Visualizzazione post con etichetta C'era una volta una bambina. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta C'era una volta una bambina. Mostra tutti i post

lunedì 19 ottobre 2015

L'antichissima storia dell'attenta, attenta a te

Joanna Concejo, schizzo per la copertina di C'era una volta una bambina.

Un giorno, qualche mese fa, su facebook, Valentina Guastini mi ha taggato in un post in cui scriveva di C'era una volta una bambina e diceva così:

Giovanna ho comprato questo libro a maggio e l'ho già letto 3 volte. Ogni volta scopro qualcosa di diverso. Sarà un caso dettato dal fatto che ero propensa e suscettibile, reduce da una "notte dei libri insonni" con relativa discussione di quanto sia bello giocare con la paura. Ma questo libro è un horror! Non riuscirò più a guardarlo con gli stessi occhi fatati di quando l'ho acquistato. È una meraviglia mutante. Magari è tutto un film della mia mente, ma ieri sera io e mia figlia Ada (10 anni mezzo), ci siamo guardate, e ci si è accesa la stessa scintilla. Che non scioglieva la matassa delle nostre domande, ma coglieva un brivido comune. Lei non ha voluto il libro in camera per la notte (ma più come gesto eclatante in sostituzione di parole: “Ho capito quello che hai capito tu"); io l'ho voluto sotto al cuscino. Aiutaci... un aiutino... un indizietto...





Dov'è il nonno? E la mamma? Di chi sono gli stivali fuori dalla porta? Manca la testa di un lupo sul muro nella casa della nonna, che è la casa del lupo. Il cervo? La sua testa? E le foto appese: mamma, lupo e bambina? Pretendiamo delle risposte, o almeno qualcuna. Non ci puoi lasciare così...
Ps: Di a quel pettirosso di scappare, attenta a te.




















Ada lo rilegge per l'ennesima volta, aggiungendo: “Il lupo scompare dalla foto, ma nella foto accanto è un uomo o una donna seduto su un tronco? Nelle foto appese è rappresentato quello che succede da altre angolazioni. E perché la nonna si fa bella per il cacciatore? È lui il nonno? È casa sua quella con tutte le teste? E chi uccidono? La figlia?...

Insomma, non parla d'altro!


Rispondo volentieri alle domande di Valentina e di Ada, perché le trovo interessanti e penso mettano in luce alcuni elementi importanti del libro:
   - che il testo è nato in stretta correlazione con le immagini (per sapere in che modo è stato scritto, potete leggere qui) e senza queste letteralmente non ci sarebbe stato;
    - che le immagini con grande precisione raccontano la storia e pertanto i dettagli hanno importanza narrativa;
    - che le fiabe hanno la forma dei destini che raccontano, e questi sono disegnati dalle relazioni dei personaggi;
    - che in questo libro dentro le immagini vi sono rappresentate altre immagini e queste testimoniano che una storia è costruita da un tessuto fatto di altre storie, storie che fanno parte delle vite dei personaggi esattamente come la storia che il lettore legge fa parte della sua.


Come ho già spiegato durante alcuni incontri sul libro, la casa e il bosco in questa storia sono due veri e propri personaggi.
È vero che in questa storia manca il personaggio della madre, che in molte versioni di Cappuccetto Rosso appare all'inizio della trama. Tuttavia anche in queste versioni, la mamma è un personaggio irrilevante che ha l'unica funzione di far partire la vicenda, creando il presupposto dell'infrazione che spingerà la bambina a correre un pericolo.


La mia versione parte dal presupposto che il lettore che la leggerà conosca già la storia di Cappuccetto Rosso, magari anche in diverse declinazioni: quella dei Grimm, quella di Perrault, quella di Calvino della tradizione popolare italiana, fino alle più recenti. Si tratta di una storia molto famosa, che nel mio testo viene chiamata la storia dell'“attenta, attenta a te”.
Nella mia storia non appare una madre, anche se all'inizio viene nominata, poi nelle illustrazioni e nell'azione non compare mai. Del resto, quando di una fiaba conosci già molto, non è necessario ripeterne alcuni dettagli. La madre per me è uno di questi: tutti sappiamo che in Cappuccetto rosso c'è una bambina che sta disobbedendo a una madre.


