proprio un bel posto.
RispondiElimina@ Anna: non ho mai creduto al ruolo progressivo della classe operaia e non credo che il popolo voglia riprendersi la sua arte. Non c'è nulla di rivoluzionario nella paccottiglia da bookshop o da negozio di souvenir. È solo merce che esiste per placare il desiderio di sentirsi vivi attraverso un acquisto, di qualificarsi soddisfacendo un impulso. È, per dirla da economista, un'offerta che crea la propria domanda.
RispondiEliminaSe ci sono dei cambiamenti veri in atto, a mio modo di vedere non passano per questi canali.
Anche tu sei più simpatica di Amazon.
@ Tom Topi and more : il primo congresso multidisciplinare a partire da sguardi veramente comuni?!
RispondiElimina@ Diletta: sei un genio del copywriting: adesso dobbiamo creare una serie a fumetti "Tom Topi and more" e il quel congresso lì. Ma proprio quello.
RispondiElimina"È solo merce che esiste per placare il desiderio di sentirsi vivi attraverso un acquisto, di qualificarsi soddisfacendo un impulso."
RispondiEliminaSì sì è vero, ma perché non si sono sentiti vivi davanti ai quadri, e allora per frustrazione, per il meccanismo del "non so cosa pensare di questo paesaggio allora compro una cartolina e ci scrivo su "il posto è magnifico" (Musil), comprano il gadget.
Li hai visti anche tu nei musei, davanti a capolavori assoluti, con facce da "non so cosa devo pensare, non so cosa devo sentire". E questa mancanza di libertà emotiva davanti a un'opera artistica non è dovuta a mancanza di cultura, al contrario, è dovuta al fatto che il prodotto artistico è stato, nei secoli, trasformato in qualcosa di così prezioso e diverso dalla vita, che solo un critico o una persona colta può permettersi di dire qualcosa su.
Siamo completamente OT, ma per farti capire che non parlo di classe operaia:
un bambino davanti a una statuta di Giacometti sa cosa sentire (se non è troppo tardi), un adulto colto anche, un adulto a cui è stato inculcato che l'arte non è roba per lui, non sa più se ha la legittimità di provare una qualsiasi sentimento spontaneo davanti alla statua di Giacometti.
Allora per consolarlo gli si regala la statuina alla fine del percorso del museo.
Non credo in un'umanità interessata alla merce. Credo in un umanità mal educata alla libertà di sentire e pensare liberamente. Due attività che (qui mi contraddirai ancora) dovrebbero prescindere dall'essere "colti".
Ma chiudo se no andiamo per altre tangenti...
@ Anna. Giacometti significa giocare sporco.
RispondiEliminaGentile Paolo, seguo con interesse il dibattito in corso sul suo blog... In apertura di discussione, ho però colto una sfumatura ironica (o polemica?) a proposito dell'ODEI e del piccolo (a mio parere interessantissimo) pamphlet stilato in occasione di Più Liberi Più Libri. Molto ragionato e ben argomentato, una summa tutt'altro che autocompiaciuta o autocommiserevole dello stato dell'arte. Il volumetto le è peraltro stato consegnato sotto ai miei occhi, proprio da un altro piccolo editore, che viveva in sua prossimità alla fiera... ebbene sì, un proselitismo di prossimità... ma tutt'altro che disprezzabile, direi. A volerne profittare.
RispondiEliminaGentile Daniela Tordi, grazie per l'attenzione con cui segue la conversazione che si sta sviluppando su questo blog (che non è mio personale, ma dei Topipittori). Abbiamo opinioni diverse sul contenuto del pamphlet che una collega amica mi ha donato e invitato a leggere (nella mia ignoranza della sua presenza). Altri contatti con ODEI non ho avuto.
RispondiEliminaMi permetto di ricordarle che "peraltro" è avverbio avversativo e io non ho affermato mai e in alcuna circostanza di non aver ricevuto e letto il pamphlet: devo cogliere anch'io una sfumatura ironica (o polemica)?
