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mercoledì 30 settembre 2015

Esperienze /8: Far parte di una fucina

Rossana all'opera a Sàrmede.

Quest’anno volevo partecipare a un corso d’illustrazione ma sentivo la necessità di trovare un insegnamento che andasse oltre la realizzazione di una o due immagini.
Volevo trovare un corso in cui l’illustrazione fosse pensata e realizzata in funzione del libro.
Il corso Progettare libri tenuto da Paolo Canton l’avevo già fatto, anche il Progettare Libri 2. Dovevo cercare altrove.
Alla Bologna Children’s Book Fair, presso lo stand delle Immagini della fantasia, la scuola d’illustrazione di Sarmede ho assistito alla presentazione del corso Illustriamo un libro di Valeria Bertesina.
Mano a mano che Valeria parlava con quel suo tono preciso e calmo io rimanevo impigliata tra le sue parole. L’obiettivo del corso era la realizzazione di una o più illustrazioni per un libro che sarà pubblicato dalla casa editrice Tassotti a dicembre 2015. Il libro contiene una piccola raccolta di poesie scelte tra i classici.

Al lavoro, nonostante il caldo, nella storica sede di Rugolo.
Avevo trovato il corso adatto a me, c’era solo un problema, alla fine della presentazione, i posti disponibili erano esauriti.
Non mi sono data per vinta, infiltrata nella lista d’attesa e grazie alla disponibilità di Valeria e dell’editore Tassotti, che ha acconsentito ad aggiungere un quartino al libro, sono riuscita a partecipare.
Un mese prima dell’inizio di Illustriamo un libro, Valeria ha inviato agli allievi il testo delle poesie in modo che potessimo leggerle, sceglierne un paio e cominciare a riflettere sulle possibilità d’interpretazione e illustrazione e magari realizzare qualche bozzetto.

Jani Lunablau.
Sandrine Duc.
La seconda settimana di luglio a Sarmede faceva un gran caldo e fin dal primo giorno di corso è stato subito chiaro che avremmo sudato parecchio e non solo per l’alta temperatura.
Valeria ha cominciato considerando le poesie che ogni allievo aveva scelto e gli eventuali bozzetti fatti, così da assegnare a ognuno di noi la poesia più adatta da illustrare.
Dovevamo realizzare una o più illustrazioni per la poesia da inserire nel libro, una o anche due illustrazioni sempre legate alla poesia per la mostra itinerante che accompagnerà l’uscita del libro, un’immagine per la copertina, che sarebbe stata scelta dall’editore, proporre almeno tre titoli.
Valeria ci ha richiesto anche di scrivere il colophon. Ho così imparato che nei libri d’artista il colophon non è composto solo dai dati informativi consueti ma anche dall’indicazione della tiratura, dalla genesi del libro, dai nomi delle persone coinvolte, ed eventuali aneddoti.
Insomma il colophon diventa un piccolo, prezioso racconto di quel che è l’oggetto libro che si tiene in mano.