Nel mio libro la mamma non ha dato un ordine, o forse sì, chissà, ma non è necessario saperlo. Chiunque abbia una madre sa che prima o poi capiterà di disobbedirle. Anche solo camminare nel bosco da soli è una forma di disobbedienza, specialmente se invece di avere paura, ti fermi ad ascoltare la foresta e la guardi anziché camminare di fretta.
Insomma, in questo libro sappiamo che se la presenza della mamma è invisibile, sullo sfondo c'è. Questa figura materna fa parte della famosa storia che si cita più volte nel mio testo: quella antichissima “dell'attenta, attenta a te”.

Non al maschile, “attento”, ma “attenta” al femminile, perché sono le bambine che da sempre sono educate all'attenzione alle minacce incombenti, all'attesa del pericolo in agguato, sono le bambine che devono “temere” sempre per se stesse e quindi abituarsi, prima che a pensare se stesse a dover proteggere se stesse.
E con questo rispondo anche alla domanda sul nonno. In questa storia non ci sono figure maschili (come in tutte le storie di Cappuccetto Rosso, peraltro), eccetto quella del cacciatore che non è specificato se sia un padre o un nonno o un parente. Quello che conta è che è armato: l'arma definisce il suo ruolo; il cacciatore non ha identità e non importa chi sia: è li per difendere la presenza femminile e riportare nella storia l'ordine di partenza. La storia “dell'attenta, attenta a te” prevede, infatti, che sia un uomo a salvare la bambina in pericolo perché ha disobbedito e anziché stare attenta alle minacce ha prestato attenzione al lupo e a se stessa.



















Specifico un'altra cosa: il bosco è maschile, e la bambina è curiosa di lui, così come del lupo. Vuole incontrarli, ascoltarli. Vuole persino insegnare al lupo a parlare, avere con lui una lingua in comune. Se l'eros è spinta alla relazione, alla conscenza dell'altro, qui vi è sicuramente una tensione erotica.
La casa invece è femminile, ed è il luogo in cui il lupo, ma anche la bambina rimangono chiusi, prigionieri: la casa è, come si dice nel testo, “una fortezza vuota”.
In questa storia la bambina si sottrae a un destino tessuto ai suoi danni prima di tutto dai personaggi femminili: è la nonna che racconta la storia “dell'attenta, attenta a te”, ed è la casa, grande antagonista del bosco, il luogo in cui questa storia di segregazione, da sempre, viene raccontata. Possiamo immaginare che la madre, che non si vede mai, ma c'è, avrà a sua volta raccontato a sua figlia questa storia. Ma tutto parte dalla donna più anziana: come dire che è un tradizione femminile antica a decretare la condizione di segregazione della bambina nella casa.


La nonna si fa bella per il cacciatore perché fra loro c'è un'alleanza: entrambi difendono l'ordine costituito dall'antica storia dell'“attenta a te”, e festeggiano la sua riuscita ai danni del lupo. Fra i due non c'è relazione, ma solo gioco di ruoli, la loro è una messa in scena (e per questo è oscena in quanto simula, ipocrtiamente il balletto dell'attrazione): grazie a questo ordine, il maschile e il femminile non si incontrano mai, ma convivono separatamente, ognuno regnando sul proprio ambito: la casa e il bosco. È una tregua ben definita che assegna un potere, un regno, a ciascuno.
La bambina è esclusa da questo gioco, è solo uno strumento per asseverare questo patto antico. L'uccisione del lupo sventa il pericolo che maschile e femminile si incontrino, che vi sia relazione, che le parole 'casa' e 'bosco' diventino il ponte amoroso fra la bambina e il lupo.


