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venerdì 2 marzo 2012

Le losche Trame delle infanzie fumettare.

[di Tuono Pettinato]

Giulia e Tuono invadono Bologna per il festival BilBolBul.
Nelle confortevoli sale della libreria Trame, in un'urbe felsinea improvvisamente riscaldata dal clima atmosferico d'un tratto più benigno e ben disposto verso gli appassionati della Nona Arte (la decima è il Subbuteo), Bacio a Cinque e Il Magnifico Lavativo si offrono alla vista della curiosa cittadinanza.

L'allestimento, sobrio ed efficace, è più frutto dell'eleganza della Bimba Periscopio che non del pressappochismo del Lavativo rimarchevole, e consiste in una vivace giustapposizione tra le tavole originali vergate a mano dai nostri due mastri fumettari centritalici, e una ridda di immaginette suggestive che ritraggono i due artisti in giovine età, in anni in cui eran quasi indistinguibili dai loro meno talentuosi compagni di classe.

Occasioni come quella offerta da questa mostra offrono il raro privilegio di osservare come autori e ospiti si relazionino con l'esperienza della loro infanzia.

Alcune tematiche trasversali alle varie fasi della vita, permettono a lettori di qualsiasi età di entrare in contatto con alcuni Universali, come l'amicizia, la gioia, il fallimento, l'imbarazzo e l'esperienza dei panini imbottiti.
Ma le stesse foto dei fumettisti da bambini suscitano differenti reazioni nei fruitori della mostra: se agli occhi dei grandi queste valgono più come un'implicita anticipazione di come saremmo diventati crescendo, scorgendo di volta in volta in uno sguardo o una postura le tracce di un caratterino o di una compostezza conservati, rafforzati e fossilizzati nel corso degli anni, viceversa i bambini, riconoscendo empaticamente nelle versioni infantili degli autori due loro simili provenienti da un'altra epoca, traggono un tetro monito di cosa li aspetta una volta cresciuti.

Altre immagini, relative al retaggio di cultura pop degli autori, mirano a gettare un ponte privilegiato di sintonìa con gli appartenenti della medesima generazione. La vista di oggetti protagonisti delle infanzie di un'epoca e a lungo rimossi, tornano prepotentemente alla memoria come per effetto d'una proustiana madeleine. Ma non tutto ciò che proviene dal passato è meritorio di ripescaggio: ecco così che ci si può al contempo strugger di malinconia al pensiero della scomparsa dell'Ovomaltina, e rallegrarsi nel constatare che i New Kids On The Block non son più in attività; oppure tesser le lodi della geniale semplicità del Lego in confronto ai complicati balocchi tecnologici d'oggidì, e allo stesso tempo prendere atto con sollievo che il vestiario a salopette anni '70 ce lo siamo lasciato alle spalle.

Nuove e ancor più impegnative imprese attendono i nostri due autori, ospiti della kermesse felsinea: un incontro con una terza media negli spazi della Biblioteca Ragazzi di Sala Borsa, e una merenda-laboratorio alla libreria Trame. Due situazioni che nella loro radicale differenza rappresentano forse al meglio il Giano Bifronte della crescita: la disillusione delle scuole medie, cupo medio evo dell'esistenza (ma speriamo con forza d'esser smentiti dai nostri interlocutori) e la saggezza delle scuole elementari, un eden di merende in cui perennemente si rinnova il mito del buon selvaggio e si pongono le basi di quello sviluppo di sé che noi grandi siamo soliti chiamare cultura.

Nel ringraziare infine la squisita e paziente libraia Nicoletta per lo spazio concessoci, ricordiamo che nella sua libreria Trame di via Goito 3/c la mostra di Fumetti Bambini sarà visitabile tutti i giorni, domenica esclusa, fino al 21 aprile.
Il laboratorio di Domenica 4 Marzo, sempre da Trame alle 11,30, sarà rivolto ai bambini di 9-12 anni d'età, e proporrà un catartico revival profondamente psicanalitico di sopiti traumi d'infanzia quali il pisolino pomeridiano all'asilo o lo spedire la propria sorella a Timbuctù tramite pacco celere.

Della genesi di Bacio a cinque Giulia Sagramola aveva già magistralmente scritto e disegnato qui; e Tuono Pettinato aveva così narrato con efficacia le vicende che avevano portato alla nascita del Magnifico Lavativo.
Le fotografie sono della poliedrica ed enciclopedica Giulia Sagramola (le prime quattro) e di Francesca Capellini (in particolare, quella dove si vede il concupitissimo moroso di Giulia Sagramola). 
I Topi ringraziano Tuono, Giulia, Nicoletta, Francesca, Saverio, Bilbolbul, la Libreria Trame e la cittadinanza accorsa numerosa.