Anita Cerpelloni.
Oana Alexandrescu.
Sono rimasta affascinata dal mondo lavorativo e professionale che riguarda il libro d’artista del quale Valeria ci ha fornito utili e interessanti informazioni, relative anche al mondo dell’arte in generale.
La mole di lavoro da svolgere era tanta e non facile ma il gruppo di diciassette persone, scelte personalmente da Valeria visionando i portfolio e in base alla tecnica usata da ognuno in modo da avere una grande varietà di immagini all’interno del libro, ha dimostrato coesione e concentrazione.
Io ho riscontrato grande professionalità e capacità tra i miei compagni come raramente mi era capitato a un corso. In realtà non sembrava neanche di partecipare a un corso, ma di far parte di una fucina creativa (credo che questa parola mi sia stata suggerita dalla sensazione di caldo che ancora mi porto addosso) in cui si respirava un’aria intensa, ricca di scambio di competenze in funzione della realizzazione di un lavoro comune, di una pubblicazione. 
Durante il corso il gruppo è stato anche supportato e seguito da due assistenti, Roberta Campagnolo e Antonia Conte.
Rossana Bossù.
Laura Toro Bermejo.
Valeria è un’insegnante di grande esperienza, molto competente e professionale, mette a disposizione dell’allievo la propria conoscenza come artista e come curatrice di mostre d’arte, ma è anche severa, quella severità che ti porta a sperimentare, non accontentarti della prima versione, ricercare, provare, sfruttare appieno il proprio modo di esprimersi senza prendere scorciatoie. 
In questo caso, in cui il lavoro di ognuno doveva confluire in un progetto comune, la richiesta di professionalità era ancora più alta. L’editore Tassotti ha messo a disposizione un grafico che durante il corso ha scansionato le immagini e ha iniziato il lavoro d’impaginazione, così tutti hanno avuto la possibilità di comprendere in pratica le necessità tecniche, le problematiche e i vari passaggi in funzione del prodotto libro.
Sì perché, come ha ripetuto mille volte Paolo Canton durante i suoi corsi, anche in questo caso Valeria ha voluto sottolineare la questione: l’immagine, l’illustrazione, se in funzione di un libro, non va considerata come entità a sé ma come parte di un tutto. Se come illustratori, quando creiamo un’immagine, pensiamo a essa come a un libro che comprende il testo, la narrazione, il formato, l’impaginazione, il tipo di carta e di rilegatura, la stampa, in cui ogni elemento è legato all’altro, faremo sicuramente un lavoro migliore.

Elide Piras.
A inizio corso Valeria ci ha detto che il plurale di Illustriamo un libro indicava proprio un lavoro di gruppo a cui anche lei avrebbe contribuito non solo con l’insegnamento e il supporto durante la creazione delle illustrazioni. Una volta terminate le immagini è iniziato il lavoro difficile di Valeria nel dare la giusta sequenza alle illustrazioni all’interno del libro, impresa non facile considerata la profonda diversità di tecnica e di realizzazione.
Qualche settimana fa abbiamo potuto vedere una bozza del libro, sfogliandolo si percepisce tutto il lavoro e l’impegno del gruppo nel realizzarlo.
Nonostante tutti i nostri sforzi ci è mancato il tempo di proporre il colophon e la copertina del libro, di quest’ultima abbiamo però avuto la possibilità di realizzare delle proposte da casa e inviarle per sottoporle alla scelta dell’editore. Ovviamente la mancanza di tempo non è stata dovuta alla nostra lentezza nel lavorare, ma al mese di luglio più caldo degli ultimi 136 anni. 

Claudia Castiglioni.

lunedì 10 febbraio 2014

Sposare un geometra e andare sulla luna

Galileo Galilei, Osservazioni della Luna, acquerelli, 1609.
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale [ms. Gal. 48].
C'erano una volta mia madre e una bambina di sette, forse otto anni. «E tu cosa vuoi fare da grande?» «Voglio sposare un geometra.» La Zoboli è corsa a nascondersi in bagno, ma da dietro la porta si sentiva l'inequivocabile, imbarazzante fragore delle risate. Alla stessa domanda, i bambini della mia generazione rispondevano, «l'astronauta». Sembrava non ci fosse altro mestiere possibile.

L'esplorazione dello spazio e la conquista della Luna non sono state solo uno strumento di supremazia politica e militare e una delle tante armi non convenzionali con le quali si è combattuta la Guerra fredda. Sono state anche una missione per l'umanità intera, un'intrapresa che ha unito - non diviso - piccoli pionieri sovietici, boy scout statunitensi, monelli di strada napoletani e figli della piccola borghesia milanese.

