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venerdì 28 febbraio 2014

Pulgarcito

[di Giovanna Ranaldi]

Prima di partire per il Salone di Montreuil avevo consultato la lista degli espositori e scoperto le edizioni Milimbo. Mi aveva colpito molto il loro sito: lo stile, i libri e i giochi mi incantavano.

Mi conquistava la semplicità, la sobrietà e la qualità della loro produzione. Nell'insieme forse potrei dire la loro 'giocosa essenzialità'. E poi l'amore per il dettaglio, la materia: in questo caso la carta, gli inchiostri, i colori.

QueIlo che identificavo come progetto, come anima della casa editrice, mi conquistava.


Riconoscevo uno stile grafico diverso dal mio, ma contemporaneamente c'era qualche cosa che sentivo molto vicino. Allora non avrei saputo definirlo. Chiesi un appuntamento all'editore inviando alcune immagini del mio lavoro su Alice nel Paese delle Meraviglie. Gli piacquero molto.

Incontrai Juanjo Oller a Montreuil nel novembre 2010. Ero emozionata e più che felice. Parlammo a lungo di fiabe, segni, simboli, intenzioni, aspirazioni e motivazioni.
Lo scambio fu intenso, la mia intuizione era esatta: avevamo molto da condividere. Alla fine di quell'incontro mi propose di realizzare un libro insieme.
Ero piena di entusiasmo per quel progetto: un silent book su una delle fiabe classiche.
Certamente per me era un sogno che si realizzava.


Credo che il mio amore per l'illustrazione nei libri sia motivato proprio dalla presenza della parola, del racconto. Mel mio Pulgarcito di parole scritte non ce ne sono. È sottinteso un invito alla parola cercata, scelta e detta; alla narrazione orale. Un libro senza testo è, per chi legge, un invito a raccontare, a riprendere il filo di questa tradizione. Per me, a raccontare con le immagini: è stato esaltante.


Cominciò un lungo scambio di mail: c'era da scegliere la storia, e capire quali desideri avevamo in comune per quel libro. Fu sempre più chiaro che condividevamo la passione per le fiabe classiche, la loro molteplicità di significati, l'analisi di Bettheleim sulle fiabe, il libro-la carta-gli inchiostri, la sintesi, le tracce (le tracce!), la comunicazione visuale, il gioco, i segni, i simboli, il rischio, la sorpresa, la sperimentazione, la sfida, la passione per la passione. E, infine, la convinzione che le immagini abbiano un potere semiologico fortissimo, e l'intenzione di non porsi limiti, di andare a fondo, di accettare la sfida e il rischio.


Se non l'avessero già avuta in catalogo, io avrei proposto Cappuccetto Rosso. Scegliemmo Pollicino che era la favorita tra quelle prescelte. È stato importante pensare, disegnare e sentire un personaggio maschile. Ora mi piacerebbe fosse l'eroe di tante bambine.
Scelta la fiaba insieme, cominciammo a individuare i punti salienti della storia come struttura, e i suoi significati come anima. Tutto cominciò a definirsi.
Juanjo mi indicò come traccia gli episodi più significativi della fiaba. Dovevo creare sedici immagini per raccontare una storia, nei fatti e nei contenuti: emarginazione, solitudine, povertà, fame, abbandono, pericolo, rischio, terrore, sfida, intelligenza, ingegno, generosità, rivendicazione, crescita, affermazione, condivisione.
Nella storia di Pollicino c'è una minaccia costante, una tensione continua, è una storia spaventosa, in comune avevamo anche l'intenzione di non tradire questo dato di fatto.


Dall'editore ebbi libertà totale. Mi disse di affrontare il lavoro con calma, senza nessuna pressione, di sentirmi a mio agio, prendere tutto il tempo necessario per ricreare la storia nella mia mente, nel mio modo, mettendo attenzione ai dettagli. Lavorare pensando al libro come strumento di libertà espressiva, di ricerca e di comunicazione: io la intesi così.
Questo mi ha portato a pormi moltissime domande sul mio lavoro. Il più delle volte la risposta a una domanda era un'altra domanda. L'effetto domino interrogativo.


La sintesi è stata la risposta. Volevo trovare il mio alfabeto visuale. La cosa meravigliosa era che, trattandosi di una fiaba classica, la narrazione è fatta attraverso simboli, così che fatti e contenuti coincidano perfettamente. Questo è stato senz'altro un grande aiuto.