giovedì 1 marzo 2012

I figli della scarpa

I bambini di Francesca Ghermandi sono dei mostriciattoli. Degli alieni, dei rifiuti, dei reietti. Nella galleria di umani orrorifici che affollano le sue pagine, sono forse i personaggi più imbarazzanti. Non capiscono nulla. Non sanno nulla. Vogliono tutto. Non hanno niente. Sono ottusi, pavidi, arroganti, capricciosi, terrorizzati. Terrorizzanti. La loro innocenza è insopportabile perché è la fonte di tutte le loro disgrazie, passate, presenti e future. Su di essa si fonda l'incoscienza criminale e soddisfatta dell'età adulta. Esistono bambini così? Sì, esistono. Lo sappiamo tutti. Ho un ricordo vivissimo di alcuni di loro, incontrati anni fa su un traghetto per la Sardegna. Sono, infatti, bambini che si incrociano quotidianamente, un po’ ovunque. Sono i figli della scarpa.
Chi sono i figli della scarpa? Sono i due pargoli protagonisti del brevissimo fumetto Il giorno del pacchino, pubblicato l'anno scorso nell'antologia Canicola bambini e quest'anno in esposizione a Bilbolbul, nella mostra Non è mai troppo tardi, alla Cineteca di Bologna, che inaugura domani, dedicata alla produzione a fumetti per bambini di Francesca Ghermandi.
I figli della scarpa sono due fratellini: il maschietto è blu, la femminuccia rossa: azzurro e rosa sarebbe stato troppo poco per queste due creature livide e furibonde. La loro mamma è una scarpa leopardata. O, almeno, questo è quel che ho pensato io, mentre leggevo la storia. Un inconfondibile zatterone da zoccola che di tanto in tanto compare accanto a loro, lasciando cadere dall’alto surreali predicozzi.

Come nei cartoni di Tom & Jerry, infatti, anche qui, accanto ai piccoli protagonisti i grandi compaiono sottoforma di piedi e calzature. Ma con Francesca, quella che prima era solo una corretta nota fenomenologica (il piccolo del grande vede solo una parte, e del resto percepisce l’incombere), diventa anche sociologica. La scarpa indica un inconfondibile contesto di crescita. Che spiega, senza bisogno di ulteriori indicazioni, la ragione di tanta mostruosità infantile. Quando è una scarpa da zoccola a farti da mamma, ti si prepara un futuro da mostro. Punto. Oltretutto se la scarpa è da zoccola, la mamma, per definizione creatura ambivalente, non è detto lo sia. Semplicemente la mamma segue la moda. Anzi, semplicemente la mamma è la scarpa.

Non c’è il resto della mamma, oltre la scarpa, come invece oltre la ciabatta si sapeva esistesse la mamma di Tom & Jerry. Qui è la scarpa a parlare.
I figli della scarpa vivono in disagevoli contesti popolati di cose orrende. Oggetti orripilanti, case oscene, giochi schifosi, piante mutanti, animali ripugnanti, adulti luridi. Sono gli amici della scarpa, fra i quali la scarpa, ora leopardata, ora panterata, cammina balenga e sicura al tempo stesso, come le si addice. Sicura perché balenga: la scarpa non conosce dubbi, esitazioni, infatti. La scarpa è tutta azione. Non ha cervello. Dall’alto della sua inesistenza e contraddetta dal basso della sua estetica impazzita, impartisce ai pargoli valori indiscutibili: «Non siete mai contenti! Ci sono i bambini che soffrono la fame del mondo e voi non siete mai contenti!»

Sarebbe bastata questa battuta perfetta per fare di questo fumetto una meraviglia. Ma in questa demente perla di saggezza c'è molto di più di quel che a prima vista appare e, cioè, la realistica approssimazione di una lingua straparlata che prende il posto del parlante e parla per lui, la sgangherata sintassi di chi mette in fila parole orecchiate in qualche aula di scuola o in qualche chiesa o su qualche isola dei famosi. Chissà dove, insomma. Parole di chi si barcamena e tira a campare nei territori del sentito dire (gli eterni bambini del Biafra o somali o haitiani, che l’Occidente, avido di buoni sentimenti, non si stanca di sbandierare come trofei davanti agli occhi dei suoi minori obesi), ramazzando un po’ dove capita buoni principi da inculcare in marmocchi abulici e strafottenti, per usare un verbo che recentemente ha conosciuto una certa voga.

La scarpa, tuttavia, non sa di esprimere, nella sua approssimazione e con la sua bocca sgangherata, una grande verità: i bambini soffrono “la fame del mondo” perché il mondo, come mostrano sistematicamente i fumetti di Francesca Ghermandi, da Pasticca in poi, è un mangiatore di bambini. Da sempre. Come gli orchi. E i bambini patiscono la sua fame. C'è da stupirsi che siano isterici, insopportabili, furiosi? «WHUAAAHH noi non la vogliam soffrire la fame del mondo!!! BUHUUU...» si sgolano, infatti, inviperiti, i due alla minaccia materna. Mai scarpa pronunciò verità più scandalosa, degna di una sibilla. E mai la rinnegò più rapidamente in risposta più menzognera: «Oh, per carità! Questo no! Questo mai!! »