Io, timido rappresentante di quest'ultima, menavo gran vanto della gigantesca mappa della Luna, allegata a un numero del National Geographic, che vegliava sulle mie notti, succedaneo del satellite che da milioni di anni vegliava sulle notti dell'uomo e che io guardavo assai di rado, un po' perché mi spedivano a letto dopo Carosello, un po' perché abbandonarsi alla meraviglia sarebbe stato poco s-c-i-e-n-t-i-f-i-c-o: sulla Luna bisognava andarci; la Luna bisognava scoprirla e conquistarla; e tutto questo aveva ben poco a che fare con la poesia.

Il "mio" poster della Luna.

Valeva per me quel che affermava George Santayana: per la maggior parte degli esseri umani le stelle sono belle, ma se si domanda loro perché non sapranno rispondere fino a quando non avranno ricordato qualche nozione di astronomia. «Le vaghe e illusorie idee così suscitate si adattano così bene alla sciocca emozione che stavamo provando che attribuiamo questa emozione a quelle idee e ci persuadiamo che la potenza dei cieli stellati stia nella suggestione dei fatti astronomici.» Insomma, dobbiamo "parlare" la meraviglia e, se non ci riusciamo, guardiamo da un'altra parte.

Thomas Harriot, tre disegni della Luna, 1609-1611. Collezione privata.

Certo, la Luna era bella. Come diceva Henri Poincaré «lo scienziato non studia la natura perché ciò è utile; la studia perché ne prova piacere, e ne prova piacere perché essa è bella.» Se la Luna non fosse stata bella, non sarebbe valsa la pena di conoscerla, di conquistarla, di esplorarla. Ma da lì ad abbandonarsi alla sciocca emozione... Il chiaro di luna l'aveva già ucciso un tal Marinetti, nell'aprile del 1909: ai tempi di mio nonno.

Michel Florent van Langren, Plenilunii Lumina Austriaca Philippica, 1645.
Edimburgo, Crawford Library.
Poi, sulla Luna ci siamo andati. E la cosa è finita lì: nel nulla della polvere e dei sassi di quel coso che ci gira intorno. Abbiamo continuato ad andare nello spazio, ma non gliene frega più niente a nessuno. Non è più un'avventura, non è più una missione per l'umanità. È roba tecnica. Roba che finisce sui giornali solo se capita una catastrofe, o se un russo rimane chiuso in una stazione spaziale orbitante grande come uno sgabuzzino per le scope per 437 giorni e 18 ore. Ma è un po' come  se avesse mangiato 21 scorpioni vivi: nessuno osa domandare il perché.



Abbiamo, insomma, perso quel senso di scopo collettivo che ci dava la conquista dello spazio che, oltre ad averci portato su un pianeta inutile (non era fatto di formaggio; non era popolato di strane creature di intelligenza superiore; né prometteva di potersi trasformare rapidamente in una nuova Disneyland), ci aveva sottratto il desiderio di guardare la Luna, ormai relegata nell'ambito della tecnica, depurata del fascino e del mistero, scansita e analizzata nella sua composizione, tracciata con precisione millimetrica nella sua orbita, scrutata da occhi elettronici. Certo, ogni tanto ci capitava anche di abbandonarci alla meraviglia, di avvertire il vortice dell'ineffabile, ma quella cosa lì nel cielo, con la sua mutevolezza e i suoi prevedibili capricci, non era più la seducente amante che per millenni era stata, ma una vecchia compagna della quale si pensa di sapere tutto solo perché non la si guarda più con attenzione.



D'altra parte, già Walter Benjamin, che non era proprio l'ultimo arrivato, aveva parlato di come l'ebbrezza (Rausch) che distingueva la contemplazione antica del cielo fosse andata scomparendo con la crescita dell'astronomia moderna, legata all'“unione ottica” con l'universo, cioè con la conoscenza fornita dal telescopio. L'ebbrezza dell'uomo antico poteva nascere soltanto all'interno della comunità e «l'aberrazione che minaccia i moderni è di ritenere questa esperienza irrilevante, trascurabile, di lasciarla all'individuo come estetica contemplazione di una bella notte stellata.»


