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mercoledì 6 marzo 2013

L’arte come strumento educativo

Still life fotografico al PAC/ 1
[di Marta Ferina ]

Quando mi è stato chiesto dai Topipittori di scrivere qualcosa sul mio lavoro, ho accettato con entusiasmo, ma mi sono resa conto subito che non sarebbe stato facile.
Prima mi sono dovuta chiarire bene cosa volevo raccontarvi, se le gioie o le fatiche. Poi ho deciso per una terza via che penso si trovi a metà fra le due.
Due righe di presentazione: da dieci anni mi occupo di attività didattiche al PAC - Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, di cui sono la responsabile con la mia società Marte. Negli anni, ho collaborato con diversi musei sviluppando progetti di didattica prevalentemente legati all’arte contemporanea che è la mia passione. Negli ultimi anni ho collaborato intensamente anche con il museo MAGA di Gallarate.

Still life fotografico al PAC / 2.
L’attività di educatore museale è molto varia e complessa. Innanzi tutto, quando si parla di educazione, si tende a pensare ai bambini e alle scolaresche. In realtà, l’utenza di un dipartimento educativo è tutta l’utenza possibile di un museo (o spazio espositivo): dai tre anni in poi. I progetti educativi che si possono sviluppare in ambito museale sono moltissimi: dalle tradizionali visite guidate, con o senza laboratorio, ai cicli di conferenze, workshop con artisti, campi estivi, notti al museo ecc.

Visite guidate e laboratori notturni al PAC.
In questo breve testo, però, mi soffermerò principalmente sulle attività didattiche rivolte alle scuole e alle famiglie che peraltro rappresentano la mia specificità.
L’educatore museale è colui che usa il potenziale visivo e comunicativo delle opere d’arte per educare, e questo lo si fa normalmente, creando percorsi specifici che, nella maggior parte dei casi, prevedono la visita guidata a una selezione di opere scelte ad hoc, seguita da laboratori che hanno un obbiettivo predefinito che può essere di educazione all’immagine, ma non solo.

Ancora laboratori notturni in occasione di Notti al PAC.
Infatti, nello scrivere questo testo, cercando di capire quale potesse essere per me l’obiettivo più importante nel mio lavoro, ho pensato a quando, durante le attività didattiche, mostro ai bambini e ai ragazzi opere d’arte contemporanea e mi rendo conto di come questo sia estremamente utile per spiegar loro il concetto di libero arbitrio, partendo dalla libera interpretazione.
L’arte contemporanea, infatti, slegata dall’esigenza puramente rappresentativa, si presta a un ventaglio più ampio di possibili letture.
Attraverso l’analisi condivisa con i bambini e i ragazzi dei linguaggi, dei simboli, delle forme e dei materiali utilizzati dall’artista, arriviamo insieme alla lettura critica dei molteplici possibili messaggi dell’opera. L’opera d’arte contemporanea parla di contemporaneità e noi ne facciamo parte, quindi, a livello educativo, è molto utile per poter parlare del mondo di cui i bambini fanno parte.
E qui mi piacerebbe riportarvi tutte le frasi che escono dalla bocca dei bambini davanti alle opere d’arte, ma, ahimè, mi riprometto sempre di trascriverle, ma non lo faccio mai. Comunque, fidatevi: sono illuminanti.