Dal 2 marzo all’8 aprile, al Museo Archeologico di Bologna, Bilbolbul dedica a Francesca anche un'altra importante mostra: Officina Ghermandi che inaugura oggi alle 19. Allestita in stretta collaborazione con l'autrice, questa esposizione si propone di mostrare il processo ideativo e creativo di alcune opere - albi illustrati, fumetti, animazioni, illustrazioni per magazine -, attraverso l’esposizione del materiale preparatorio: matite, bozzetti, appunti. Il lettore, muovendosi nella fucina creativa a cui normalmente non ha l’opportunità di accedere, qui in mostra accanto alle tavole originali, avrà modo di comprendere il lavoro di un’artista dominata dal piacere disegnare, di creare immagini dalla cui forza e passione nascono incessantemente storie, personaggi, racconti. Di Francesca a Bologna c'è anche la mostra Faccia di coccio: disegni su ceramica esposti a Crète piece unique.  Infine, domenica 4 marzo alle ore 16,30 all' Auditorium Sala Borsa in Piazza Nettuno 3, a Bologna: Cronache Dolenti, Povera Patria: Francesca Ghermandi incontra Giorgio Vasta. Non perdetevele: questa autrice associa talenti rari ed estremi di narratrice, osservatrice, disegnatrice che spende con generosità assoluta (basta andare sul nuovo sito che ha messo in piedi: un'opera in sé). L'omaggio di Bilbolbul è meritatissimo.

mercoledì 29 febbraio 2012

Disegnavamo senza risparmiarci

Nel 2009, Mara Cerri pubblica con Orecchio Acerbo Via Curiel 8, racconto per immagini di un incontro che si muove fra la dimensione interiore di due personaggi, un ragazzo e una ragazza, e fra i loro pensieri, ricordi, fra il presente e il passato, la realtà e il simbolo. Via Curiel, però, nasce anche, insieme, come progetto filmico: nel 2008 vince il Premio della Giuria e il Premio Arte France al Festival Internazionale di Annecy. Due anni fa, Mara si muove dal libro per tornare all'idea dell'animazione, e decide di realizzarlo, quel progetto. Per farlo, coinvolge un'amica e compagna di studi, Magda Guidi, – entrambe sono diplomate all’Istituto Statale d’Arte, Scuola del Libro di Urbino, sezione Cinema d’animazione, di cui frequentano anche il Biennio di Perfezionamento. In due anni, Mara e Magda realizzano più di 4000 disegni dipinti a mano, in acrilico su carta. Il film che esce, della durata di 10 minuti, è una co-produzione franco-italiana di Sacrebleu Productions, Les Fims du Cygne, Mara Cerri e Magda Guidi, con la partecipazione di Arte France, la regione francese Rhône Alpes e il Centre National de la Cinématographie et de l’Image Animée. Nel 2011, Via Curiel, 8 vince il primo premio sezione Corto Italia al Torino Film Festival.

Quest'anno, Bilbobul, il bellissimo festival dedicato al fumetto organizzato da Hamelin Associazione, che inaugura domani l'apertura, dedica a questa animazione una mostra, che a una selezione di disegni originali, alterna riprese inedite e materiali non utilizzati nel montaggio definitivo del film, oltre a grandi dipinti su legno realizzati per l'occasione, ennesimo sviluppo di questa storia, il cui destino sembra quello di evolvere attraverso le tecniche e i medium in cui di volta in volta prende forma. Oltre all'intera vicenda, di Via Curiel ci è parso interessante questo passare da una dimensione espressiva all'altra, con l'ingresso di nuove figure a concorrere a un progetto tanto complesso. Abbiamo chiesto a Mara e a Magda di rispondere a qualche domanda. Lo hanno fatto, con grande disponibilità, nonostante il poco tempo a disposizione... Grazie!

Mara, il passaggio di Via Curiel da libro a film ha comportato notevoli cambiamenti: anzitutto, la condivisione. Rispetto alla dimensione solitaria del lavoro di illustratrice, cosa ha significato l'ingresso di Magda nella tua dimensione creativa?

Io e Magda siamo diventate, a momenti, la stessa persona. Troppo intima era la storia che stavamo raccontando. E così ci siamo confrontate moltissimo sul nostro modo di intendere i rapporti umani, le relazioni, il senso di quello che stavamo facendo. Proprio come per Emma e Dario, il nostro incontro avveniva in uno strato immaginario, e intanto prendeva forma nelle trame dei segni tracciati sulla carta. Ognuna di noi ha lasciato all'altra la possibilità di cancellare, sottolineare, ricalcare i propri disegni. Ci sono scene in cui questo percorso, ancora all'inizio, è più visibile nella sua umanità ed esitazione. Sono momenti che hanno mantenuto in sé, a nostro parere, qualcosa di acerbo e commovente.

Via Curiel, 8. Mara Cerri e Magda Guidi, 2011.

