[di Barbara Cuoghi]
Qualche settimana fa, avevo promesso di raccontare com’è la giornata dei ricevimenti generali dei genitori vista dalla parte di un insegnante. Nel frattempo nella mia scuola ha avuto luogo il rito della consegna della schede di valutazione del primo quadrimestre e, nell’occasione, ho ripensato tantissimo al post di Gioia e a quello che, di getto, le avevo risposto. Avevo scritto che avrei detto com’è stare dall’altra parte della barricata… ecco, mi era uscita proprio la parola “barricata”, scherzosamente, ma era uscita perché spesso è tutto alla rovescia. I genitori fanno file interminabili per guardarci in cagnesco e ritirare “il verdetto numerico”, e il trattamento che ci riserviamo a vicenda è formale (quando va bene), superficiale e sbrigativo.
Al contrario, per fare scuola vera è necessario che genitori e insegnanti stiano dalla stessa parte, che è poi quella dei ragazzi: è necessario che collaborino alla loro maturazione prima che alla loro preparazione ed è assolutamente necessario il rispetto reciproco. Ci siamo abituati a dire che la famiglia non educa più, cioè, in sostanza, che i genitori non fanno più i genitori, tanto che noi insegnanti quando abbiamo a che fare con ragazzi in situazioni difficili (e non) spesso ci diciamo “sulla famiglia non possiamo contare”.
Allo stesso modo, è evidente che la professione dell’insegnante è una delle meno considerate a livello sociale, non se ne riconoscono le responsabilità e la bellezza e, poiché l’importanza di una professione è oggi valutata utilizzando come metro di giudizio la sua remunerazione, va da sé che l’insegnante è poco più che un badante.
Questo è forse il più grosso problema con cui dobbiamo confrontarci oggi. Certo l’edilizia scolastica, la sicurezza dei ragazzi e le opportunità materiali che vengono loro fornite sono cruciali, ma la questione cruciale è: quale esempio sono in grado di fornire gli adulti? Come si comportano tra di loro davanti agli occhi degli studenti?
La mia maestra diceva “la scuola non la fanno mica i muri!” e aveva ragione. La scuola la fanno in primis gli studenti e secondariamente, a pari dignità i genitori e gli insegnanti. Sottolineo “ a pari dignità”.
L’edificio scolastico può essere nuovo e bello e informatizzato quanto si vuole, con bei disegni nei corridoi, come diceva Gioia, ma se non facciamo in modo che i cinque-dieci minuti dedicati ai colloqui o al ritiro delle schede siano significativi, collaborativi e non fossilizzati sul 6 in italiano o sul 4 in matematica, allora per i genitori fare tutte quelle ore di fila sarà solo una scocciatura e per gli insegnanti sarà solo una formalità da espletare.
Ecco, io penso esattamente questo, da genitore/insegnante (cioè il peggio del peggio!).
(Le meravigliose foto che corredano il post provengono dagli archivi storici di scuole americane, inglesi, polacche, e vanno dai primi del secolo scorso agli anni Cinquanta, n.d.r.)
Da genitore mi piacerebbe avere un'insegnante che la pensi così. La mia esperienza da genitore per tre è che talvolta ho vissuto le stesse frustrazioni che sono qui descritte. E per la mia breve carriera di insegnante pure. Se si riuscisse a togliere il verbo GIUDICARE dalla scuola sarebbe una rivoluzione. CRESCERE IMPARARE FORMARE EVOLVERE EDUCARE MIGLIORARE sono i verbi che dovrebbero prenderne il posto.
RispondiEliminaNon solo nel rapporto tra insegnante e alunno, ma in maniera trasversale: i genitori non devono giudicare gli insegnanti e gli insegnanti non devono giudicare i genitori. Forse la base di questo meccanismo perverso è che la struttura della scuola non prevede un luogo e un momento di collaborazione e scambio. Gli insegnanti sono soli con se stessi e i genitori pure con una lista di numeri in mano.
RispondiEliminaMi sembra che concordiamo in molti: occorre costruire alleanze educative tra bambini, ragazzi, insegnanti, famiglie.
Già una sola persona può innescare il cambiamento, due possono lavorare in più direzioni, tre coprire ulteriori spazi. È importante il contributo di tutti e di ciascuno, per accendere sguardi, attuare cambiamenti, sostenere alleanze, trattenere le buone prassi e risignificarle nel qui e ora.
Buon lavoro a tutte e tutti dunque!
Arrivo un po' in ritardo, ma ci tengo a lasciare un pensiero ancora su questa interessante discussione, nata un po' per ironizzare ma con invece un preciso bisogno di far passare un messaggio importante. ll messaggio è proprio quello che esprime Barbara, che è evidente sia l'insegnante modello che tutti vorremmo incontrare per i nostri figli, e cioè che è fondamentale un lavoro sinergico tra scuola e famiglia. Che poi dovrebbe allargarsi anche al di fuori di questi due ambiti e comprendere anche altre realtà: penso allo sport e alle svariate forme di intrattenimento sia esso creativo, multimediale o editoriale…
RispondiEliminaSono convinta che quello dell'educatore sia una missione, in qualsiasi contesto si operi.