E veniamo ai quadretti sulla parete, nell'illustrazione in cui appare la nonna in poltrona: il quadretto in cui compare il lupo in realtà è uno specchio. Grazie a questo specchio i lettori possono capire cosa sta vedendo la nonna: il lupo che è entrato in casa e digrigna i denti. Da cosa si capisce? Primo, dal fatto che un lupo che digrigna i denti è un soggetto un po' strano per stare in un quadretto sulla parete di una casetta con le tende di pizzo; secondo, dal fatto che nella immagine della pagina successiva c'è lo stesso quadretto ma senza più il lupo, che infatti ora è in poltrona al posto della nonna.


Nel testo e nelle immagini non si dice cosa ne sia stato della nonna. Un po' perché chi legge la storia lo sa già: è stata mangiata dal lupo (nell'immagine i segnali di questo potrebbero essere la teiera rovesciata, i due quadretti tondi caduti dalla parete, la camicia da notte che penzola appesa al corno di un capriolo impagliato), un po' perché quello che mi interessava raccontare qui non era l'antichissima storia dell'“attenta a te”, ma la fatica del lupo, creatura notturna e amorosa, a stare dentro la casa-prigione, il suo sbattere dappertutto, incalzato dal coro rabbioso di stoviglie, piatti, centrini, pentole, paioli e ciambelle che denunciano la violazione della casa.


L'altra cosa che mi interessava raccontare qui era il momento in cui la bambina insegna a parlare al lupo, che è una vera e propria scena d'amore in cui a parlarsi sono le dita della bambina e gli occhi del lupo.
Nei quadretti appesi all'interno della casa, vediamo alcune scene che già conosciamo o che incontreremo nel corso del libro: la bambina seduta su un tronco, alcuni paesaggi boschivi, la bambina da piccola, un orso, alcuni cervi eccetera. Poi vediamo alcune scene che riflettono quello che sta accadendo nella pagina: è sempre il medesimo specchio ovale a testimoniare le scene che si svolgono nella stanza – la ragazzina che tappa gli occhi al lupo, o che gli lega all'orecchio il filo rosso.


Dopo queste scene non sappiamo più bene cosa accada: vediamo che il lupo disfa le trecce alla bambina, e poi lo vediamo solo. Avrà mangiato la bambina? La mia storia non lo dice. Lascio al lettore la scelta: se vuole seguire l'antichissima storia, sì; se ipotizza un'altro possibile sviluppo, no.
Vediamo uno stormo di uccelli levarsi in un cielo cupo, come se qualcosa avesse rotto il silenzio del bosco, e infine un cacciatore che spia all'interno della casa dalla porta a vetri.
Di chi sono gli stivali di gomma? A sentire Joanna Concejo, della nonna. Non è una nonna tanto gentile, questa. Avrete notato che fuma, e che alle sue spalle c'è un'intera parete di teste di animali. Probabilmente, mi ha detto Joanna, questa vecchietta è stata una cacciatrice, e quelle che vediamo alla parete sono le sue vittime, che assistono silenziosamente a questa drammatica vicenda. Insomma. non siamo esattamente di fronte allo stereotipo della nonna indifesa.


Dopo questi momenti strani, in cui la storia rimane non detta, ambigua, la bambina riappare improvvisamente in scena di spalle, mentre la nonna e il cacciatore hanno preso il lupo, uno per le zampe davanti e l'altro per quelle di dietro, e lo stanno buttando nella buca che appare alla pagina successiva. La bambina nasconde una forbice dietro la schiena. A cosa serve? Certamente c'entra col filo rosso che la segue dall'inizio della storia, come se fosse il filo stesso narrativo. Certamente quel filo a un certo punto è diventato un filo di parole, ma forse, appunto, lo è stato fin da subito. Forse la bambina per restare viva, ha tagliato quel filo con cui lei e il lupo si erano legati l'un l'altro.
La nonna e il cacciatore dopo aver estratto dalla pancia del lupo le parole che la bambina gli ha insegnato, lo ricuciono, e gli legano stretto il muso. Forse vogliono essere ben sicuri che da lì non entreranno o usciranno più parole.




















