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giovedì 14 febbraio 2013

Un santo e due fidanzati

San Valentino è la festa più trash e imbarazzante dell'anno. Nulla la eguaglia. In confronto, Natale coi babbi natali lustri della Coca Cola e Pasqua, con uova alte come condomini, fanno ridere. E anche l'orrore da supermercato di Halloween, a base di zucche e faccioni sghignazzanti, fa pena, paragonato alla colata di melassa che il 14 si abbatte su noi, inermi consumatori. Il terreno dei sentimenti è una montagna di succulento letame per le imprese di mezzo mondo che in questa festa trovano, a mio avviso, non solo una facile strada per fare le solite montagne di quattrini, ma una leggittimazione alla perversione estetica a cui, pare, siano patologicamente avvinte.

Mi sono sempre chiesta che colpe avesse questo povero santo per vedersi appioppata la protezione della fascia più noiosa e prevedibile dell'umanità: gli innamorati. Indagando, ho scoperto che in realtà è anche protettore degli epilettici, notizia che mi sembra in qualche modo restituire un po' di dignità alle sue funzioni. Su wikipedia, trovate su di lui numerose informazioni: vissuto fra il secondo e il terzo secolo, di famiglia patrizia, divenne vescovo di Terni a 21 anni, il che fa riflettere sulla credibilità che a quei tempi si attribuiva ai giovani.

E non ditemi che all'epoca si viveva poco: Valentino morì a 76 anni, decapitato, dopo essere stato martirizzato, per ordine dell'imperatore Aureliano, durante le persecuzioni dei cristiani.
Gli episodi per cui a San Valentino è stata attribuita la protezione degli innamorati fanno arrossire di vergogna: uno narra che prima di essere giustiziato trovò il tempo di scrivere un bigliettino alla sua ragazza (a 76 anni? un vescovo?) da cui l'ignominiosa tradizione dei valentini. Un altro, che la sua specialità era riconciliare coppie litigiose: una sorta di psicoterapeuta della coppia. Un altro, che congiunse in matrimonio due giovani moribondi che, a fine nozze, perirono felici: menagramo. Ma l'episodio più improponibile racconta che il santo per ispirare amore a due giovani li avvolse di tubanti coppie di piccioni in volo.

Da cui, pare, è nata l'espressione piccioncini. Se così è andata, si è meritato la festa e il suo orrore nei secoli dei secoli. Amen.
L'immagine dei piccioni mi ha fatto venire in mente un libro illustrato che quando ero piccola guardavo con curiosità, sebbene non fosse affatto per bambini: Si parla d'amore di Raymond Peynet, illustratore assurto alla gloria per i suoi “innamoratini”. Il libro approdò in casa Zoboli regalato dalla famiglia Topi, in particolare da mia zia (non ridete: mia zia faceva Beatrice Zoboli, ma aveva sposato il dott. Mario Topi) che era un tesoro, ed era romanticissima, sentimentalissima, benché fosse una seria e molto perbene professoressa di lettere. Lo regalò ai miei genitori per il Natale 1961 e il Capodanno 1962, anno in cui poi io feci la mia apparizione.

Mi rendo conto che il tempo che passa dona ai libri vintage una allure che quelli nuovi si sognano.
Però, detto questo, sfogliando quella produzione anni Sessanta, mi sembra che in qualche modo, abbia una sua grazia. E poi, c'è poco da fare i superiori, perché Peynet, nato nel 1908, ebbe una celebrità planetaria in quegli anni, e in Francia è, tutt'ora, una gloria nazionale (ecco una nazione che sa valorizzare i suoi figli). Basti dire che nel 2000 le poste francesi hanno dedicata ai due fidanzati una serie di francobolli, che esistono ben quattro musei a loro dedicati, di cui due in Giappone, e che nel 1987 Peynet fu insignito dalla République Française del titolo di Commandeur de l' Ordre des Arts et Lettres.

La sua coppia ispirò canzoni a Brassens, Les amoureux des bancs publics, e ad Aznavour, Les Amoureux de papier, che non sono proprio gli ultimi della fila. Va detto che questo onestissimo, garbato e sorridente disegnatore, che si era diplomato a un'ottima scuola parigina di arti applicate, lavorava per riviste come Le Rire, Rire à deux, Paris Magazine, The Boulevardier, e quindi Marie France, Elle e Paris-Match. Gli innamorati di Peynet, cioè il poeta-violinista e la sua sbigottita, illogica fidanzata, presero forma nel 1942, davanti a un gazebo per orchestrine nella cittadina di Valence.

La musa di Peynet era la moglie del disegnatore, incontrata nel 1930, dal profetico cognome di Damour.
Sentimenti a parte, i due fidanzati divennero un business da far impallidire: stampati su libri, cartoline, tazze, biro, stoffe, portaceneri e quant'altro, invasero il mondo. E le bamboline in lattice che li raffiguravano vendettero sei milioni di pezzi, e furono surclassati solo dalla reginetta assoluta del trash nascente: Barbie, la guastafeste.
Ciò detto, le immagini di questo libro, ingiallite dal tempo, a riguardarle oggi, con ancora il ricordo esatto della sensazione che mi facevano da piccola (con quella frivolezza francese della lingérie

sempre in bella vista, fra reggiseni, mutande di pizzo e giarrettiere), non sono poi così male. Specialmente alcune.
Quelle del millebraccia e della farfalla-zerbino sono le mie preferite. Non so se è anche per tenerezza verso il ricordo di mia zia, la favolosa, romantica signora Topi che vedo questi disegni in questa prospettiva. Sia come sia, in questo diabolico 14 febbraio a lei dedico, e a noi e a voi, questa canzone.