Non so se vi sia capitato di provare la frustrazione di non essere riconosciuto ( da piccoli e da adulti). Non so se via sia mai capitato di chiedervi: " Io l'ho riconosciuto, chissà se lui/lei si ricorda di me." Ecco credo che un incontro, seppur breve, sia una grande occasione. E che sia importante non perderla. Possiamo avere davanti un bambino, un adulto, un nonno come un professore. Non può succedere che io vada a colloquio con un insegnante che mi parla di mio figlio come se fosse un altra persona, e viceversa, naturalmente. Non si possono trascorrere cinque anni, o tre insieme tutti i giorni senza aver capito chi si ha davanti, che non è certo una macchinetta dispensatrice di nozioni…e anche qui vale sia per l'insegnante che per il ragazzo.
Ancora una considerazione, è vero " la scuola non la fanno i muri…", ma credo che anche l'aspetto estetico faccia la differenza. Come per la persona anche per l'ambiente che ci circonda bisogna proteggere il decoro e mantenere la decenza. Bisogna insegnare e imparare a rispettare gli spazi che si "usano" perché sono nostri come la nostra casa, la nostra macchina, il nostro giardino. Non serve il lusso. Serve che non passi il messaggio che io possa rompere, imbrattare e sporcare qualcosa che per primi gli adulti lasciano andare in degrado. E qui finisco con la domanda iniziale: Quale esempio sono in grado di fornire gli adulti? Come si comportano tra di loro davanti agli occhi degli studenti?
E ringrazio ancora i Topi per questo prezioso spazio.
Ci tengo a commentare, perché l'argomento scuola mi sta molto a cuore. Come madre di bambini in età scolare e come ex studente. Ho l'impressione che questo post, più che una risposta a quello di Gioia, sia piuttosto lo sfogo di un insegnante in corsa perenne per il raggiungimento di obiettivi prestabiliti e l'adempimento di formalità burocratiche. Mi riferisco soprattutto alla prima parte dell'articolo.
RispondiEliminaSi parla di "bambini in situazioni difficili e non", sottolineando il fatto che la famiglia non aiuta.
Ebbene, la famiglia ha il dovere di fornire un'istruzione ai propri figli e la scuola è garantita dallo Stato proprio per soccorrere quelle famiglie che non siano in grado, per motivi economici o per grado d'istruzione o per qualsiasi altro motivo, di provvedere autonomamente alla formazione culturale dei propri figli.
È la scuola a dover essere il sostegno delle famiglie, non il contrario.
Tenendo ben presente che non sono le famiglie "attente" ad aver granché bisogno di voi, quelle con cui ci si complimenta e ci si stringe la mano ai colloqui.
Quando un bambino è in una situazione difficile, lo è tutta la famiglia.
La famiglia in Italia oggi non ha che doveri. E la scuola, per com'è adesso e non nella sua forma idealizzata che leggiamo qui, è l'ennesima istituzione che pretende di "dire" alla famiglia come deve agire e quali priorità deve avere, sulla base di statistiche. Statistiche che arrivano dall'alto e che pretendono un'uniformità totale della cultura, nella forma e nei tempi.
Ed è così che il bambino difficile si trova classificato, bollato subito, trascinato come zavorra pesante della classe. In definitiva abbandonato a sé stesso.
La famiglia (che, come si è detto prima, non può fare di più per motivi culturali o economici) si arrende a questo giudizio, come si è già arresa al giudizio del ginecologo ai tempi della gravidanza, del pediatra poi e per finire della scuola. Costringono la famiglia fragile a guardare ai propri figli perennemente attraverso un filtro che viene dall'esterno.
Resta comunque vero che ci sono, nelle nostre scuole, ottimi insegnanti, propositivi e attenti, ma comunque imbrigliati dall'alto, costretti a correre dietro obiettivi sempre più ambiziosi, programmi sempre più vasti, aumentando così la forbice esistente tra bambini "intelligenti" e bambini "a livello minimo".
Perché correndo i bambini pronti, svegli o semplicemente più seguiti, riescono a stare al passo e a brillare, ma tutti gli altri, bambini potenzialmente molto bravi, restano indietro e recuperare diventa sempre più difficile.
Come illustratrice, sento molto spesso discorsi su come migliorare la condizione della nostra categoria (quella dei creatori di immagini), di come educare il cliente, il pubblico e i colleghi, per migliorare una condizione lavorativa. E ancora più spesso viene fuori che la colpa della nostra condizione di categoria poco o non riconosciuta sta anche nel comportamento e nelle abitudini degli illustratori stessi.
Ebbene, per voi maestri e professori vale lo stesso. Siete voi a dover cambiare la vostra condizione, a dover portare il vostro mestiere su un altro livello. Se qualcosa vi impedisce di esercitare liberamente la vostra professione, se il ministero vi opprime, se il vostro mestiere è passato ad essere riconosciuto zero, è colpa anche vostra. E la colpa è moltiplicata, perché avete in mano il futuro di molti bambini.
Vi ringraziamo per questi lunghi commenti. Ognuno di essi mette in luce quanto il tema sia sentito, complesso e scottante. Da parte nostra speriamo che altre persone vogliano aggiungersi a queste riflessioni ad alta voce, per condividere punti di vista, spunti ed esperienze attraverso il nostro blog.
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