Quali sono i bambini? Quali le sculture? Visita guidata
alla mostra More than reality di Duane Hanson.
L’opera d’arte, normalmente, nasce da un’esigenza dell’artista: comunicativa, emotiva, politica. L’artista è colui che vede, sente e ha urgenza di comunicarci il suo sentire. Tenta attraverso l’opera di farci vedere con i suoi occhi, di farci sentire con la sua pancia. Per un bambino tutto questo è immediato e naturale.                          
Laboratorio in occasione della mostra
More than reality di Duane Hanson.
Il bambino potrebbe essere un ottimo critico d’arte, perché sente e non solo vede.
Sente l’urgenza comunicativa dell’artista e la sua emozione, e sente anche quando purtroppo non ci sono né luna né l’altra.
In proposito, una volta, durante un colloquio, mi sono sentita dire da un’aspirante educatrice museale che ai bambini, in fondo, “glie la si può contar su”. Inutile dirvi che non c’è affermazione più sbagliata. Ai bambini (ma anche agli adulti), durante le mie attività, mi piace dare strumenti utili a una libera interpretazione dell’opera, perché non ne esiste una giusta o una sbagliata. C’è quella dell’artista che non sempre, però, arriva a noi; quella del critico, che nasce da altre esigenze comunicative. E la nostra, che nasce dal nostro gusto, dalla nostra sensibilità dalle nostre emozioni e dal nostro vissuto personale.
Preparazione per la realizzazione di un video in stop motion.
Sono convinta che chi riesce a spiegare concetti difficili, spesso astratti, ai bambini, non ha problemi a spiegarli in modo ugualmente soddisfacente agli adulti: perché per riuscire a riportarli alla quotidianità di un bambino devi averli capiti veramente bene. Quindi, quel che ci tocca è un doppio lavoro, di comprensione e sintesi, perché dal bambino ti devi aspettare sempre una domanda intelligente a cui non sai rispondere e alla quale a me piace rispondere: «Non lo so, ma proviamo a capirlo insieme.»

Dunque, educare con l’arte per me è soprattutto educare alla libertà di pensiero e di espressione. Anche nei laboratori che propongo, generalmente successivi a una visita guidata, la libertà lasciata al bambino è molta. Io propongo riflessioni, fornisco materiali, suggerisco obiettivi, ma le strade che poi i bambini e ragazzi prenderanno sono libere. Non c’è mai un risultato predefinito.
Spesso mi sento come un regista silenzioso: osservo, comprendo, suggerisco e offro tecniche e strumenti adatti a far raggiungere ogni singolo obiettivo.

Laboratorio al PAC in occasione della mostra
LESS - Strategie alternative dell'abitare.
Il mio obiettivo non è quello che i bambini che frequentano le mie attività didattiche diventino artisti, ma che guardino il mondo da diverse angolazioni, che non abbiano paura a esprimere il proprio parere o pensiero, anche quando è divergente dal pensiero comune (come è tipico di molti artisti), e soprattutto a sentire ed esprimere i propri sentimenti.
Durante le visite guidate, infatti, davanti alle opere, spesso, i bambini raccontano anche vissuti ed emozioni personali suscitati da contatto con le opere viste, e queste emozioni diventano sempre punto di partenza e spunti creativi per il lavoro successivo.
È certo che progetti di laboratorio possono essere sviluppati con ottimi risultati anche nelle scuole, nelle biblioteche, senza la presenza fisica delle opere d’arte, cambiando lo stimolo di partenza e strutturandoli in modo diverso, ma raggiungendo analoghi obiettivi.

Laboratorio al PAC in occasione della mostra
dell'artista Chen Zhen.
L’artista è un punto di partenza: ci dà idee e stimoli, sia teorici sia pratici, per riflettere sul suo mondo e sul suo particolare modo di vedere le cose. Questo, ad esempio, è capitato in occasione della mostra personale dell’artista giapponese Yayoi Kusama, tenutasi al PAC, dove il laboratorio sviluppato (che vedete nelle immagini) ha preso spunto dalla particolare e ossessiva visione di Yayoi del mondo a puntini. Dopo la visita guidata a una selezione di opere, i bambini sono stati invitati a ideare e realizzare in gruppo una texture con vari materiali su una parete del laboratorio. Il gioco era mimetizzare una parte del corpo all’interno della texture, riproducendola fedelmente. Se guardate attentamente la foto che segue, ci sono ben cinque parti di bambino (testa, braccia, piedi...) mimetizzate: se non le vedete è perché sono stati bravi. In questo modo ludico abbiamo parlato della visione (anche patologica) dell’artista per cui i puntini hanno invaso tutto il mondo.