Avrei potuto usare il confine, lo spazio vuoto avrebbe avuto la stessa importanza del pieno, la parte mancante di un viso avrebbe potuto dire più di quella visibile. Il non detto avrebbe avuto forse più peso del detto, e sicuramente detto o non detto si sarebbero arricchiti nell'interpretazione dei lettori. Perché l'immagine è, per sua natura, meno precisa di una parola (è così?). Mettere in luce un unico dettaglio avrebbe potuto svelare o suggerire molto più che definire l'insieme.
Altre domande si formulavano nel fare: cercavo una composizione, un viso, una linea, un segno, una traccia, un graffio.
Ora mi rendo conto che quel lavoro è stato tanto pensato quanto istintivo.


Per molti anni sono stata restauratrice di dipinti. Questo mi ha portato ad avere la possibilità di entrare fisicamente e letterariamente nella materia pittorica. La consistenza del colore, lo spessore delle pennellate, il pennello strusciato, il pennello morbido, le stratificazioni pittoriche, bagnato o asciutto, grasso o magro, Nel mio bagaglio iconografico c'è tanta arte, anche antica. Sono sicura che a tratti questo emerga anche nel mio lavoro di illustratrice, ma non saprei dire come.


L'editore è stato una guida costante. Mi ha sostenuto nella ricerca e nella sperimentazione. La sua fiducia e il suo continuo entusiasmo per il mio lavoro sono state una spinta continua ad andare avanti. Inseguendo la sperimentazione, a volte perdevo il filo narrativo, l'intervento di Juanjo è stato fondamentale. La condivisione è stata intensa fin dall'inizio, ma quando ho consegnato l'ultima tavola, il lavoro è diventato veramente a due teste e quattro mani. Per me è stato fantastico. Passo molto tempo, sola, al tavolino che diventa il perimetro fisico del mio mondo, avere una condivisione così profonda con l'editore per la realizzazione di questo libro è stata una gioia.


lunedì 22 ottobre 2012

Come gli equilibristi

[di Juanjo G. Oller e Valentina Colombo] 

[L'anno scorso, durante Tribù dei lettori, abbiamo incontrato Juanjo della casa editrice Milimbo (ne abbiamo parlato qui). Da quell'incontro, è scaturito questo post. Abbiamo chiesto infatti a Juanjo di raccontarci come lavora, come vive il processo creativo, quali sono i punti chiave del suo lavoro. Ci ha pensato un po', e pochi giorni fa ci ha mandato i materiali per questo post. Eccovi alcuni passi della lettera  di Juanjo che accompagna la sua riflessione:]
 
Eccomi qui dopo alcuni mesi dalla tua proposta di scrivere qualcosa sul nostro metodo di lavoro, anche se io non lo considero tanto un metodo. Dopo il nostro incontro della fine di maggio a Roma, ci ho pensato su, non me ne sono dimenticato, ci ho riflettuto molte volte. E alla fine, credo di aver capito. L'ho presa come un gioco. Ho fatto una selezione di 20 immagini e ho scritto delle linee guida sull'approccio al nostro lavoro e la nostra visione di come arrivare (a volte) a un libro. Ho cercato di pormi alcune domande... [...] Quello che ti posso assicurare è che costruendo questi elementi, osservandoli, muovendoli, giocando con loro, nascono, succedono delle cose che all'inizio non ci aspettiamo; abbiamo bisogno del volume per osservarle in tutta la loro dimensione.
E come ci arriviamo da qui al libro? È un mistero.
Credo sia perché ci piace guardare, giocare con gli elementi della tradizione orale, rileggere, ricreare, e con le immagini vogliamo stimolare il lettore a farsi delle domande. Perché ha usato questa immagine, se non è esattamente come nella storia? Come, ad esempio, l'ingresso nel bosco nel libro Y recuerda... che simbolizza il ricordo nella mente di Cappuccetto (della mamma, il lupo, la nonna).
[...] Non ci definiremmo precisamente come una casa editrice. Costruiamo ogni libro molto lentamente e decidiamo che è finito, quando davvero lo pensiamo. 

