Visualizzazione post con etichetta Maja Celija. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Maja Celija. Mostra tutti i post

giovedì 17 novembre 2011

I bambini leggono/2. Ferie per chiuso.


D’istinto, Nico apre i libri dal fondo, legge i numeri a due cifre da destra a sinistra e qualche volta ricorda le frasi al contrario: forse a quattro anni, da ambidestro, sta godendo di tutte possibilità dell’ordine bambino.

Ferie per chiuso, dunque, lo straordinario libro senza testo di Maja Celija, ci accompagna da circa due mesi, ogni sera prima di coricarci.
Da subito, i protagonisti del libro sono stati battezzati da Nico con nomi propri, che poi non sono più stati cambiati, com’è giusto che sia.

Così, noi adulti abbiamo dovuto memorizzarli per non essere corretti ogni volta. Avendo preso una simile confidenza con i protagonisti del libro, la narrazione si è dilatata nel tempo e nello spazio, ben oltre la porta aperta e le profondità dei bagagli chiusi della famiglia in procinto di andarsene, che si vedono nella prima immagine. Tutto ciò fa sì che la nanna tardi ogni sera di più ad arrivare, ma il fatto è che questo gioco è diventato entusiasmante per tutti.

Quando ho raccontato loro come mio figlio Nico legge Chiuso per ferie, i Topipittori, mi hanno chiesto di scrivere un post per la rubrica del loro blog I bambini leggono, da poco inaugurata, dedicata al modo in cui i bambini guardano e usano i libri. Il mio resoconto è una sintesi di quel che accade nella realtà: alcune immagini, alcuni passaggi narrativi che nel libro sono presenti, qui non li troverete.


Vi presento quello che per noi è Raul, il figlio minore di questa famiglia. Raul ha molte macchinine, il suo zaino ne è pieno e altre ne ha nel sacchetto di plastica (insieme a due mandarini: “Beeeh, che schifo, è sua mamma che vuole che li mangi”). La mamma, Elena, insiste perché si sbrighi, ma Raul pensa di aver dimenticato qualcosa. La famiglia è in partenza per andare qualche giorno dai nonni che vivono vicino al mare. La sorella di Raul porta una scatola piena di provviste: soprattutto latte, miele, formaggio duro, pistacchi e ovetti di cioccolato. Suo fratello vuole diventare maestro, così porta pochi vestiti e il computer perché dovrà studiare tutto il tempo. Il papà è molto indaffarato a trovare spazio per i bagagli: alcuni dovranno stare sotto il sedere dei passeggeri, dato che la loro auto non ha “la coda”.


Finalmente sono partiti! Il primo a uscire dalla fotografia è nonno Raimondo: vuole riabbracciare nonna Rita, che erroneamente è stata messa in un’altra foto. Pietro è un marinaio che non vede l’ora di tuffarsi in acqua: un tipo atletico. Riesce a saltare da sopra il mobile senza farsi male alle caviglie. Giovanni, che è più piccolo, lo ammira, però da grande vuole essere un pilota di auto da corsa. La sorella piccola di Giovanni si chiama Elisabetta, mentre quella grande Alessandra, fidanzata di Pietro. Toby è il cane di nonno Raimondo.


Dato che i nostri amici sono stati fermi per molto tempo, per sgranchirsi le ossa si dilettano in vari sport e, di tutti, il più competitivo è nonno Raimondo che però non vince mai perché la lunga barba gli s’impiglia sempre da qualche parte, impacciandolo.
Arrivati all’illustrazione che ritrae la partita di pallavolo, Nico puntualmente esclama: “Non è una palla, è una ciliegia, mangiamola!” Ogni giocatore, questa è la regola, darà un morso ogni volta che tocca la palla, dunque la partita finisce quando si arriva al nocciolo. Nonna Rita, però, previdente, ha diverse di ciliegie nascoste sotto la camicia (che fa anche da rete), perché le ciliegie sono talmente buone che finiscono subito.
Qui il racconto è accompagnato da alcuni ”Gnam!” di fondamentale importanza.


Nonno Raimondo ha una formidabile idea: rilassarsi al caldo è quel che ci vuole per prendere un po’ di colore. Non si vede, ma lo sportello del forno è aperto: “Non sono matti!” è il commento. In ogni caso, qui accade qualcosa di straordinario: i bambini diventano grandi, lievitano come la pizza, Giovanni tanto quanto Pietro, Elisabetta tanto quanto Alessandra. Elisabetta non ha voluto togliersi le scarpe per paura di non riuscire più a rimettersele, infatti, un pochino le fanno male, “si vede dagli occhi”.


I nostri amici perlustrano ogni angolo della casa. Elisabetta e Giovanni, nel frattempo tornati piccoli, scoprono insieme a Toby la cameretta di Raul. E vado a elencare “nell’ordine esatto” i bellissimi giochi: c’è il supereroe verde; la bambola gigante; un robot gigante; un orsetto gigante; un orsetto mezzano e un’altro piccolo vestito da femmina; un pinocchio enorme e un draghetto davvero strano, non tanto bello, ma che piace a Elisabetta e a Giovanni.


Forse piace loro perché ha le ruote: trainato dal cane Toby, che corre velocissimo, fa scorrazzare i bambini per tutta la casa.


È il momento di andare a nanna: dato che il gomitolo blu è il più bello, tutti lo vorrebbero, così nonna Rita per evitare litigi decide che nessuno lo userà. La notte, così, trascorre tranquilla, ognuno sistemato nel suo gomitolo di lana colorata.