Sì, volevo essere un po' polemica Paolo, nel senso che ODEI (di cui non essendo editore non faccio parte e di cui, per inciso, non è detto che io condivida tutte le eventuali iniziative per partito preso) ovviamente si muove anche per passaggi di materiale "brevi manu", a scanso, cioè, di lettere raccomandate... e questo, appunto, credo valga quanto un invito a dare il proprio contributo. Personalmente, ho avuto modo di constatare che giovani editori (editori cioè che cominciano ora a fare un mestiere nobile, coraggioso e difficile... tantopiù in tempi difficili) hanno apprezzato il testo di quel libello, che non svela necessariamente cose nuove (certamente non per lei), ma le elenca in modo sistematico e chiaro, utile per tutti, compresi gli appassionati neofiti come me... Competenza, entusiasmo e grinta sono necessari e lodevoli, ma rimangono "strozzature" di sistema che credo si possano correggere solo unendo le forze (e, perchè no? ipotizzando alternative). E ODEI mi pare voglia essere semplicemente una tra queste, abbastanza chiara nelle premesse e nel modus operandi, per ora fatto prevalentemente di incontri e dibattiti nelle fiere. Infine, per quanto abbia cercato di leggere con attenzione gl'interventi che si sono susseguiti fin qui... non capisco perchè lei divergerebbe dai contenuti del manifesto, che è una una cronaca aggiornata, certamente critica, dell'esistente misurato, poniamo pure, a spanne larghe. Premesso che una voce fuori dal coro farebbe solo bene all'interno di un dibattito che si è appena aperto (o riaperto), voce che credo potrebbe tranquillamente e costruttivamente esprimersi senza bisogno d'inviti formali nelle occasioni che, di sicuro, si ripresenteranno. Almeno spero... perchè - e qui mi taccio - il rischio che io intravvedo è semmai che l'abitudine italica a coltivare ciascuno il proprio orticello possa al dunque prevalere... e anche le migliori intenzioni di pensare e costruire scenari più sereni possano naufragare sotto il peso di pigrizie, o peggio, diffidenze ed elitarismi.
RispondiElimina@ Daniela Tordi: non ho mai chiesto lettere raccomandate, ma un minimo di ufficialità è necessaria. Lei mi dice di dibattiti in occasione di fiere. Io non ne sono mai stato informato né, tantomeno, vi sono stato invitato. ODEI, per me, è una cosa che so esistere ma le cui finalità mi sono oscure, al di là di un libretto del quale non condivido in generale la forma e in alcuni particolari la sostanza. L'esistenza di questo spazio, la sua apertura ai commenti non censurati e ai contributi esterni dovrebbe rassicurarla circa pigrizie, diffidenze ed elitarismi. Che debba cercarli altrove?
RispondiEliminaPaolo, la mia chiosa si riferiva a chi parte lancia in resta e poi si tira indietro... Chi ha più esperienza di me, mi ha raccontato che iniziative analoghe (soprattutto piccole coalizioni volte a migliorare le cose dal punto di vista della distribuzione) sono già nate e morte in un tempi brevi. Io, comunque, di ODEI ho saputo da uno degli editori coinvolti già a Pisa (e a mia volta mi sono sentita di fargli "pubblicità" parlandone con altri, quando mi è capitato). Ho poi visto che un po' di "battage" è avvenuto in rete (e ho ascoltato qualcosa alla radio in un paio di occasioni). Forse dovrebbero muoversi meglio per sfondare la linea Maginot, ma in definitiva il manifesto riporta 76 firmatari e, senza bisogno di rincorrerli, da ora in poi sappiamo chi sono, dove trovarli (fosse pure alla spicciolata) e che in teoria ricompariranno nei luoghi topici. Spero ad ogni modo che loro stessi si sappiano dare maggiore visibilità, anche tra addetti ai lavori. E che il loro nascente impegno sia duraturo e concludente. Del resto, siamo alla soglia di nuove elezioni politiche, non dispero che ci siano avvicendamenti significativi e che questa piccola aggregazione si apra una via anche in quella direzione. Intanto, buon fine settimana.
RispondiEliminaLascio il mio commento di libraia, su alcuni punti che mi sembra interessante approfondire.
RispondiElimina1) Il libro è considerato un prodotto voluttuario e come tale viene eliminato quando diminuisce la disponibilità economica. Nella mia esperienza di questi 2 anni di attività, osservo che il libro è considerato alla stregua di un oggetto regalo e quindi lo si acquista solo in determinate occasioni oppure lo si acquista quando c'è un obbligo scolastico.