Prima della conclusione della storia, la bambina si siede su un tronco a ricamare un centrino: la scena che ha scelto è quella del lupo che le disfa la treccia. Se qualcuno ha pensato che quella fosse una scena di violenza, ora si accorge che la bambina la sta raccontando come un gioco. Di nuovo la storia dell'“attenta e te” e quella vissuta dalla bambina si rivelano diverse.


La storia si conclude come era cominciata, con la bambina che cammina, sola e attenta, nel bosco. Ma siccome in mezzo ci sono state tante pagine e tanti eventi, adesso la bambina è cresciuta. Nell'illustrazione, dalla strada che ha percorso immaginiamo quella che ha davanti e capiamo che la sua meta adesso non è più una casa, ma qualcos'altro, diciamo un posto lontano.
L'ultima pagina ci mostra la bambina che cammina verso il margine della pagina: presto uscirà dal libro e allora potremo solo immaginare quello che accadrà. Dietro di lei, c'è un lupo minuscolo che la guarda.

Ringraziamo Joanna Concejo per averci messo a disposizione i bellissimi taccuini preparatori per il libro C'era una volta una bambina.


lunedì 16 marzo 2015

È la parola che ci rende uguali


Qualche giorno fa ci è arrivata una recensione di C'era una volta una bambina. Chi l'ha scritta precedentemente ci aveva contattato per avere dall'ufficio stampa i materiali sul libro. Dopo qualche giorno ci ha informato che la recensione, realizzata per un blog sui libri per ragazzi, per ragioni logistiche non sarebbe stata più pubblicata. L'abbiamo letta, e siccome C'era una volta una bambina è un libro complesso ci è parso che la lettura complessa che ne ha fatto Sonia Basilico, le sue riflessioni, gli autori che ha citato nel corso della sua disamina, aiutino davvero a fare chiarezza in una narrazione che può disorientare. Non si tratta tanto di pubblicare una recensione perché positiva, che, sì certo, è gratificante, quanto di dare spazio a una lettura che coglie nel segno, va dritta alla questione sia delle immagini sia del testo, a partire dal modo in cui è stata pensata e strutturata. Per questo abbiamo proposto a Sonia di pubblicare il suo scritto in questo blog. La ringraziamo per la disponibilità.



[di Sonia Basilico]

“C’era una volta”, ci dice il titolo: siamo nella fiaba, il patto di finzione è stabilito, fin dall’inizio. In copertina il lupo, nero, e la bambina, rossa: una promessa di manicheismo morale, il bene e il male. Cappuccetto rosso, dunque, rito di passaggio, crescita: eh, sì, siamo indubbiamente nella fiaba. 

Apriamo il libro e… ci accorgiamo subito che le cose non prendono la via che ci aspettiamo. Ecco, per prima cosa incontriamo il bosco, due doppie pagine: bellissimo, il bosco di Joanna Concejo; non il bosco buio e spaventoso, ma odore di felci e abeti, qui, resina, aria buona, una luce calda che proviene dall’alto, a sinistra. Questo ci raccontano le due doppie pagine iniziali.


Incontriamo a questo punto la bambina, “svelta, attenta, coraggiosa”, sola; una bambina come tante, un po’ animalesca nel tratto, una creatura fatta per la natura, per il bosco; e con la sua comparsa, ci accoglie la scrittura accurata di Giovanna Zoboli, uno stile paratattico, ripetuto, frammentato, che ritroveremo, potente, forte, durante tutto il libro. Un grido, questo testo.