Infine, arriva l’ora di tornare nelle fotografie. Toby ha sentito dei rumori, pare che qualcuno si stia avvicinando alla porta.
“Corri Giovanni, corri” grida Elisabetta a Giovanni che non vuole separarsi dal draghetto. Nonna Rita spiega che quell'animale è troppo grosso per stare nella fotografia: Giovanni deve lasciarlo lì.
Quando la famiglia entra in casa, nota il draghetto in mezzo alla stanza: è quello che Giovanni voleva portare nella foto dei nonni.
Durante le vacanze, la sorella di Raul è diventata piccola perché non ha mai voluto mangiare.
Ah, ecco: nell'ultima immagine si vede il papà di Raul. Si chiama Nicola, come l’amico del cuore che Nico ha a scuola.

lunedì 9 maggio 2011

La casa del porcospino

Fare l'editore è bello anche perché il lavoro che fai ti mette in una relazione molto forte con le persone.
Ricordo benissimo la prima volta che mi misi in contatto con Maja Celija: nel 2000 avevo visto una sua immagine sul cartoncino di invito di una mostra collettiva della Galleria l'Affiche di Milano e mi aveva conquistata al primo sguardo. Questo, prima dei Topipittori. Quando poi, nel 2004, i Topi ci furono, subito pensai che mi sarebbe piaciuto lavorare con lei e le telefonai. Ci accordammo per vederci. Allora stava a Milano: semplicissimo. Mi ricevette nel suo studio e fu garbata e disponibile. Nell'ombra si muoveva Luigi, il suo compagno: educato, serio e gentile come una persona d'altri tempi. Che poi, Luigi, sarebbe Raffaelli. Allora i Topipittori avevano in catalogo due libri e non era affatto scontato darci credito...

Ecco, così entrammo gli uni nelle vite degli altri. Con Maja e Luigi poi è nata un'amicizia. Un'estate siamo andati a Pula, in Croazia, dove Maja, che è nata in Slovenia, ha vissuto fin da piccolissima. Fu una breve, meravigliosa vacanza marina, con Maja e Luigi che ci accompagnavano in giro per quei posti bellissimi,- isole, campagne, boschi, paesi - in un clima di grande armonia e allegria generale. Giorni speciali, con una gran voglia di conoscersi e scambiarsi esperienze, chiacchiere, idee. Nei miei ricordi hanno tuttora la medesima luce, viva e chiara.
Fu proprio a Pula che, in una libreria, un giorno, mi imbattei in questo libro: Ježeva kućica di Branko Ćopić con illustrazioni di Vilko Selan Gliha (realizzate credo negli anni Sessanta; su questo illustratore purtroppo non ho trovato niente, solo pagine in slavo, impraticabili...). Mi affascinò, nella sua povertà: un semplicissimo fascicolo a punto metallico, un oggetto essenziale e pieno di grazia. Aveva illustrazioni incantevoli che raccontavano la storia di un riccio e della casetta sotterranea in cui abitava, di uno strano invito a cena da parte di una volpe, e di una notturna scorribanda di altri animali selvaggi, tutti avidi di scoprire i segreti della casetta del porcospino.




Ne parlai a Maja, quella sera, in termini entusiastici, e mi rivelò che quello era il suo libro prediletto, quello che più aveva amato da bambina: un caposaldo nella sua formazione. Fu una strana coincidenza, e ci parve significativo che in mezzo a tanti libri proprio su quello si fosse fermata l'attenzione, a confermare un'affinità di sguardo, gusto, poetica sentiti e condivisi. Maja e Luigi poi mi regalarono quel libro, con una piccola dedica. Maja parla di questo libro anche in una sua intervista su Osservatorio Balcani, che trovate qui.
Branko Ćopić è un autore bosniaco famosissimo e amatissimo in area slava e il racconto Ježeva kućica è un classico per l'infanzia su cui non solo Maja, ma intere generazioni di slavi si sono formate, ed è stato trasposto in versioni teatrali, in spettacoli di marionette e burattini, in fumetti.



Qualche anno fa, il racconto di Ćopić è stato edito in Italia, dall'Associazione LIPA. Le illustrazioni non sono quelle dell'edizione originale, chissà perché. E le nuove, di Luca De Marco, non reggono il confronto con quelle di Vilko Selan Gliha, non solo per accuratezza, bellezza, efficacia, ma perché la loro assenza fa perdere al libro il forte connotato culturale, l'impronta balcanica potente, un'iconografia e uno stile che calano immediatamente il lettore in un contesto riconoscibilissimo e ricco di suggestioni inestricabilmente legate alla terra e ai paesi di origine degli autori. Peccato.



Le immagini sono altrettanto importanti delle parole nella trasmissione della cultura, e bisognerebbe avere la medesima cura e rigore che si tributano ai testi, per preservarne lo spessore e il senso, nelle opere illustrate per l'infanzia. Se non prendiamo atto di questo, andiamo a nutrire una cultura dell'immagine di basso livello, piatta, banale, avvilente, capace di comunicare solo stereotipi o forme vuote.
Il problema, dovremmo capire una volta per tutte, non sta nelle tanto vituperate immagini, ma nel modo in cui le usiamo. Ma di questo parleremo ancora.



Da quando Maja e Luigi si sono trasferiti a Pesaro, ci hanno ospitati spesso. Vi assicuro che stare da loro è come essere nella casetta del porcospino. La sera ci si mette a cuccia con la stessa espressione beata. Ciao Maja. Ciao Luigi. Grazie di tutto e tantissimi auguri!