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lunedì 16 febbraio 2015

Calder e Tinguely: giocattoli d'artista 2

Alexander Calder nella posa del leone.
[di Lisa Topi]

Nel post di lunedì 9 febbraio, abbiamo parlato dei dipinti di Andy Warhol sulla sua collezione di giocattoli. Ebbene, di diversissima natura è il rapporto di un altro grande artista del novecento con il gioco. Alexander Calder racconta che da bambino era solito arricchire il suo ampio repertorio di giocattoli con aggiunte di fil di ferro, rame e altri materiali. Così, con un armamentario di tutto punto, lui era Tristano e il suo amico Lancillotto. Molti anni dopo, a Montparnasse lo soprannominarono le roi du fil de fer e dobbiamo a un commerciante di giocattoli serbo, che lo spronò a guadagnarsi la vita così, se Calder ci ha lasciato le fantastiche sculturine del suo circo.

Ugo Mulas, Cirque Calder, il lanciatore di coltelli.
In questo scritto, Calder racconta come sono nati il trapezista, l’acrobata, la danzatrice del ventre e – il mio preferito – il lanciatore di coltelli che, a sua volta, ha una première e una deuxième favorite: delle vallette intercambiabili. Sono figure di filo di ferro, tela, legno e sughero che contengono nei loro corpi essenziali e filiformi tutta la vastità dell’espressione umana. Come nelle sculture mobili di Calder, c’è qualcosa in loro di giocoso e rigoroso insieme, con l’impareggiabile leggerezza data dalla capacità dell’artista di scavare la materia fino a confonderla con lo spazio aereo.

Ugo Mulas, le Cique Calder, danzatrice del ventre.
Le Cirque Calder è nato per essere contenuto in una valigia e in un meraviglioso video si può ancora ammirare la scenografia che faceva da sfondo agli spettacoli itineranti, uno spoglio teatrino con marchingegni di ogni sorta e un grammofono azionato da un grande chef d’orchestre: la moglie di Calder. La voce roca e pastosa dell’artista non sembra poter uscire dallo stesso burattinaio che con incredibile eleganza e agilità accenna i movimenti dei personaggi.

Ugo Mulas, Le Cirque Calder, Alexander Calder.

Non c’è traccia in questo circo del patetismo che tradizionalmente richiama l’immaginario circense, piuttosto c’è il fascino dell’esotico, del nomadismo, della diversità, lo stupore che provoca nel bambino un dispositivo meccanico che anima l’inanimato o nell’adulto che nell’arte cinetica riconosce un incanto lontano. La sorpresa che ci rapisce anche di fronte alle macchine di Jean Tinguely, al colore, alla vitalità di sculture che non sono del tutto antropomorfe e nemmeno pura ingegneria, al loro moto lento, ritmico e acquoso.

Jean Tinguely con una delle sue macchine-sculture.

Warhol, Calder, Tinguely sono tutti grandi innovatori. Forse per creare linguaggi nuovi sperimentare la finzione estrema e la spensieratezza del gioco è una tappa necessaria. A loro non dobbiamo solo l'ampliamento della gamma di mezzi espressivi possibili, ma anche uno sguardo nuovo nel quotidiano. Del resto non c’è mattinata buia che non possa essere rischiarata da un video così:





lunedì 9 febbraio 2015

Andy Warhol: giocattoli d'artista

Andy Warhol's children's book, copertina.
[di Lisa Topi]

Andy Warhol’s children’s book riunisce alcuni dipinti e serigrafie che l’artista realizzò nei primi anni Ottanta ispirandosi alla sua collezione privata di giocattoli. Andy Warhol che colleziona giocattoli è un’immagine piuttosto discordante da quella dell’avanguardista libero e provocatore. In realtà, se si considerano alcuni aspetti della sua enigmatica biografia ammetteremo che, in fondo, il collezionista di giocattoli è lo stesso delle tenere e sgargianti illustrazioni di gatti: quei venti e passa gatti con cui, a quanto pare, viveva in casa della madre prima di inaugurare l’arcinota stagione della Factory.

Andy Warhol, Cats.