[Quello che segue è la cronaca di un processo creativo che processo non è, ma flusso. Di idee, dubbi, domande e risposte, vuoti e pieni. C'è sempre, nella creazione, quel pizzico di inspiegabile, quella scintilla che fa scoppiare l'idea nelle mani e nella testa e che ci permette di trasformarla in una azione, un oggetto o un libro. In quella scintilla risiede un po' il mistero di ogni processo creativo: per quanto cerchiamo di spiegar(ce)lo, non riusciamo mai ad afferrarlo fino in fondo.]

Molte volte mi sento perso.

Mi rendo conto che non so come mai sono arrivato fino qui...

... perchè ho scelto questo cammino.

Chi ho ascoltato?

Ormai non si torna indietro.

Accettare il gioco vuol dire scegliere un cammino, addentrarsi nel bosco.

Bisogna provare, o almeno tentare, anche se sai che puoi perderti, fallire.
                           Quando senti che hai scelto il sentiero giusto, lascia dei segnali per riconocere di nuovo                                                                                                 la strada o perché altri la possano seguire.

Il desiderio di raggiungere di nuovo la "Casa di Marzapane" è ciò che ci spinge a volerci addentrare di nuovo nel bosco.

...e una volta lì, cercare possibilità, sentieri
                La riflessione ti porta a considerare la via più semplice, quella della sintesi. Se ci sono dei limiti, degli ostacoli, non c'è tempo per i fronzoli.
Questo è il nostro cammino, quello che nella forma più semplice ci porta al simbolo. Il simbolo rimane nella nostra memoria e trascende qualunque moda temporanea.
E il cammino a volte ci svela un libro.
Però, a volte, non ci porta da nessuna parte. E' il bello del gioco.
Il libro è un mezzo: lo puoi usare per lanciare un messaggio che altri vanno a leggere.
A noi piace il libro. Soprattutto perché bambini e adulti lo ricevono in modo differente.
Ma... i nostri, sono davvero libri per bambini? E per adulti?
Noi camminiamo in equilibrio proprio su questo filo sospeso che unisce infanzia e età adulta
E da lì lanciamo domande in una direzione e nell'altra.
Il gioco è nel cammino, o come dice Paul Cox: Il modo in cui gioco mi indica cosa cerco.

giovedì 16 dicembre 2010

Milimbo

Certe cose nascono e crescono lentamente, come piante grasse. E appena ci metti il dito, zac!  pungono e ti accorgi che sono lì, e, tranquillo, non te ne dimentichi piú.

Qualche anno fa, alla libreria "Loring art" di Barcellona (visita caldamente consigliata se siete a zonzo per la città catalana), siamo rimasti sorpresi sfogliando un libro autoprodotto da uno studio grafico di nome Milimbo. Era un Cappuccetto rosso. Ci piacque, anche perché pensammo che fosse una maniera nuova di raccontare una fiaba tradizionale. Anche la scelta del titolo era originale: Y recuerda... E ci innamorammo delle illustrazioni di questo albo senza parole, dal gusto persino un po' rétro.


Passa il tempo, ed ecco che ci imbattiamo di nuovo in Milimbo; questa volta ci mettiamo ad esplorare la pagina web. Scopriamo che, oltre ad Hansel y Gretel, esistono anche Una rubia de Rusia (cioè una versione di Riccioli d'oro e i tre orsi ai tempi della Perestroika) e un simpatico La luna sabe a pescao. Milimbo fa anche dei poster molto accattivanti. Li trovate in vendita qui.

Visitiamo anche il blog: è da tenere d'occhio. E dopo una chiacchierata durante la Fiera di Montreuil, riusciamo a conoscere meglio il lavoro di questo studio, che nel frattempo è diventato editore.
Partito come un progetto di autoproduzione molto coraggioso, Milimbo fa ricerca sulla grafica, il design e il mondo editoriale e dell'illustrazione. Juanjo, anima di questa micro casa editrice, ci parla entusiasta di quest'ultimo anno, costellato di novità; dell'interesse che piano piano cresce attorno ai libri; delle prime partecipazioni alle fiere. Ci parla del futuro. La nostra impressione è che quando le cose si fanno bene, quando si assumono i rischi e la responsabilità delle proprie scelte, quando si ha la determinazione necessaria (e anche il talento!), allora tutto non può che andare bene.
Chissà quindi quale sarà la prossima mossa di Milimbo. Per ora, è impegnato a crescere. Buona fortuna!