Voltiamo pagina, ed ecco… il lupo, una nuova doppia pagina, punto di vista aereo, telecamera dall’alto. In primo piano, di spalle, difficile da individuare alla prima occhiata; il lupo, che è parte del bosco, nel tratto, nello sguardo, rivolto alle case, laggiù. 


Ma qual è il mondo che circonda la bambina? La madre è la grande assente in questa storia, la bambina è “invisibile”, sola, nessuno ad ascoltarla, la nonna è una paladina degli stereotipi più biechi, intenta solo ad agitare un futuro catastrofico fondato su antichissimi dettati, fatto di “attenta agli sconosciuti, attenta a te”, e nella sua casa, sopra la sedia del narratore, un chiaro monito: trofei di caccia alla parete. La fine è nota.

Molto efficace la prosa poetica di Giovanna Zoboli: come si potrebbero altrimenti rappresentare i mezzi discorsi, le frasi senza coraggio, il detto e non detto, i luoghi comuni con cui gli adulti si compattano ai danni dei ragazzi nell’età della crescita, quando non sono più i piccoli, fiduciosi pargoli adoranti, pronti a seguire qualunque cosa venga loro dall’adulto, quando crescono e cercano il proprio posto nel mondo, quando avrebbero diritto ad essere creduti degni di fiducia, ritenuti capaci di autolimitarsi, di sbagliare e di imparare dagli errori e di capire in autonomia quando e dove sia il pericolo? Questa fraseologia poetica, mai compiuta, fortissima è lì a descrivere la demagogia che circonda la bambina.


Ci dice Pennac a proposito del demagogo: “Il demagogo sostituisce il dogma allo spirito critico, lo slogan al ragionamento, le voci incontrollate ai fatti stabiliti, le cieche convinzioni ai dubbi intelligenti, le credenze ai saperi, il diktat indiscutibile alle istituzioni misurate, e soprattutto, soprattutto, designa il colpevole, presentandosi come un vendicatore provvidenziale”. 

Ma la bambina è accolta dalla natura, dal bosco, grande, immenso protagonista di questa storia, che la ascolta, la vede, le parla e, soprattutto, ne è ascoltato. Succede ogni duemila anni che qualcuno si accorga che il bosco ulula, fischia, sì, ma è anche un meraviglioso, delicato, profumato, compagno di vita per noi esseri viventi su questo pianeta, necessario, il bosco, non per essere distrutto a nostro uso e consumo, ma come fonte di essenza, scoperta, di esperienza, soprattutto nell’infanzia.
Il bosco si fa lupo, la bambina e il lupo si vedono, si parlano, si legano. 
Il lupo proverà ad abitare le stanze dell’uomo, ma ci inciampa, va a sbattere, la casa lo respinge, è chiusa, “una fortezza vuota scavata nel piombo delle faccende”, una casa bidimensionale, senza fianco, né retro, inquadrata con telecamera frontale, lì, fissa, sbagliata. Parla di punto e croce. 



Poi, con l’aiuto della bambina, il lupo imparerà il linguaggio degli uomini – è la parola che ci rende uguali, ci ha insegnato Don Milani -,  e le stanze inselvaticheranno. Bellissima è la trasformazione della casa: così come succede alla stanza di Max, Nel paese dei mostri selvaggi, anche qui, scompaiono pavimenti, pareti, ed entra la natura, e la confidenza, e il legame si rafforza, e le storie si mischiano. Una doppia tavola ed entra in scena il cacciatore. Come? Un volo d’uccelli sopra un bosco a descrizione di uno sparo. Magnifica immagine. Nient’altro. 


