[di Silvia Vecchini]
A marzo dello scorso anno è uscito Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa intorno, e una delle poesie della raccolta diceva così:
Quando mi è stato chiesto di presentare il libro a bambini e ragazzi, di pensare a un incontro con loro, ho voluto che ci fosse una tenda. Con mio padre ho preparato una struttura leggera fatta di legno colorato. Poi ho chiamato la mia amica Elena e abbiamo messo insieme un po’ di stoffa, corde e cordine, fiocchi e mollette. Abbiamo cucito alcune taschine dentro e fuori la tenda, aperto una finestrina.
Ho pensato la tenda aperta, con una prolunga sul davanti in modo da stendere la stoffa sopra le teste dei bambini di un’intera classe, l’ho usata all’aperto e al chiuso, in libreria, in bilioteca, in un teatro e nei corridoi delle scuole.
Lì sotto accolgo i bambini che, in fatto di rifugi, case fatte con quello che c’è, tane e ripari provvisori sono dei veri maestri. A ogni incontro si allunga la lista di istruzioni su come farne una. L’ultima volta un bambino ha detto: «Io uso sempre lo stendino per il bucato». In effetti, a pensarci bene, è perfetto.
Ho scelto la tenda per portare la poesia tra i bambini perché è il primo luogo che tiriamo su per separarci un poco, per avere un segreto piccolo, per uscire più forti e più allegri. È bene che ci sia un po’ di buio, che ci sia un po’ di luce. Cibo, certo, qualche gioco, qualcosa da leggere.
«Io ci metto sempre mio fratello piccolo», ha detto un altro bambino. Non sempre infatti vuol dire cercare solitudine ma di sicuro vuol dire scegliere cosa mettere dentro, cosa lasciare fuori, quale sarà la parola d’ordine per essere ammessi, chi la potrà conoscere.
Così dico ai bambini che la poesia è una tenda che si apre quando vogliamo. È leggera, la poesia, si può portare dappertutto. È la tenda che facciamo attorno a noi quando vogliamo pensare, ma è anche la tenda che abbiamo dentro, lì dove possiamo ascoltare la nostra voce.
I miei incontri di scrittura con i bambini vanno tutti in questa direzione: ascoltare i propri pensieri e dare fiducia alla propria voce.
Credo profondamente che questo sia uno dei doni più grandi che può farci la poesia. L’ho capito al liceo. Il mio professore di italiano aveva iniziato una pratica semplice: ti affidava un libro in lettura e dopo un paio di settimane sedevi dietro la cattedra e raccontavi cosa avevi letto, che cosa ne pensavi. Per me, capitata in un liceo scientifico con biennio sperimentale di fisica, era ossigeno. Così mi passò diverse letture. Tra le altre ci mise anche La poesia salva la vita di Donatella Bisutti (Mondadori) perché sapeva che scrivevo versi. Quando, ligia al dovere, raccontai anche il breve scritto di Attilio Bertolucci, dove il salvare la vita era legato a un ricordo della seconda guerra mondiale, mi guardò malissimo. Lui voleva che io dicessi perché a me la poesia salvasse la vita. Aveva ragione.
Ero scampata da un inizio di adolescenza confusa, buia e storta praticamente solo grazie alle parole. Non dissi esattamente questo, ma risposi alla sua domanda e non me lo scordai più. Vidi chiaramente le mani delle poesia che mi erano venute in soccorso. La prima era stata in realtà un ascensore che mi aveva portato più giù, più dentro senza paura, per poi risalire. E la seconda era in realtà un occhio sempre aperto, quello della metafora. La metafora (di cui non parlo in senso tecnico con i bambini, ma che ci godiamo insieme nel flusso delle letture) è stata per me la possibilità di ricominciare, a guardare dentro e fuori, a guardare me stessa come se non mi fossi mai vista prima.
«Tutte le cose del mondo in realtà un pochino si assomigliano e non potrebbe essere diversamente, dal momento che tutte sono fatte, come ci spiega la fisica moderna, di particelle di una stessa energia. Quindi, ogni volta che fa una metafora, la poesia ci fa esclamare: «Non è vero però è vero!». E il piccolo shock che proviamo ogni volta a questa scoperta ci dà un brivido di emozione. È proprio quello che la poesia voleva! Così ci costringe a fare più attenzione a quello che ci circonda, a scoprire a che cosa può assomigliare, e così a guardarlo come fosse qualcosa di nuovo, mai visto prima…» Donatella Bisutti, La poesia è un orecchio (Feltrinelli Kids).