Questo è il motivo, a mio avviso, per cui la vendita del libro diminuisce in funzione dell'aumentare della crisi.
2) Da libraia osservo che c'è scarsa professionalità fra i librai. Qui ha ragione Paolo: si fanno riempire il negozio di tutto e non sanno scegliere ne proporre. C'è anche molta ansia di rimanere sprovvisti del titolo che potrebbe invece diventare un best seller e cambiare significativamente gli incassi del periodo. A monte di questo c'è però la scarsa professionalità di editori che non portano avanti progetti editoriali ma sembra che pubblichino un po' di tutto nella speranza che nel mucchio ci sia il grande successo editoriale.
3) Sarebbe più corretto che gli editori non vedessero direttamente a scuole e istituzioni, ma che le indirizzassero verso le librerie. Gli editori fanno, a volte, sui loro siti, proposte di vendita che reputo imbarazzanti. Io come libraia, mi sento presa in giro e disincentivata di fronte a questi comportamenti.
4) Credo che una buona politica sia quella che utilizzi il denaro pubblico per promuovere la lettura, le biblioteche, ecc. Dal mio punto di vista non sono interessanti ne le sovvenzioni ne gli eventi tipo festival, che sono molto spesso una passerella per i politici ma che non hanno ricadute positive sulla lettura. Oggi siamo in una situazione in cui l'istituzione, non solo non mette a disposizione denaro pubblico per incentivare la lettura, ma "vessa" i librai con richieste di sconti e prestazioni esagerate.
5) Dovrebbe essereci un rapporto più diretto fra editori e librai. Il promotore editoriale non è sempre d'aiuto nella scelta. A me piacerebbe molto incontrare periodicamente alcuni editori per sentire dalla loro voce che progetti hanno e che libri hanno intenzione di pubblicare.
6) Ho delle amiche libraie e con loro riesco a collaborare. Si fanno acquisti insieme, ci si scambiano consigli, si fanno segnalazioni su titoli interessanti.
7) Ottima la proposta di un incontro in cui confrontarci direttamente.
@ Barbara, con molte scuse per il ritardo: credo di poter aggiungere un paio di considerazioni puntuali.
RispondiEliminaTuo punto 2): credo che in questo ambito (quello della professionalità) ci siano margini e spazi d'azione immensi. Credo anche che un confronto sulle rispettive professionalità possa essere molto utile: che cosa si aspetta un libraio da un editore? Che cosa si aspetta un editore da un libraio? Non tanto un libro dei sogni, quanto una serie di indicazioni pratiche molto precise, magari minime, ma che possano contribuire a migliorare la relazione e la qualità del lavoro di entrambi. Su questo, stiamo già lavorando e speriamo di mostrarvi i frutti delle nostre riflessioni a breve.
Tuo punto 3): Sarei d'accordo con te se ci fosse una rete capillare di librerie e una maggiore efficienza della distribuzione. Ma, per esempio, in tutto il Trentino occidentale non c'è una sola libreria e se una scuola o una biblioteca vuole i miei libri li chiede a un grossista o a me. E poi, mi domando, quanti sono i librai che lavorano seriamente con le scuole e con le biblioteche? E ancora, se svolgo un'attività di promozione mirata e continua verso le scuole e le biblioteche (cosa che il libraio medio non fa) sostenendone i costi in termini di risorse umane, intellettuali e finanziarie, perché dovrei rinunciare ai benefici a favore di un operatore che è rimasto inattivo e non ha assunto alcun rischio? Ci sono molte altre domande, ma queste direi sono le principali.
Ci sarebbero anche altre cose. Ma penso che l'unica cosa importante da dire sia che sull'incontro, e sulla necessità di strutturare una rete siamo d'accordo e stiamo cercando, con Diletta, di darci un po' da fare.
Grazie per averci scritto.
@Paolo: non dubito della vostra serietà e professionalità e del vostro impegno. La mia esperienza mi induce però a pensare che le istituzioni si rivolgano agli editori per ottenere un maggiore sconto e non tutti si comportano in maniera corretta. Devo però anche aggiungere che anche fra i librai, c'è chi prova a fare "dumping".
RispondiEliminaPer quanto riguarda l'incontro, mi rendo disponibile a dare una mano per l'organizzazione.