Ogni volta che c'era l'urgenza di un confronto, uno squarcio si apriva tra me e lei proprio come tra Emma e Dario. Da lì passavano cose che venivano rielaborate dall'altra al buio della propria coscienza e infine riemergevano sulla carta. Oserei dire di aver vissuto il rapporto creativo con Magda in questo modo.
E poi naturalmente c'è dell'altro: vivere a stretto contatto ha dato peso e consistenza alla nostra amicizia e al sodalizio artistico. Di partenza erano fortissime le nostre motivazioni ideali, che poi hanno dovuto fare i conti con le tante difficoltà pratiche insite nel realizzare un film d'animazione. Così, realizzare questo film è stato allo stesso tempo dare materialità al nostro rapporto,  spessore e maturità. Un confronto serrato che ha fatto emergere pregi e limiti di entrambe. Questo percorso, molto faticoso e a volte sofferto, non è concesso nel lavoro solitario o assume comunque dinamiche molto diverse.
Ecco, io non so dire dove fosse il lavoro e dove l'amicizia. Di sicuro era tutto rimescolato nel pentolone della vita e delle cose che intanto ci stavano accadendo!

Mara, sempre parlando di cambiamenti, in cosa pensi consista la differenza fra libro e animazione, e cosa invece è rimasto inalterato?

La trama, nei suoi passaggi fondamentali è rimasta inalterata, ma al suo interno abbiamo scavato veri e propri cunicoli. Aggirarsi come una camera da presa nella stanza di Emma ha aperto nuove possibilità di sguardi e ha concentrato un'inedita attenzione sui mobili, sulla natura del legno. Il suo animarsi, stirarsi e scricchiolare nella dimensione precaria del ricordo. Una sostanziale differenza tra il libro e il film sta nel modo in cui Emma arriva alla scoperta dell'altro.

Nel film esiste un abbandono che precede l'incontro tra i due, una sorta di naufragio della bambina nel pavimento della sua camera che, a un tratto, non offre più nessun tipo di appiglio. Uno sprofondare, uno smarrimento, infine un approdo.
È stato naturalmente così, c'era bisogno di aprirsi, fare spazio. Serviva un momento di vuoto dove il suono potesse allargarsi e prepararsi a toccare la sua massima tensione nel momento dello strappo sulla carta da parati. Così Emma sprofonda, si smarrisce, approda. Nel film, a differenza del libro, i due personaggi non valicano mai fisicamente quella parete, ma restano immobili uno di fronte all'altro.

Questa scelta è stata una conseguenza del nostro procedere. Abbiamo lavorato prima ai due mondi, abbiamo costruito le due membrane, parentesi della storia che andavano crescendo e nel frattempo magicamente si avvicinavano l'una all'altra all'interno di quello che era comunque (da contratto con la produzione francese) il vincolo  del tempo concesso a questa storia: 10 minuti.

Via Curiel, 8. Mara Cerri e Magda Guidi, 2011.
Fino a quando la parte centrale è andata assottigliandosi sempre più. Non avevamo paura di questa riduzione, sapevamo che bisognava preparare quel momento costruendo e dando sostegno alle due storie individuali, sentivamo che questo contatto aveva poco tempo per manifestarsi, ma intanto si caricava di emotività.

Magda, cosa ti ha spinto ad accettare la proposta di collaborazione di Mara e cosa ti ha interessato di più in Via Curiel all'inizio, e nel lavoro che ha comportato?

Mara e io desideravamo da tempo lavorare, prima o poi, a un unico progetto. Quando Mara mi ha proposto di realizzare l'animazione di Via Curiel 8 insieme a lei, ho accettato subito, senza aver bisogno di rifletterci su. Conoscevo già la storia, i disegni, le atmosfere del libro. Tutto era già molto vicino a me. Ho pensato che il nostro desiderio di lavorare insieme a un progetto poteva concretizzarsi in quel momento, non necessariamente partendo da zero. Un territorio comune c'era già. Io credevo nelle idee di Mara, e soprattutto, lei mi ha chiesto di entrare, di fare questo percorso con lei. Da quel momento Via Curiel 8 è diventato il nostro progetto insieme.
Abbiamo iniziato a disegnare i primi storyboard cercando di non allontanarci troppo dalla struttura del libro. Ci siamo accorte ben presto che questa maniera meccanica di procedere non funzionava. Dovevamo per il momento mettere da parte il libro, e iniziare a ripensare tutto in un altro modo, in chiave cinematografica. Questa è stata sicuramente la parte più interessante, coinvolgente, e anche divertente, di tutto il lavoro.