Poi è arrivato un libro. Questo qui, del quale guardate le immagini. Almeno, è arrivato per me. Ed è stato, sempre per me, rivelatore: mi sono reso conto con sorpresa di quanto poco avessi osservato la luna; e anche di come fosse necessaria, assolutamente necessaria, una narrazione come questa per riaccendere la vecchia fiamma. È stata per me la dimostrazione lampante, diretta e personale del bisogno che abbiamo delle storie come strumenti di integrazione nella realtà. Magari anche di storie senza parole. Anzi, soprattutto senza parole, se la materia di cui si tratta è l'ineffabile.


Ma è stata anche la rivelazione di come, contrariamente a quanto ci suggerisce Benjamin, la conoscenza scientifica, profonda e dettagliata, che questo libro rivela non sia che un amplificatore dell'energia poetica che l'oggetto di tanta osservazione contiene in sé.


Ecco, così, sulle pagine di questo libro, per me la Luna ha finalmente cessato di essere solo l'unico satellite della Terra. Certo, è rimasta pur sempre quel corpo celeste che compie un'orbita ellittica della sfera celeste, calcolata rispetto alle stelle fisse, in media ogni 27,321661 giorni eccetera. Ma è finalmente tornata a essere anche «una lampadina attaccata al plafone.» E le stelle, se non lo sapevate, «sembrano limoni tirati nell'acqua.»



Questo libro non  ha un titolo, né parole, né nome di un autore, né il marchio di un editore in copertina. Solo un fondo di un blu violaceo sul quale si staglia un tondo argentato che rispecchia, a tenerselo davanti al volto, un'immagine fantasmatica. Dentro, replica per sessantaquattro pagine sostanzialmente la stessa immagine.



All'ultima pagina, prima dei risguardi di quel blu scurissimo che identifica la notte e l'eleganza archetipiche (midnight blue lo chiamava il Duca di Windsor, che lo preferiva al nero per le sue dinner jacket) si scopre che si intitola Dans la Lune, che è stato realizzato da Fanette Mellier per le Èditions du Livre, che è dedicato a Marcus, che è stato ispirato da una mostra realizzata al Centre Cultural pour l'Enfance di Tinoueux e che è stato pubblicato con il sostegno della direzione per gli affari culturali dell'Alsazia.



Il libro si compie in una sequenza di ventotto rappresentazioni della luna nel corso del suo ciclo, giocate sul bianco del disco (o della sua porzione visibile) che risalta sullo sfondo blu scuro, reso leggermente marezzato dal pelo della carta, e alonato da un gioco sapientissimo di velature diluite di giallo tenue o blu ceruleo e di neri pieni. Un lavoro graficamente impeccabile e un'esecuzione quasi perfetta (ma dato che sono notoriamente un rompiscatole, avrei scelto una carta diversa). Chi lo volesse lo può ordinare nel sito dell'editore, o correre da Spazio Bk a Milano o alla Libreria Sempreliberi di Lodi.

martedì 2 aprile 2013

Ero analfabeta, ma piena di favole

Maria Lai, Le parole imprigionate, 2008.
Fino al 27 aprile, a Milano, alla Nuova Galleria Morone sarà aperta la mostra di Maria Lai Tracce di un dio distratto, curata da Manuela Gandini. Fra le opere esposte, alcuni dei suoi celebri e bellissimi libri: pagine di tela ricamate, cucite, filate. Siccome, giustamente, questi libri non si possono sfogliare, il gentilissimo gallerista presente sul posto lo ha fatto per me, raccontandomeli. In particolare quello dal titolo La leggenda del Sardus Pater, ispirato alla favola che lo scrittore Giuseppe Dessì dedicò a Maria Lai negli anni Settanta, intimamente legata al patrimonio culturale e fiabesco della Sardegna, ai suoi dei e miti. Un libro che, mi è stato detto, come altri è stato realizzato da Maria Lai per raccontare favole a dei bambini, poiché, come è scritto nel bel catalogo della mostra, questa artista proprio ai bambini ha dedicato, per gran parte della sua vita, un progetto educativo basato interamente sull'arte.