Ed ecco, prepotente, l’altra grande protagonista inanimata della storia, elemento magico – sì, siamo davvero nella fiaba – : la casa, farneticante, tutta compìta nel detto e non detto, nuove frasi interrotte, mille e mille pregiudizi e stereotipi, e chiusure infinite. Solo i sassi parlano, qui.
Sembra di Ascoltare Ascanio Celestini in una sua celebre pièce Io sono come lei, sembra di sentire quegli adulti che sputano sentenze a metà, che non hanno il coraggio di affrontare, di ascoltare le ragioni dei ragazzi, che si danno man forte nel perpetrare pregiudizi e sentenze inappellabili, che condannano e puniscono i disobbedienti, senza dar loro alcuna udienza. 
E così, in un gioco di seduzione reciproca, la nonna e il cacciatore, tenuta in disparte la bambina, mettono di mezzo il lupo in una danza mortale, gli faranno sputare ogni parola imparata, poi, ferito a morte e legato, lo esporranno nel bosco al pubblico ludibrio, immensa vittima sacrificale, monito ed esempio per chiunque intenda non conformarsi a ciò che è “giusto”. 
Punto. 
E croce.
 

Manicheismo morale, ricordiamo? Siamo nella fiaba. Il bene trionfa, il male viene sconfitto. Ma è questo il male assoluto? Questo lupo? E la bambina trionfa?
La bambina è cresciuta, “lei, l’invisibile”, non ha perso il filo, e in finale, ridotta all’obbedienza, rientrata nella disponibilità della casa, uscirà di scena, lasciandosi alle spalle casa e nonna, andando per il bosco e ritessendo il proprio ricordo a punto erba.


A chi parla questa storia? È una fiaba, e come ogni fiaba, non è scritta per bambini né per aduti né è scritta per adulti per poi essere successivamente adattata ai bambini. Invece, come succedeva nei racconti del focolare, è un racconto per tutti. 
Parla dunque ai bambini? Perché no. Ognuno ne coglierà ciò che serve, riservandosi un livello di comprensione più profondo per il futuro. Agli adulti? Certo. Chi vorrà, saprà ascoltare, guardare questa storia, queste immagini potenti, forse vivrà con un brivido il ricordo della propria adolescenza braccata, o magari più libera e selvaggia di quella che oggi ha deciso di concedere al proprio figlio. Ma soprattutto parla a loro, ai giovani, ai ragazzi in cerca di un luogo, di un ascolto, di una possibilità di far vibrare il proprio presente, le proprie possibilità di incontro, di vivere nella natura, e che invece, sempre più, si trovano soli, alle prese con le case, prigioni dorate, sempre più chiuse, alle prese con i “non devi”.
E allora ricordiamo allora le parole di Shel Silverstein:

Ascolta i NON DEVI, bambino,
ascolta i NON C’E’,
ascolta i NON PUOI,
gli IMPOSSIBILE, i MACCHÈ,
ascolta i NON SOGNARTI,
ma dopo ascoltami un po’:
tutto può succedere bambino,
TUTTO si può.


E poi, se ci rimane un po’ d’amore per questa infanzia braccata, sposiamo la tesi di Mariangela Gualtieri, del suo Sermone ai cuccioli della mia specie, e incitiamola a questo:

Sbranate, cuccioli, le loro mani piene. 
Scassate le loro tane come galere. 
Sputate sui loro piatti, incendiate le 
Stanze gonfie di giocattoli, 
scappate, morsicate, tirate pietre sui 
televisori, scalciate, spaccate questo 
micidiale nostro sogno, l’inesauribile 
bisogno di confort, 
fateci a pezzi, scancellate noi, puniteci 
per avere fatto di voi 
le nostre miniature 
per avervi disinnescati, resi innocui, 
per non avervi ascoltati, nel vostro 
sommo sapere.  
Voi che eravate le porte 
del regno dei cieli 
e chi non passava da voi non passava 
voi che eravate purissima gioia 
voi che eravate noi bloccati nella 
più grande bellezza 
voi che somigliavate ai cuccioli 
degli altri animali 
voi che capivate lo splendore 
misterioso degli animali 
voi che dormivate un sonno perfetto 
e benedetto voi che vi svegliavate ridendo 
voi che facevate balletti strepitosi. 
Voi, nostre divinità domestiche.  
Nascete ancora, cuccioli. Restate. 
Siate. Salvate. Giurate. Siate. Siate. 
Siate. 