Via Curiel, 8. Mara Cerri e Magda Guidi, 2011.
Mara era disposta a smontare i pezzi di una storia che prima era stata solo sua, e a rimontarli insieme a me. Dovevamo raccontare la stessa cosa, utilizzando però un linguaggio diverso. Durante le prime settimane di lavoro, guardavamo insieme molti film, leggevamo sceneggiature, e disegnavamo senza risparmiarci scene su scene, senza paura poi di doverle buttare, sperimentando. Il nostro è stato un continuo confrontarsi, mettere tutto e mettersi sempre in discussione, credere nelle idee dell'altra, farle proprie e poi rilanciare. Fidarsi e affidarsi. Arrivare insieme alle stesse intuizioni, appassionarsi, entusiasmarsi. Questo scambio continuo è proseguito durante tutti i due anni. La condivisione di questi due anni con Mara, nella loro totalità, in cui era compresa anche tutta la nostra vita, è stata la parte più incredibile del lavoro.

Magda, come è stato lavorare alle prese con un progetto altrui, con un'identità già così definita? In che modo sei riuscita a entrare nella dimensione di Mara e a integrarti a essa al punto di dotare questa storia, mi viene da dire così privata, della tua anima?

Quando Mara stava lavorando al progetto filmico di Via Curiel, io avevo già iniziato a disegnare un nuovo film d'animazione, un progetto che avevo in mente da tempo e che pensavo di realizzare in maniera del tutto indipendente. Io e Mara siamo abituate, fin dai tempi della scuola, a sentirci dire che i nostri disegni si assomigliano.
Via Curiel, 8. Mara Cerri e Magda Guidi, 2011.
Confrontandoci e parlando insieme di questi nuovi progetti che avevamo in mente, io e Mara ci siamo accorte di come le nostre storie, le tematiche che volevamo affrontare e le atmosfere che ricercavamo finivano con l'assomigliarsi, ancora una volta.
Per me, quindi, calarmi all'interno dell'immaginario di Mara è stato molto facile.
Ci assomigliamo, è vero. Avere vissuto insieme gli ultimi 16 anni di vita condividendo quasi tutto deve averci influenzato, in qualche modo…
Nel lavoro di Via Curiel questo assomigliarsi, e questa vicinanza tra di noi è diventata una forza. Ha reso tutto più facile, naturale e immediato. Ci ha permesso anche di lavorare insieme sullo stesso foglio, nei dettagli di un solo disegno, gomito a gomito sullo stesso tavolino.

M. Cerri, M. Guidi, dipinto su legno (1,25x0,90), realizzato per le mostre.

M. Cerri, M. Guidi, dipinto su legno (1,25x0,90), realizzato per le mostre.
Magda e Mara, la collaborazione fra voi, a un certo punto della lavorazione, ha comportato altri passaggi fondamentali nella realizzazione del film - fotografia, montaggio, colonna sonora – e quindi l'ingresso di nuovi attori. Ci parlate dei vostri collaboratori e del rapporto che avete avuto con loro?

Il primo a entrare in scena è stato Marco Smacchia. Man mano che le scene del film diventavano definitive, abbiamo iniziato la scansione dei disegni. Visto che sarebbero state più di 4000 immagini era un lavoro che era bene prendere per tempo. Marco Smacchia e Virginia Mori ci hanno aiutato in questo senso. Purtroppo, a un certo punto ci siamo accorti che alcuni disegni, quelli in cui il colore era stato dato in maniera più diluita, erano molto imbarcati. Nelle scansioni si vedevano delle ombre, e il pensiero di mettersi a ritoccare tutte quelle immagini ci scoraggiava. L'unica soluzione, a quel punto, era fotografare tutti i disegni. Allora ci siamo rivolte a un altro amico, un fotografo, Federico Tamburini. Il suo contributo è stato decisivo.

Via Curiel, 8. Centroartivisivepescheria, Pesaro. 2011.

Per quel che riguarda i suoni, ci siamo rivolte a Stefano Sasso. Conoscevamo e apprezzavamo già il lavoro di Stefano, perché ha lavorato come sound designer ad alcuni film di Simone Massi, un autore di film d'animazione che noi amiamo molto. Il risultato della loro collaborazione ci convinceva, e a noi serviva una persona che avesse già quel tipo di esperienza alle spalle, perché per noi, al contrario, era tutto nuovo. Capivamo quanto la parte sonora di un film fosse importante, e ci tenevamo a curarla bene, in ogni dettaglio, con attenzione, ma la nostra inesperienza poteva farci fare degli errori, e farci perdere un sacco di tempo. All'inizio, ci siamo affidate molto a Stefano, alle sue intuizioni, alle sue suggestioni. Andando avanti, e imparando a conoscerci, anche il lavoro con Stefano diventava sempre più uno scambio, e spesso eravamo noi stesse a registrare i suoni che ci interessavano, che Stefano poi rielaborava, secondo una sua sensibilità.

