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giovedì 17 maggio 2012

Sulla punta delle dita

[di Angela Nanetti

L’infanzia per me, prima ancora di un’età, è un modo di relazionarsi col mondo; e dunque un linguaggio.
E se la lingua è il ponte del sé con gli altri e con l’altrove, ponte di interconnessioni mobili in continuo divenire, il linguaggio infantile lo è in modo del tutto particolare e specifico, così come particolare e specifica è questa prima tappa della vicenda umana.  Unica, preziosa, irripetibile.
Dunque il linguaggio, che sappia veicolare il pensiero infantile, l’immaginario infantile, lo sguardo infantile sul mondo. Che non sono “diminuiti” e “diminutivi”, ma sono “altri” rispetto a quelli degli adulti.
Federica Iacobelli nel suo La città è una nave riesce meravigliosamente in questa impresa difficile, raccontando insieme l’infanzia e la sua infanzia, dai cinque ai dieci anni. In dieci tappe che sono dieci narrazioni, per le quali utilizza, mescolandoli, la terza persona e il parlato interiore. Con queste tecniche, usate sapientemente, racconta un vissuto infantile con i suoi amori e gelosie, le paure e gli incanti, le domande e le delusioni, rendendolo al lettore autentico e palpitante. E intorno a esso una città di acqua e di terra che trema, di vicoli che scendono al mare, di ville alte e basse, di mare sbirciato da uno scampolo di terrazzo e di palazzi che sul mare stanno a galla, ma rischiano sempre di affondare. Una città instabile nella sua mutevolezza come il bradisismo che la tormenta, come la vita che scorre. Ed ecco un esempio:

La bambina corse alla finestra. Ci arrivava appena con la testa, ma se poi saliva sulle punte vedeva un muro fatto con le rocce e oltre quel muro solo onde, tante onde... La bambina si voltò solo un momento. Lachis stava disegnando con lo zio, mentre il papà stava telefonando. Era difficile, il lavoro di architetti, è più difficile in un posto come questo. In un posto come questo bisognava stare attenti, perché il palazzo doveva stare a galla. Partire no, non era mai riuscito a farlo, perché era troppo grosso e troppo vecchio; ma se affondava con lo studio e coi disegni? Se si bagnava? Se sparivano i progetti?...

Un palazzo come una nave, che può salpare o affondare, paura e desiderio nel contempo. Ecco l’infanzia.
Al  termine della lettura mi sono sentita dentro sospesa, come se avessi l’anima sulla punta delle dita.

lunedì 16 aprile 2012

2 appuntamenti, 4 magnifiche ragazze


Nei prossimi giorni pare proprio che i nostri autori si scateneranno in giro per l'Italia. Così, dopo la notizia del tour in Sardegna, è la volta della Toscana. Se siete dalle parti di Pistoia, non perdetevi, il 19 aprile, alle ore 21, presso la Biblioteca comunale Forteguerriana, Scritture d’infanzia che vede protagonista Federica Iacobelli, autrice di storie per albi illustrati, romanzi brevi, racconti, sceneggiature, libretti d’opera e drammaturgie, quasi sempre dedicati al pubblico dell’infanzia. 


 A dialogare con lei, in particolare sul suo ultimo romanzo La città è una nave, della collana Anni in tasca, da noi edito, ci sarà la brava e appassionata Manuela Trinci, studiosa di letteratura per l’infanzia, psicologa e psicoterapeuta infantile. L’attrice Mirella Mastronardi leggerà alcuni brani scelti dalla opere dell’autrice. L’ingresso è libero e aperto a tutti.

Venerdì 20 aprile, alle ore 10, presso la Sala Convegni del Convento di San Domenico, Pistoia, Federica incontrerà gli studenti degli istituti scolastici della provincia di Pistoia. Mirella Mastronardi curerà il reading dei brani, mentre l’intervista all’autrice sarà affidata, questa volta, a Carla Poesio, generosa e conosciutissima esperta di letteratura per l’infanzia, autrice e critica letteraria.

lunedì 16 gennaio 2012

Ricominciare dai bambini

Lunedì 9 gennaio, sulle pagine culturali de L'Unità, uno dei pochi media che si occupa con continuità e approfonditamente di libri per bambini e ragazzi, è uscito un articolo di Giovanni Nucci dedicato alla nostra collana Gli anni in tasca. Una grande, bella sorpresa, che fa cominciare con una nota positiva questo inquieto 2012. Teniamo molto a Gli anni in tasca, e con noi, credo, gli autori che sono entrati a farne parte: tutti, invariabilmente, una volta che ci sono caduti dentro, ci si sono affezionati, per quel che scrivere su questo tema, la propria infanzia, evidentemente comporta. Ci rendiamo conto che non sia una collana 'facile': ce l'hanno detto, e ce lo dicono, i librai. A progetto incubato, non ne ha fatto mistero il distributore. E lo abbiamo immaginato anche noi, fin dall'inizio. Ma la prospettiva era troppo accattivante, per non rischiarla. Al punto che, poi, da una costola della collana sono nati anche Gli anni in tasca graphic.