Maria Lai, La leggenda del Sardus Pater, 1990.

Il modo che ha questa artista di raccontare, partendo dalla forma canonica del libro per approdare a una sua completa reinvenzione, passa attraverso tutte le sue componenti: materiali e immateriali, visibili e invisibili. Direi anzi che, soprattutto, sono queste ultime a essere evocate. Perché la storia narrata esce dal bordo della pagina, estendendosi e alludendo allo spazio spirituale, simbolico, naturale, cosmico in cui gli esseri umani sono immersi, e a cui sono chiamati e intimamente legati.

Maria Lai, La leggenda del Sardus Pater, 1990.

Nei libri di Maria Lai il lettore è invitato a compiere il passaggio a una dimensione altra, spiazzante, che è quella dell'assoluto, a cui dà accesso l'opera d'arte, intesa come espressione più alta dell'essere umano. Maria Lai assembla, congiunge, cuce e ricama pagine, parole, immagini, intrecciando le trame delle storie e i fili del discorso, invitando il lettore ad abbandonare i tracciati consueti, l'ordine canonico della pagina per scoprire forme di lettura nuove e significati a un tempo antichissimi e nuovi, universali e individuali.

Maria Lai, La leggenda del Sardus Pater, 1990.
L'infanzia è una dimensione fortemente presente nel lavoro di questa artista, e per questo la sua figura mi ha particolarmente interessato. Uno dei suoi lavori più noti, Legarsi alla montagna, che ha coinvolto nella sua realizzazione l'intero paese di Ulassai e la sua popolazione, in Sardegna, è ispirato a una leggenda fondata su una storia vera, riscoperta dalla Lai: quella di una bambina che si salvò da una frana uscendo dalla grotta in cui aveva cercato rifugio, insieme ad altre persone, durante una tempesta per seguire un nastro celeste apparso in cielo.

Al sindaco di Ulassai che aveva invitato la Lai a realizzare un monumento ai caduti, l'artista rispose con la proposta di un'opera dedicata ai vivi, e ispirata alla figura arcana e salvifica di questa bambina.
Che nella storia dell'artista l'infanzia sia stata determinante per le scelte sia umane sia artistiche, e fondante per l'intero corso della sua esistenza, lo ha scritto la stessa Maria Lai in un un brano autobiografico, bellissimo, dal titolo L'isola dei miei naufragi che potete leggere integralmente qui, nel sito di Stazione dell'Arte, il museo di Ulassai che custodisce gran parte delle opere di Maria Lai. Vi riporto alcune righe, che riguardano la sua infanzia e sono, a mio avviso, di straordinaria intensità. (gz)

Maria Lai ritratta da Daniela Zedda.

Ero convalescente e il clima del mio paese, in alto sulla montagna, minacciava la mia fragilità. Fui affidata agli zii che non avevano figli, ma se dall’età di due anni non tornai in famiglia che al tempo della prima adolescenza, non fu per un progetto di adozione. Quel primo distacco fu una specie di profezia. La mia salute tardava a ristabilirsi, tenendo tutti in allarme per un tempo più lungo del previsto. Più di una volta, le malattie sono state complici delle mie scelte. Della famiglia vedevo spesso solo mio padre, che per i suoi impegni di veterinario nella zona veniva spesso a trovarmi e anche perché le sue visite erano una festa per me. Madre e fratelli erano quasi estranei. Avevo quattro anni quando gli zii diedero ospitalità a due carrozzoni di zingari. Avevano cercato rifugio in Sardegna durante la prima guerra e disperavano di ripartire. I loro carrozzoni, difficili da imbarcare, restarono quindi posteggiati per più di un anno a pochi passi dalla casa degli zii. Gli zingari lavoravano nei campi, ma praticavano anche la loro attività di acrobati e giocolieri, a cui venivano allenati anche i loro tanti bambini. Fui accolta e frequentai i loro giochi. Imparavo un po’ delle loro abilità e facevo spettacolo per gli zii che mi applaudivano. Quando gli zingari dovettero partire, con la complicità dei loro bambini mi nascosi in un carrozzone. Solo in viaggio fu scoperta la mia fuga. Gli zingari mi trovarono addormentata e tornarono indietro durante la notte per riportarmi in braccio agli zii. Ma io continuai a viaggiare per anni, con la fantasia, su quei carrozzoni. La mia vita con gli zii fu un grande viaggio nella fantasia, nella vastità della grande casa, della campagna, dei giochi. Ero analfabeta, ma piena di favole. Ciò che ho fatto dopo, da adulta, è iniziato a quell’età. Mani, occhi, parole, diventavano collegamenti tra realtà e sogno. 