Questo sentire tutto legato insieme, corrispondente a qualche cosa da scorprire, questo avvicinare in un baleno cose lontanissime, questo somigliarsi, questo: «Non è vero però è vero» , questo riprendere a guardare con attenzione è un altro dono della poesia che provo a portare ai bambini.
Nella pratica della scrittura condivisa, che si svolge fuori e dentro la tenda, i bambini scrivono sollecitati da alcuni stimoli alla scrittura semplici, diretti. Non è obbligatorio, ma tutti possono leggere quello che hanno scritto. Il tempo della scrittura ha un doppio nel tempo dell’ascolto di ciascuna delle voci. A volte qualcuno fa più fatica a trovarsi, ma quasi sempre nessuno molla.
Se con me c’è un insegnante attento, che partecipa al laboratorio e segue i bambini o i ragazzi con discrezione, non di rado finisce per dirmi che Marco ha rivelato qualcosa di se stesso, Giulia è proprio così come scrive, Matteo non aveva mai detto così chiaramente che…
Le voci dei bambini non vanno estorte né costrette a rivelarsi. Tenere qualcosa per sé va proprio bene. Si può anche non scrivere e non dire. Un incontro sulla scrittura è solo un piccolo assaggio.
Quello che conta è che i bambini abbiano un accesso alla scrittura personale, senza valutazione che non sia la propria, che abbiano il tempo di fare delle prove, cercare nella scrittura quello che più appartiene loro e li caratterizza, che si ricordino che hanno una voce che dentro scorre come una sorgente e che è bene ascoltarla con attenzione.
Non stupisca, infine, questa citazione. Che sembra lontana, che parla d’altro. Eppure per me è vicinissima tanto alla descrizione della poesia e della creatività, quanto alla voce dei bambini.
«Io riposo in me stessa. E questo “me stessa”, la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo “Dio”. [...] Dentro di me c'è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c'è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo».
Etty Hillesum, Diario.
Chi passa qualche ora nelle scuole, nelle classi, sa che uno dei lavori più importanti da fare per tanti bambini (per le ragioni più diverse e per le difficoltà più amare), sia quello di chinarsi e aiutarli a togliere sabbia e sassi.
La poesia è una tenda. Un primo accampamento che dice: «Bene, oggi ci fermiamo. Ci si riposa. Abbiamo sete, vediamo se c’è dell’acqua».
Carpi, Libreria Radice-Labirinto, 8 giugno 2015.
A marzo dello scorso anno è uscito Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa intorno, e una delle poesie della raccolta diceva così:
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Ho pensato la tenda aperta, con una prolunga sul davanti in modo da stendere la stoffa sopra le teste dei bambini di un’intera classe, l’ho usata all’aperto e al chiuso, in libreria, in bilioteca, in un teatro e nei corridoi delle scuole.
In piazza, a Carpi, ospiti della Libreria Radice Labirinto. |
Lì sotto accolgo i bambini che, in fatto di rifugi, case fatte con quello che c’è, tane e ripari provvisori sono dei veri maestri. A ogni incontro si allunga la lista di istruzioni su come farne una. L’ultima volta un bambino ha detto: «Io uso sempre lo stendino per il bucato». In effetti, a pensarci bene, è perfetto.
Ho scelto la tenda per portare la poesia tra i bambini perché è il primo luogo che tiriamo su per separarci un poco, per avere un segreto piccolo, per uscire più forti e più allegri. È bene che ci sia un po’ di buio, che ci sia un po’ di luce. Cibo, certo, qualche gioco, qualcosa da leggere.
A Firenze, ospiti della Libreria Cuccumeo. |
«Io ci metto sempre mio fratello piccolo», ha detto un altro bambino. Non sempre infatti vuol dire cercare solitudine ma di sicuro vuol dire scegliere cosa mettere dentro, cosa lasciare fuori, quale sarà la parola d’ordine per essere ammessi, chi la potrà conoscere.
Così dico ai bambini che la poesia è una tenda che si apre quando vogliamo. È leggera, la poesia, si può portare dappertutto. È la tenda che facciamo attorno a noi quando vogliamo pensare, ma è anche la tenda che abbiamo dentro, lì dove possiamo ascoltare la nostra voce.
I miei incontri di scrittura con i bambini vanno tutti in questa direzione: ascoltare i propri pensieri e dare fiducia alla propria voce.