Via Curiel, 8. Centroartivisivepescheria, Pesaro. 2011.
Ci serviva poi un'altra persona a cui affidare la parte più musicale, o  melodica, della sfera sonora o, se vogliamo, l 'elemento"femminile". E ancora una volta abbiamo chiamato un'amica, Mara Cassiani.
Il suo è stato un lavoro minimale e incisivo. Anche in questo caso, il legame affettivo che avevamo già con lei, e il conoscere già ognuna il lavoro dell'altra, ha influito in maniera positiva sul risultato finale. Si partiva già da una sensibilità e un immaginario comuni. Insieme a lei abbiamo fatto le ultime registrazioni e in un tempo relativamente breve abbiamo sciolto gli ultimi nodi e risolto passaggi molto delicati.

Via Curiel, 8. Centroartivisivepescheria, Pesaro. 2011.
Magda e Mara, cosa ha significato essere impegnate per due anni in un lavoro di questa portata? Da che scelta ha avuto origine questa decisione e che scelte ha comportato?

Lavorare due anni a un progetto come questo ha significato molte cose. Innanzitutto, bisogna credere fortemente a quello che si sta facendo. Per iniziare un film d'animazione bisogna esserne follemente convinti.
Non rimane molto tempo per pensare ad altro, ogni nuova idea, ogni nuovo progetto deve mettersi in fila e aspettare. Per noi, in questi due anni, è stato così. La lavorazione di questo film ci ha assorbite completamente, oltre il tempo non c'era neanche spazio mentale per dedicarsi ad altro. Ora, a conti fatti, ci rendiamo conto che anche la nostra vita affettiva, le relazioni con gli altri, ne hanno risentito.
Ha comportato molte rinunce, sicuramente, e abbiamo attraversato anche dei momenti difficili e faticosi, ma l'importante era non perdere mai di vista il senso di quello che si stava facendo, tirare dritto e continuare a crederci. Credere anche nella dignità di questo lavoro, credere che la fatica che comportava prima o poi sarebbe stata riscattata, che a farle da contraltare ci sarebbe stato, prima o poi, un film finito. Il film che volevamo fare.

Via Curiel, 8. Centroartivisivepescheria, Pesaro. 2011.
Magda e Mara, Via Curiel 8 termina qui o sta proseguendo? Le mostre che in cui siete impegnate le cosiderate parte della vita del progetto o un punto d'arrivo conclusivo?

Il cinema d'animazione, oltre il circuito dei festival, ha una visibilità molto ristretta, purtroppo. Per noi, far circolare e far conoscere il nostro lavoro attraverso le mostre che abbiamo in programma è molto importante. Non solo per il film in sé, ma anche, o soprattutto, per tutto il lavoro che c'è stato dietro, per tutti quei 4000 disegni che lo compongono, e per quelle centinaia di disegni che sono rimasti fuori dal montaggio definitivo. Sicuramente questo ciclo di mostre è da considerarsi parte del progetto. Via Curiel, 8 è stato terminato nel Settembre del 2011, ma sentiamo che c'è ancora molto lavoro da fare. Guardando solamente il film, che dura solo 10 minuti, è difficile farsi un'idea di cosa comporti veramente realizzare, nel 2011, in Italia, un'animazione con tecnica tradizionale.

Via Curiel, 8, Mara Cerri. Orecchio Acerbo, 2009.
Mara, nel libro chiudeva il racconto una riflessione di Anna Maria Ortese: “Non sempre ciò che vediamo è reale, e non sempre ciò che ci appare irreale ha meno potere del vero sul destino dell’uomo”. Nell'animazione è assente. Perché?

Non c'è una motivazione, quella frase si è distaccata naturalmente. O forse è semplicemente stata assorbita.

[Per Bilbolbul, sabato, 3 marzo, alle 16 e 30, al Cinema Lumière, a Bologna, le due autrici parleranno del loro lavoro con la regista Alice Rohrwacher. Nell'occasione, sarà proiettata l'animazione. Libro e dvd sono disponibili, insieme, nella nuova edizione di Via Curiel, 8 edita da Orecchio acerbo. Qui sotto, la sigla realizzata dalle due autrici per NodoDocFest, international documentary film festival, Trieste.]

martedì 1 marzo 2011

Dare senso alle figure. Dare forma alle emozioni

Illustrazione di Giulia Sagramola per il concorso
"Un regalo per te: la tua paura più grande".
In pochi anni, il Festival Internazionale del fumetto Bilbolbul, che si terrà dal 2 al 6 marzo, a Bologna, è diventato un appuntamento importante, un punto di riferimento imprescindibile nel nostro paese. Il merito è degli organizzatori, Hamelin Associazione Culturale, bravi a cogliere lo spirito giusto in cui fare maturare una proposta del genere, cercando di aprirsi il più possibile alle  sollecitazioni offerte da questo ambito, ribollente in tutto il mondo di talenti e iniziative, e nello stesso tempo, decisi a mantenere rigorosamente alta la qualità delle proposte. Cosa che fa pensare che chi ha fiducia nell'intelligenza e nella curiosità di un pubblico, solitamente ignorato, viene premiato, anche dai numeri. Uno dei meriti di chi ha pensato a questo festival è aver allestito un sito (e un blog) dettagliatissimo e ricchissimo. Per cui per ogni informazione su eventi, autori, luoghi, orari ecc. vi consigliamo di riferirvi a questo, sia che siate interessati alle iniziative rivolte ai bambini e ai ragazzi sia a quelle per gli adulti.