A proposito dei dipinti in serie della zuppa Campbell, scrive Arthur C. Dantho che la griglia costituita di otto dipinti disposti su quattro file, che rappresentavano ciascuna delle trentadue varietà di zuppe Campbell prodotte all’epoca, era stata concepita come se si trattasse di un allestimento di ritratti di personaggi importanti. [...] la presentazione è rigidamente frontale, come dei ritratti bizantini, e le quattro file costituite di otto dipinti ciascuna assomigliano a una moderna iconostasi, a una parete ricoperta di icone come quella della chiesa ortodossa di San Pietroburgo dove la madre di Andy, Julia Warhola, andava a pregare quando era piccola. Oppure, possono assomigliare a una serie regolare di scaffali di un supermercato.

Andy Warhol, Campbell's soup.

Questa interpretazione mi pare riassuma perfettamente la contrapposizione nella figura di Warhol tra la fredda perfezione formale delle sue opere – quasi non ci fosse pittura, non ci fosse arte; il che, nella mia visione, è speculare alla sua algida e superba presenza – e il privato del ragazzo che sacralizza l’immaginario materno e colleziona giocattoli. Lo slancio spirituale, la rivoluzione pop.

Andy Warhol, Panda drummer.
Panda drummer.

O, ancora, il contrasto tra la ferocia della critica alla società consumistica, di cui ritrae i desideri sterili e impersonali della pubblicità elevandoli a materia d’arte, e allo stesso tempo l’esaltazione dell’American way of life che, pure, è un riparo caldo e sicuro. Perché l’immediata riconoscibilità dei contenitori di zuppa, della scatola del detersivo, delle bottiglie di coca-cola non serve solo ad abbattere la barriera tra arte seria e arte popolare e a scuotere le fondamenta della filosofia estetica, serve anche a riconoscersi nei miti concreti di una società sempre più materialista, ma anche più egualitaria e, paradossalmente, sognante. Spiega, Dantho, che Andy Wharol, classe 1928 e figlio di immigrati, adorava quell’America in cui chiunque tu sia, non potrai mai avere un barattolo di zuppa migliore degli altri.

Andy Warhol, Roli Zoli.
Roli Zoli.
Proprio Myths si chiama la serie di ritratti ai personaggi della sua infanzia, quella dei Superman e dei Braccio di ferro. Toy è il titolo della collezione riprodotta nel nostro lussuoso cartonato. E quale oggetto meglio del giocattolo incarna l’immagine del desiderio, del rifugio dorato dell’innocenza in cui non è ancora nata l’irrimediabile opposizione tra materiale e transitorio, per cui un cagnolino meccanico può avere lo stesso valore di un’icona?

Andy Warhol, Mechanical Terrier.
Mechanical Terrier.

Le serigrafie di questo libro più che rappresentare il giocattolo sembrano voler mostrarci la sua confezione, tanto che i nomi con i caratteri originali sono bene in vista. Conosciamo bene l’amore di Warhol per le scatole (le famosissime Brillo, per esempio) che, però, non esponeva come ready made ma ricostruite da zero: onore al fascino artigianale, sebbene meccanico, del fare arte. Rispetto alle prime tavole di Andy Warhol, che illustrò anche libri per ragazzi, i colori di queste serigrafie sono più saturi e i contorni meno netti. La sovrapposizione di linee, bordi e colori crea un effetto “mosso”, come se a queste immagini tratte dalla sua storia personale associasse un tocco leggermente più espressionista. Un tocco che, non mi si chieda di spiegarne le ragioni, mi fa venire in mente la scena in cui Citizen Cane pronuncia il sospirato Rosebud in punto di morte.

Andy Wahrol, Moon Explorer. 
Moon Explorer
Alla prossima puntata le meraviglie di Alexander Calder!

[Andy Wahrol's Children's book è uno snello volumetto (12 pagine, 14 x 18 cm.) con il dorso in tela rossa, le pagine in cartone e gli angoli arrotondati, pubblicato a Zurigo nel 1983 dalla Galerie Bishofsberger. Non è eccessivamente raro ma è piuttosto costoso. Difficilmente si trovano esemplari perfetti a meno di 150 euro nel mercato antiquario. Il prezzo medio è intorno ai 300 euro. Ma non bisogna disperare: sabato 7 febbraio ne è stata aggiudicata una copia in un'asta eBay a cinquantasei euro e cinquanta.]