Un’ultima notazione: vidi qualche anno fa una rappresentazione teatrale predisposta dal grande drammaturgo, attore e regista argentino César Brie. Gli alunni di una quinta elementare rappresentavano, in una breve e intensa scena, il loro passaggio dal mondo dell’infanzia al mondo adulto. Tutti i ragazzini, vestiti di nero, in piedi in cerchio, stretti gli uni agli altri, la schiena verso l’interno, braccia verso l’alto, simulavano un albero nel vento, le braccia come rami, agitate in un ritmo frenetico, interrotto, frammentato; i corpi uniti come in un unico tronco si flettevano e raddrizzavano, formando un’onda sincopata nello stormire del vento. Recitavano brevi frasi a descrizione dei loro desideri per il futuro, per la loro vita, per il loro viaggio. Stile paratattico, ogni voce inseguiva la precedente, ogni frase completava, si interrompeva, si sovrapponeva alla precedente. Fu emozionante, liberatorio, commovente. 

Ecco, queste immagini, questo testo, bastano a se stessi, qui c’è già tutto. 
Ma chissà cosa ne sarebbe in mano a César Brie.

Buona lunga vita a questo testo di riferimento. Ci sarà sempre un prima e un dopo a C’era una volta una bambina.

venerdì 6 marzo 2015

Domani, dai Topi!

Domani, sabato 7 marzo 2015, le porte della tana dei Topipittori si apriranno per accogliere chi vorrà festeggiare con noi Joanna Concejo e l'uscita del suo nuovo libro: C'era una volta una bambina, con testo di Giovanna Zoboli. 
Joanna sarà disponibile per dedicare copie, insieme a Giovanna Zoboli, e fare piccoli disegni personalizzati. Saranno disponibili per l'acquisto tutti i suoi libri pubblicati con Topipittori e alcune preziose chicche, come il grande leporello Le prince à la patisserie, che ha pubblicato lo scorso anno con un editore polacco, o il catalogo della sua mostra a Montbeliard, attualmente in corso.



Joanna ha anche portato tre stampe a tiratura limitata, numerate e firmate, che sarà felice di vendere e dedicare.




Poi ci sarà una piccola esposizione degli originali di C'era una volta una bambina. E vi assicuriamo che questi, da soli, valgono il viaggio.



Quindi, inforcate un velocipede, calzate i pattini a rotelle, balzate in sella alla vostra moto, fare ruggire il motore della vostra auto, acquistate il biglietto del tram, del treno, dell'aviogetto e accorrete.
Per premio ai volonterosi, saranno anche disponibili tutti i libri dei Topipittori e il solito cestone dei libri orfani in cerca di genitori adottivi, a soli 5 euro. Ci saranno anche disponibili alcune novità in anteprima, fra qualche giorno in libreria e pronte per la fiera di Bologna: Tondo tondo e quadrato di Fredun Shapur, In mezzo alla fiaba di Silvia Vecchini e Arianna Vairo, Quando il sole si sveglia di Giovanna Zoboli e Philip Giordano, Depero e la Casa del Mago di Marta Sironi e Lucia Pescador.

Insomma, per fare un po' di spesa, farsi dedicare un libro, guardare Joanna che disegna in diretta, fare due chiacchiere vi aspettiamo in viale Isonzo 16, dalle 11.00 alle 18.30. Domani. Sabato. 7 marzo 2015. 

[In viale Isonzo si arriva con la metropolitana 3, fermata Lodi TIBB; e con i filobus 90/91 e 92, capolinea; e nelle vicinanze passano il tram 24 e l'autobus 62]