Illustrazione di Yan Cong
 da Canicola bambini.
Con Liliana Cupido, che gentilissimamente ci ha concesso un po' del proprio tempo, vorremmo invece cercare di capire alcune cose sul tema bambini e fumetto.
Siccome a brevissimo anche Topipittori sarà editore di una collana di fumetti per bambini, Anni in tasca graphic, nata da una costola degli Anni in tasca, la prima domanda prende spunto da un aneddoto. Alla riunione dei nostri venditori, la notizia che presto alla narrativa si sarebbero aggiunti dei fumetti è stata accolta con qualche sospiro, qualche sopracciglio aggrottato o levato, qualche sguardo interrogativo, come a dire: “Ma era necessario?”, “Ma chi ve l'ha fatto fare...”

Insomma, i venditori non sono mica tanto contenti, quando si parla di fumetti per bambini, perché pare che siano degli ossi duri, sui banchi delle librerie. Invece, voi di Bibolbul ogni anno, mostrate di dedicare sempre più spazio alla sezione dedicata i piccoli: BBB Bambini. Da che stimoli e con che obiettivi nasce questa determinazione?

Fondamentalmente ci interessa puntare un faro sul valore pedagogico del linguaggio e sulle sue potenzialità, rimettendolo al centro della discussione di un discorso più ampio sul visivo. Le sollecitazioni e gli stimoli a cui sono sottoposti oggi i più giovani sono così tanti da rendere quasi obsoleta la frequentazione di un linguaggio come il fumetto. Ma i bambini continuano a chiedere storie. Per questo lavoriamo sulla formazione di lettori, trasmettendo passioni attraverso le storie stesse e facendo alfabetizzazione al linguaggio. Troppo facile affermare che i ragazzi non leggono più, più difficile invece è trovare, ad esempio, insegnanti che sappiano innescare stimoli su linguaggi diversi e intraprendere percorsi di lettura a 360°.

Illustrazione di Francesca Ghermandi, 
 da Canicola bambini.
Le vostre proposte per i piccoli sono sempre accompagnate da un ricco ventaglio di proposte didattiche pensate per le scuole. Significa che gli insegnanti, e in generale, gli adulti hanno abbandonato le tradizionali resistenze nei confronti del fumetto, e si avviano a considerarlo un linguaggio interessante anche dal punto di vista formativo?

Le reazioni degli adulti verso il fumetto sono molteplici; come dicevi prima tu, esiste una reazione del tipo "venditori", scettica o poco propulsiva; oppure una reazione di "resitenza", che bolla il fumetto come una cultura "bassa", quindi non degna di diventare un riferimento pedagogico. Tuttavia, e questo è uno degli obiettivi dell'intero festival, il fumetto è un linguaggio che va insegnato di nuovo. Nel nostro quotidiano lavoro di promozione del fumetto (che valica i quattro giorni di BilBOlbul) cerchiamo di sottolineare le potenzialità di un linguaggio che integra parola e immagine. C'è una forte necessità di far propria e di strutturare una grammatica visiva, e il fumetto da questo punto di vista è uno strumento che offre molti spunti: la costruzione sequenziale delle vignette, il rapporto temporale fra immagini e testo; le metafore visive; il bambino impara a legare e dare senso alle figure inserendole in un discorso complesso. Non da ultimo si confronta con una dimensione narrativa. Insistiamo molto sul fatto che poi questa dimensione possa diventare un veicolo per stimolare la riflessione su se stessi e la narrazione di sé. E per tornare alla tua domanda: l’esperienza nelle scuole ci ha fatto capire che i laboratori con le classi hanno molto più senso se preceduti dalla preparazione degli insegnanti. Si tratta di una fase in cui spesso smontiamo pregiudizi, aggiorniamo sulla produzione attuale, presentiamo storie e metodologie di lavoro inedite. Destiamo curiosità e, forse, conquistiamo nuovi lettori.

Illustrazione di Giacomo Nanni,
da Canicola bambini.
Il fumetto, da che esiste, è stato centrale nella crescita delle nuove generazioni, e non da oggi, basti pensare a quel che raccontava Italo Calvino del suo rapporto con le strisce del Corriere dei Piccoli”. Qual è il fulcro di questa passione reciproca fra bambini e fumetti, a tuo avviso?

A ragione citi Calvino e con lui non possiamo non chiamare in campo anche Rodari che del fumetto si è fatto “avvocato in Grammatica della fantasia. Rischierò di ripetermi, ma credo che il fulcro stia tutto nelle figure che raccontano e nell'ebbrezza, chiamiamola così, che provoca il ritmo narrativo delle vignette al cui interno giocano di squadra balloons, didascalie, onomatopee. Lo spazio bianco tra una vignetta e l’altra è l’ulteriore punto di forza a mio avviso, passaggio in cui il lettore è chiamato ad intervenire continuamente con un processo inferenziale che, per quanto complesso, ha una componente ludica intrinseca.