Maria Lai, Tenendo per mano il sole, 1983.

venerdì 5 ottobre 2012

Inventare un libro d'artista

Durante un laboratorio alla Libreria Sempreliberi di Lodi.

Abbiamo conosciuto Barbara al nostro gruppo di lettura Alle nove da Babar, vera e propria miniera di incontri e idee. Barbara gestisce la libreria per ragazzi Sempreliberi nel centro di Lodi, e, come molti librai indipendenti, è attivissima nel fare cultura, organizzando letture, laboratori, dibattiti, mostre sui temi più diversi. Qualche giorno fa, ci ha comunicato la notizia di un evento davvero molto interessante da lei ideato e realizzato con la collaborazione di persone e istituzioni della sua città. Per questo le abbiamo chiesto di raccontarcelo. Grazie Barbara!

Spazio letture alla Libreria Sempreliberi.
[di Barbara Scotti]

Al termine della “stagione” 2011-2012, facendo un bilancio delle attività realizzate e del pubblico coinvolto, mi viene in mente che forse bisognerebbe trovare il modo per coinvolgere una fascia di età, quella degli adolescenti, che frequenta poco la libreria (almeno la mia, anche se l'offerta non è limitata ai soli libri per l'infanzia).

Così propongo a Elena De Prezzo, la persona che progetta e conduce i laboratori per noi, di ideare un concorso per la creazione di un libro illustrato. Il concorso dovrebbe avere come destinatari gli studenti del liceo artistico. Detto fatto, ci mettiamo a scrivere il regolamento e iniziamo a proporlo a enti e istituzioni [lo trovate qui e una lettura la merita, ndr].



L'idea va in porto grazie al contributo della provincia di Lodi e del Sistema Bibliotecario Lodigiano che, nella persona del suo responsabile, Emanuele Maffi, accoglie positivamente la proposta.

Durante un laboratorio alla Libreria Sempreliberi di Lodi.

Illustrazione di Alicia Baladan.
Altra persona fondamentale è un'insegnante del liceo artistico Callisto Piazza di Lodi, la signora Riboni, che si presta a fare da tramite fra noi e la scuola, promuovendo l'iniziativa fra insegnanti e studenti.

Mentre il progetto prende corpo, si fanno incontri, si scambiano e si condividono idee e così Daniela Crespiatico, bibliotecaria di Lodi, lancia la proposta di far incontrare gli studenti con un illustratore professionista.
Io invece mi fisso sull'idea che sarebbe una grande opportunità per i ragazzi, ma anche per la città di Lodi: ospitare l'archivio del libro d’artista per bambini Ópla.






S. Delaunay, Alfabeto,
Emme Edizioni, 1970.
Il Sistema approva entrambe le proposte e supera alcuni ostacoli tecnici legati all'esposizione dei libri dell'archivio Ópla, coinvolgendo il Museo della Stampa di Lodi, struttura gestita da volontari, che si presta a ospitare la mostra.
L'illustratrice scelta è Alicia Baladan. Il suo compito sarà quello di raccontare agli studenti il mestiere dell'illustratore e cosa significhi pensare e fare un libro illustrato. I due eventi, mostra e incontro con l'illustratrice, sono aperti al pubblico.




