Il castello, 1977 |
Ora, quella casa non è più della mia famiglia, ma questa incisione mi accoglie nell'ingresso della casa di campagna.
Non è trascorso molto tempo da quando Giovanna, una domenica sera, è tornata a casa con un sorriso sornione. Senza quasi neanche salutare, ha estratto dalla borsa un libro con un'elegante copertina in carta Ingres Fabriano color celeste e un titolo in Bodoni Bauer: Giovanni Testori, Itinerario di Federica Galli. Milano: Compagnia del disegno, 1980 (edizione in mille esemplari; il nostro n. 112)
Io di Federica Galli non sapevo quasi nulla e poco avevo visto. Ricordavo una serie di incisioni, o forse un libro, dedicate agli alberi monumentali italiani, ma non mi era mai passato per la testa di fare delle ricerche. Mi accontentavo del piacere che mi dava la familiarità con quell'immagine, così pacata e precisa, guardata mille e mille e ancora mille volte con affetto e gratitudine.
Così, ho perso un sacco di tempo. Per fortuna, su Federica Galli si trova moltissima documentazione, molta della quale messa a disposizione dalla Fondazione Federica Galli, che ha sede in un bel palazzo milanese sulla cerchia dei bastioni, fra Porta Monforte e Porta Venezia. Il sito della Fondazione merita una visita attenta.
Che cosa ci potete scoprire? Forse solo una cosa molto semplice: la natura del segno. Un segno, quello di Federica Galli, minuto, sottilissimo, quasi fragile. Ma allo stesso tempo denso e potente.
Giudecca: la Corte Grande, 1986 |
Un segno giusto ed esatto, quasi ingegneristico, che si spezza senza sfumarsi. Un segno che riesce a essere poetico senza essere vago [grazie, Julia Racsko, NdA].
Cascina abbandonata, 1973 |
Un segno umile e regale, al quale interessa solo la verità. Che cerca una verità da spiegare, che la frammenta e la ricompone su una lastra, per poi raccontarla sul foglio.
La rete delle olive, 1985 |
Ecco, quando penso al mio disegnare penso a questo segno. Non che mi ci avvicini: «neanche di striscio,» ci dicevamo da ragazzini, quando la biglia finiva lontano dalla buca. Però ci penso. E ci penso perché più guardo disegni, più mi pare che il disegnatore - disegnatore, non disegnante - si riveli essere alla fin fine un abile orologiaio: un artigiano che frammenta il tempo e lo spazio e li ricompone attraverso incastri minuti e matematicamente precisi. Per restituirceli quasi intatti, renderli portabili, permetterci di tenerli accanto al letto a vegliare sul nostro sonno e sulla nostra sveglia.
San Simpliciano senza luna, 1989 |
Rio del Piombo, 1984 |
Ma, in fondo, forse stiamo dicendo quasi la stessa cosa.
[Tutte le immagini a corredo dell'articolo sono state scaricate dal sito della Fondazione Federica Galli, titolare del relativo copyright.]
Lanca gelata, 1981 |
These are so beautiful. (via Google translate) I loved your metaphor of the nature broken apart and reassembled like a watch or precise type of machinery. It is a perfect way to appreciate the love and labor in these etchings. Thank you for all this.
RispondiEliminaQuanto sono importanti le immagini appese nelle stanze dei bambini.
RispondiEliminaNon conoscevo questa artista, mi piace. Grazie.
Non avevo neanche dodici anni (poche illustrazioni e nessuna cognizione sull'arte) che un amico di mio padre mi regalò il libro sugli alberi monumentali. L'avrò guardato un milione di volte. Mi pare alla fine del libro, ricordo ancora una foto in bianco e nero di Federica Galli che disegnava seduta su un sasso in mezzo a un prato, tutta imbacuccata per difendersi dal gran freddo e vecchissima! Mi sembrò subito una specie di vecchia fata capace di parlare con gli alberi, cioè capace di stare ore e ore seduta ad ascoltare e guardare, mi fece una grande tenerezza. La foto era stata scattata in val d'Ultimo, in Alto Adige, lo ricordo perché era il posto più vicino a me tra tutti quelli dei diversi alberi monumentali illustrati nel libro. Allora abitavo a Bolzano e chiesi a mio padre di andare a vedere i tre larici millenari disegnati da Federica Galli il giorno in cui le fu scattata la foto, e mi portai carta e matita. Per anni poi (con una certa intensificazione da quando fui provvisto di una specie di motorino scassato e una brusca interruzione quando andai a Milano a studiare), presi a girare per gli altopiani intorno a Bolzano per guardare e disegnare. Così ho capito, tra le altre cose, che per disegnare gli alberi dopo un po' non occorre neanche più guardarli. È stata la mia scuola di disegno.
RispondiEliminaGrazie Topi!
Grazie a te, Piero. Un commento bellissimo.
RispondiEliminaSono finita per caso in questo interessante sito e scopro testi bellissimi sulla Galli. Stavo cercando nel web la sua acquaforte su San Simpliciano, dove ieri, con tristezza, si è officiato l'ultimo saluto a una cara amica. Ancora sotto l'emozione di un'omelia toccante di quello che ho scoperto essere un parroco davvero speciale, don Paolo, girovagavo senza meta.
RispondiEliminaEd ecco che scopro parole calzanti a immagini che conosco bene, ma che, anche attraverso questi pensieri, rivedo con occhi diversi. Grazie degli interventi che mi hanno preceduta.
Lorenza
Grazie, Lorenza.
RispondiEliminaParole come queste fanno piacere. Dette da lei, un po' di più.