Illustrazione di Tove Jansson.
Quest'anno apprendiamo con gioia della mostra che dedicate ai bellissimi Mumin. Una magnifica voce nordica come quella di Tove Jansson, autrice multiforme di picture book, romanzi, fumetti, cosa ha di interessante da dire ai bambini italiani? 

I Mumin parlano d’infanzia e all’infanzia con chiarezza e esattezza, come pochi altri personaggi di fumetti per bambini. La Jansson inventa un mondo parallelo, un altrove dove vivono piccoli troll; è un universo grafico in primis, disegnato con un segno sintetico che entra immediatamente, quasi per assorbimento, in dialogo con il piccolo lettore. I Mumin nel loro quotidiano a fumetti mescolano avventura, fiaba, sogno, realtà, stando sul crinale, come funamboli, o come i bambini quando giocano. Da qui deriva la naturale empatia.

Illustrazione di Émile Bravo
da Le avventure di Spirou.
 Se da una parte vi rivolgete alla scuola, dall'altra, per esempio con il numero di Canicola interamente dedicato ai bambini, con voci di fumettisti nuovissime e non convenzionali, ma anche con le mostre dedicate a Bravo e ad Alfred (che, fra l'altro, ha illustrato una storia del nostro Guillaume Guéraud...), puntate dritti ai giovani lettori senza intermediazioni, facendo appello alla loro curiosità e alla loro mancanza di pregiudizi, bypassando gli adulti. Il fumetto per i bambini e i ragazzi è ancora, e deve rimanere, uno prezioso libero spazio di lettura da difendere e preservare da ingerenze (per esempio scolastiche o genitoriali)?

Certamente. Il fumetto può spingere in una direzione di grande libertà; lo fa offrendo molteplici stili e segni, come mostrano gli autori esposti a BilBOlbul. Così i bambini si trovano in mano una cassetta degli attrezzi, piena di utensili che servono da chiavi per leggere ciò che li circonda in maniera personale, per comprendere il mondo da sé. Al tempo stesso il fumetto è costituito di tanti strati, che permettono al lettore di scavarlo lentamente, a più riprese. Con Canicola c’è una scommessa alla base: chiedere disegni e storie per bambini ad autori che, per la maggior parte, non si sono confrontati con la narrativa per l’infanzia direttamente. Aldilà della riuscita o meno dell’esperimento, quello che conta è il progetto che vi sta dietro e il segnale che si vuole dare: proporre immagini e immaginari che destino stupore, elemento che sta alla base della relazione estetica tra fruitore e opera, e dimostrare, nel nostro piccolo, quanto sia necessario investire e rischiare in questo campo.
Illustrazione di Alfred, da Ocatve.

Siete al quarto anno di un concorso, a quanto pare molto amato, che coinvolge le scuole elementari e medie di Bologna e provincia. Dopo alcuni incontri dedicati al linguaggio dei fumetti, i ragazzi sono invitati a realizzare i propri elaborati su un tema da voi proposto: quest'anno è quello, principe, delle paure (abbiamo visto che l'immagine scelta per rappresentare questo concorso è di Giulia Sagramola che inaugura Anni in tasca graphic con la sua graphic novel autobiografica Bacio a cinque). Secondo te, rispetto all'uso della sola scrittura o del solo disegno, il fumetto cosa offre in più ai bambini, come linguaggio creativo?

Uno degli obiettivi principali dei laboratori è quello di far passare l’idea del fumetto come strumento che i bambini possono usare per raccontare storie ma anche, e soprattutto, per auto raccontarsi. Se consideriamo il disegno e il racconto di sé (orale e scritto) importanti atti di riflessione e di rielaborazione del proprio vissuto fin dall’infanzia, il fumetto, come linguaggio che si innesta tra quello linguistico e quello visivo disponendo di entrambi, offre delle possibilità creative eccezionali. L’uso di parole e immagini in sequenza rende il fumetto un linguaggio tanto attraente quanto complesso per i bambini che si accingono a farlo proprio: l’affetto nei confronti delle immagini provoca una partenza spontanea sia nel momento della lettura che della loro produzione; contemporaneamente, la necessità di razionalizzare il momento creativo per fare i conti con una trama, con la scansione di vignette in sequenza, l’uso combinato di didascalie, balloons, figure, potenziali inquadrature diverse, segni e simboli specifici, rappresenta un banco di prova per numerose capacità (di sintesi, in primis). Forse anche per questo alla fine dei lavori i bambini dimostrano una grande soddisfazione nei confronti dei risultati; giocando ruoli diversi - scrittore, scenografo, disegnatore - danno forma alle loro emozioni dentro a un quadro che è solo apparentemente rigido, usando semplicemente carta e matita.

Illustrazione di Tove Jansson.