E. Baj, The biggest art-book in the world,
Mazzotta, 1968
Il 5 e l'8 ottobre, io e Elena incontreremo gli studenti per spiegare il regolamento del concorso e alcuni aspetti tecnici che forse potrebbero intimorirli: per esempio, la rilegatura, la copertina, lo storyboard, cosa si intende per non fiction eccetera. A questo proposito, abbiamo pensato di fare un libro senza parole proprio per facilitare i ragazzi nella realizzazione: ci sembrava che dover scrivere anche un racconto avrebbe richiesto abilità diverse e complicato il progetto.





M. Glaser, The Alphazeds,
Hyperion, 2003.
Dalle notizie che ci arrivano dall'insegnante con cui siamo in contatto, sembra che ci sia molto interesse da parte degli studenti e che ci siano già tante adesioni. Questo ci dà una grande soddisfazione.

Domani, 6 ottobre, alle ore 17, ci sarà l'inaugurazione della mostra dell'archivio Ópla presso il Museo della Stampa, a Lodi, via della Costa 4: una mostra interessante e ricca di spunti di riflessione, non solo per i giovani visitatori.





K. Haring, Ten,
Hyperion Books for Children, 1998.
In esposizione ci saranno una selezione di libri d’artista provenienti dall’archivio, pertanto i visitatori avranno la possibilità di esaminare da vicino opere uniche di artisti del calibro di Bruno Munari, Enrico Baj, Andy Warhol, Enzo Mari e molti altri ancora. Un inventario itinerante di oltre cinquanta volumi e tavole incorniciate che fanno della grafica il filo conduttore per raccontare storie per immagini con un linguaggio rivolto ai bambini.






I. Andreadis, Ville,
Les Troi Ourses, 2003.
La mostra sarà visibile fino al 21 ottobre. Orari di apertura: sabato e domenica, dalle ore 16.00 alle 18.00; dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle 12.00).
 Nelle due settimane di apertura, il museo offrirà l’opportunità a otto classi di scuole elementari e medie del territorio di partecipare gratuitamente a stimolanti laboratori didattici per fabbricare la carta con le proprie mani e per imparare a trasformarla in piccoli block notes (prenotazione obbligatoria al numero 0371/56011).





K. Komagata, Pacu Pacu,
One Stroke, 2000
Venerdì, 12 ottobre, alle ore 10.00, presso il Museo della Stampa si terrà l'incontro con Alicia Baladan. Un modo unico di far conoscere ai ragazzi, ma non solo, dato che l'incontro è aperto al pubblico, dalla viva voce di un illustratore professionista cosa comporti lavorare con la creatività quotidianamente, cosa significhi progettare e realizzare un'idea, che tipo di competenze e di esperienze siano necessarie svolgere questo lavoro, e molto altro ancora.

Per quel che riguarda il concorso: il 15 ottobre è il termine ultimo per la consegna delle adesioni; il 31 marzo, quello per la consegna dei lavori. I materiali pervenuti saranno valutati nell'aprile 2013 e in maggio si terranno la mostra e la premiazione dei vincitori.




A. Warhol, A Coloring Book,
Simon & Schuster, 1990.
Quello che ci proponiamo, attraverso questa iniziativa (soprattutto attraverso la mostra di Ópla, se riscuotesse successo) è di far conoscere e apprezzare l'illustrazione a un pubblico il più possibile ampio e variegato, e naturalmente far capire il valore di un libro illustrato per non dover più ascoltare quel luogo comune secondo cui si tratta di un prodotto minore, destinato a un pubblico a cui servono le figure perché non sa leggere.

Le copertine utilizzate per illustrare questo articolo si riferiscono a libri appartenenti all'archivio Ópla. Non si riferiscono invece necessariamente alla selezione dei libri dell'archivio in mostra a Lodi.