A Bibliobrugherio, ospiti della Biblioteca di Brugherio. |
Credo profondamente che questo sia uno dei doni più grandi che può farci la poesia. L’ho capito al liceo. Il mio professore di italiano aveva iniziato una pratica semplice: ti affidava un libro in lettura e dopo un paio di settimane sedevi dietro la cattedra e raccontavi cosa avevi letto, che cosa ne pensavi. Per me, capitata in un liceo scientifico con biennio sperimentale di fisica, era ossigeno. Così mi passò diverse letture. Tra le altre ci mise anche La poesia salva la vita di Donatella Bisutti (Mondadori) perché sapeva che scrivevo versi. Quando, ligia al dovere, raccontai anche il breve scritto di Attilio Bertolucci, dove il salvare la vita era legato a un ricordo della seconda guerra mondiale, mi guardò malissimo. Lui voleva che io dicessi perché a me la poesia salvasse la vita. Aveva ragione.
Ospiti di Scuola Marconi, a Brescia. |
Ero scampata da un inizio di adolescenza confusa, buia e storta praticamente solo grazie alle parole. Non dissi esattamente questo, ma risposi alla sua domanda e non me lo scordai più. Vidi chiaramente le mani delle poesia che mi erano venute in soccorso. La prima era stata in realtà un ascensore che mi aveva portato più giù, più dentro senza paura, per poi risalire. E la seconda era in realtà un occhio sempre aperto, quello della metafora. La metafora (di cui non parlo in senso tecnico con i bambini, ma che ci godiamo insieme nel flusso delle letture) è stata per me la possibilità di ricominciare, a guardare dentro e fuori, a guardare me stessa come se non mi fossi mai vista prima.
Ospiti alla Casa della Fantasia, a Sarmede. |
«Tutte le cose del mondo in realtà un pochino si assomigliano e non potrebbe essere diversamente, dal momento che tutte sono fatte, come ci spiega la fisica moderna, di particelle di una stessa energia. Quindi, ogni volta che fa una metafora, la poesia ci fa esclamare: «Non è vero però è vero!». E il piccolo shock che proviamo ogni volta a questa scoperta ci dà un brivido di emozione. È proprio quello che la poesia voleva! Così ci costringe a fare più attenzione a quello che ci circonda, a scoprire a che cosa può assomigliare, e così a guardarlo come fosse qualcosa di nuovo, mai visto prima…» Donatella Bisutti, La poesia è un orecchio (Feltrinelli Kids).
Ospiti di Scuola Marconi, a Brescia. |
Questo sentire tutto legato insieme, corrispondente a qualche cosa da scorprire, questo avvicinare in un baleno cose lontanissime, questo somigliarsi, questo: «Non è vero però è vero» , questo riprendere a guardare con attenzione è un altro dono della poesia che provo a portare ai bambini.
Nella pratica della scrittura condivisa, che si svolge fuori e dentro la tenda, i bambini scrivono sollecitati da alcuni stimoli alla scrittura semplici, diretti. Non è obbligatorio, ma tutti possono leggere quello che hanno scritto. Il tempo della scrittura ha un doppio nel tempo dell’ascolto di ciascuna delle voci. A volte qualcuno fa più fatica a trovarsi, ma quasi sempre nessuno molla.
Ospiti di Scuola Marconi, a Brescia. |
Se con me c’è un insegnante attento, che partecipa al laboratorio e segue i bambini o i ragazzi con discrezione, non di rado finisce per dirmi che Marco ha rivelato qualcosa di se stesso, Giulia è proprio così come scrive, Matteo non aveva mai detto così chiaramente che…
Le voci dei bambini non vanno estorte né costrette a rivelarsi. Tenere qualcosa per sé va proprio bene. Si può anche non scrivere e non dire. Un incontro sulla scrittura è solo un piccolo assaggio.
Ospiti di Scuola Marconi, a Brescia. |
Non stupisca, infine, questa citazione. Che sembra lontana, che parla d’altro. Eppure per me è vicinissima tanto alla descrizione della poesia e della creatività, quanto alla voce dei bambini.
«Io riposo in me stessa. E questo “me stessa”, la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo “Dio”. [...] Dentro di me c'è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c'è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo».
Etty Hillesum, Diario.
Chi passa qualche ora nelle scuole, nelle classi, sa che uno dei lavori più importanti da fare per tanti bambini (per le ragioni più diverse e per le difficoltà più amare), sia quello di chinarsi e aiutarli a togliere sabbia e sassi.
La poesia è una tenda. Un primo accampamento che dice: «Bene, oggi ci fermiamo. Ci si riposa. Abbiamo sete, vediamo se c’è dell’acqua».
Carpi, Libreria Radice-Labirinto, 8 giugno 2015.
In piazza, a Carpi, ospiti della Libreria Radice Labirinto. |
Silvia grazie per questo soffio sulla sabbia!
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