Va detto anche, comunque, che questi libri hanno trovato, subito, degli estimatori: per esempio la giuria del Premio Andersen che nel 2010 li ha ritenuti la miglior collana di narrativa. Nel tempo, poi, hanno saputo convincere librai perplessi, insegnanti diffidenti, ragazzini recalcitranti, genitori rassegnati ai gusti fantasy dei figli... insomma, passo passo si sono fatti amare, anche grazie a nomi importanti che si sono generosamente prestati a entrare in catalogo: da Roberto Denti, ad Antonio Faeti, a Giusi Quarenghi, a Luisa Mattia, a Bernard Friot, a Ugo Cornia, per dirne alcuni. I giornalisti, poi a volte sono stati generosi, come Stefano Salis che nell'inserto domenicale de Il Sole 24 ore ha segnalato la grafica innovativa della collana, dovuta a Luigi Raffaelli, sulle prime non poco criticata, forse per la decisa difformità rispetto all'immagine di altre collane di narrativa per ragazzi.

Anche altri giornalisti sono stati generosi, come Claudio Origoni, che fin dall'inizio si è innamorato del progetto e l'ha seguito e recensito, su Il Corriere del Ticino. Cos'altro dire? Che vale la pena di riportare alcune parole di Giovanni Nucci, che, al di là del fatto di avere parlato bene della nostra collana, in questo articolo fa alcune belle e condivisibili osservazioni sull'infanzia, sulla sua importanza, e sugli scrittori che se ne occupano. Lo fa anche riportando un brano di La città è una nave, di Federica Iacobelli, uno dei volumi della collana da pochissimo in libreria. Pensiamo che non ci sia modo migliore per presentarvelo su questo blog.





Abbiamo già detto (e dovremo dirlo ancora più forte adesso che, per quanta fatica ci costerà, l’occasione di una ricostruzione è ben più concreta e a portata di mano) che bisognerebbe ripartire dall’infanzia. Per quanto nei decenni passati l’infanzia è stata misconosciuta, ovvero riconosciuta esclusivamente come luogo commerciale, un’estensione al ribasso dell’adolescenza, ridare all’infanzia il proprio ruolo e spazio (culturale, sociale, politico) può essere forse il grande investimento per il futuro di questo paese: ricominciare dai bambini. Ma per farlo sarebbe utile capire veramente che cos’è l’infanzia; anche perché a vedere dalle politiche messe in atto a riguardo fino ad ora, si ha l’impressione che non sappiamo affatto di cosa si tratti.
Ma per questo, e per fortuna, c’è la letteratura.
Così sarà d’aiuto andarsi a rileggere, per esempio, Tom Sawyer o le Petit Nicolas. Oppure affidarsi alla collana «Gli anni in tasca» del piccolo e raffinato editore milanese Topipittori. I racconti qui pubblicati sono spesso un’ottima rappresentazione di quella profonda e complessissima faccenda che pure ci appare tanto lineare e semplice, e cioè la vita di un bambino. Certo, occorre essere degli scrittori (e intendiamo veri scrittori, non se ne trovano molti in giro). Si prenda Federica Iacobelli, ad esempio, le bastano dieci righe:

«“Chiamiamolo cacca”. Io rispondo così. Mamma si chiede che nome dare al fratello che nascerà tra poco. E lo chiede anche a me, con la sua voce dolce e la sua pancia che è invisibile però cresce davanti. Che coraggio che ha, la mamma. Come può pensare che io scelga un altro nome se non Cacca per questa cosa o essere o bamboccio che arriva senza che io lo abbia voluto? Luigi come il nonno? Vincenzo come il compagno dell’asilo di cui mi sono innamorata? Gianni come il poeta delle filastrocche che già leggo? No no. Cacca mi sembra il nome adatto. Dico sul serio, eh, mica per giocare: a cinque anni so di che cosa parlo. E non capisco perché mamma rida».
[...]  La verità è che il rispetto che hanno le arti per l’infanzia non lo ha nessun altro (meno che mai la scienza, la filosofia o la politica). Per il semplice motivo che artisti e scrittori è all’infanzia che vorrebbero arrivare; tutti gli altri, in genere, tendono a volersene allontanare. [...] Perché questa idea, l’immagine che questi scrittori riescono ad offrirci del loro passato non è nostalgica, nessuno di loro nasconde gli enormi problemi che comporta da sempre essere bambini, ma è di fondazione, costituzionale. Il che dimostra un’altra cosa: chi è veramente ottimista guarda indietro, non avanti.