Per fare questo lavoro, penso sia importante avere una formazione artistica. Sono fondamentali la conoscenza della storia dell’arte e delle tecniche artistiche, così da poterle usare in modo metaforico, catartico o semplicemente stupefacente.
Ma anche essere artisti (in senso lato, ovviamente) aiuta nella comprensione, interpretazione e spiegazione dell’opera rivolte a un pubblico più giovane, intendendo con artisti quelle persone in grado di mantenere uno sguardo attento e curioso sul mondo e la capacità di stupirsi, sapendo osservare le cose anche da diverse altezze (in senso sia metaforico sia fisico).

Laboratorio ispirato all'opera
dell'artista Yayoi Kusama.

Oltre alla Passione (con la P maiuscola) per l’arte e per i bambini, fondamentali, è necessaria tanta esperienza sul campo: tanti, tanti, tanti laboratori.
Rivolti a fasce d’età diverse (dai 3 ai 99 anni), in contesti diversi (museo, scuola, biblioteca, parco pubblico ecc.). Perché, se non conosco i bambini, i ragazzi e non so cosa sanno fare manualmente, cosa gli interessa, cosa può essere più utile per loro a quell'età, come posso creare un progetto ad hoc?

L'artista Katzuo Shiraga...
Mi arrivano molti curriculum, dove la richiesta delle neolaureate è quella di proporsi (non so perché) per la progettazione, ma non per la realizzazione dei laboratori (forse perché è un lavoro sporco, i miei pantaloni ne sanno qualcosa) ma poi, ovviamente, quando gli chiedi se un bimbo di quattro anni sa tagliare e un bimbo di tre sa annodare, non ti sanno rispondere.
Anche dopo vent’anni che faccio laboratori, sono convinta che i bambini siano la parte più bella del lavoro, la più arricchente: non potrei progettare senza vedere come  reagiscono agli stimoli che gli do. Infatti, sono loro i veri autori e fautori del progetto. Un buon progetto, a mio avviso, è quello che sa cambiare in corso di realizzazione. Intendo dire che i bambini cambiano così rapidamente (molto più rapidamente di noi), che non bisogna mai avere la presunzione di sapere con certezza cosa gli piace o quella che a strumento dato si ottenga un dato risultato. Il progetto deve essere considerato un’ipotesi che nasce, sicuramente da uno studio approfondito e da una profonda conoscenza che però vanno testati e sapientemente modificati sul campo.

... e i bambini si confrontano.
Il progetto, in fondo, è lo strumento che ti permette di vendere il lavoro alle scuole o agli enti pubblici. E per esperienza è bene che siano chiari gli obbiettivi e le dinamiche con cui lo si intende realizzare, ma non è necessario e utile essere troppo rigidi sui materiali e sul risultato estetico finale, perché, se ben guidati, i bimbi ti sanno sempre sorprendere e a volte i laboratori prendono direzioni inaspettate che vanno sicuramente guidate, ma non limitate.

Come si intraprende questo lavoro? Ovviamente, se si parte da zero, il consiglio è sempre di seguire chi già lo fa. Come in tutte le professioni, bisogna studiare sia sui testi sia sul campo, e poi iniziare a stendere i propri progetti personali, avendo però molto chiari gli obiettivi e l’utenza a cui sono rivolti: innanzitutto siamo educatori.
Dopo molti anni, ancora mi scontro con la mentalità diffusa che, in fondo, lavorare con i bambini è cosa semplice, che chiunque lo può fare.
Oppure, spesso, mi sento dire quanto sia bello fare “pitturare” i bambini. Non nego che vedere un bambino che con stupore scopre che ciano e giallo creano il verde sia sempre per me estremamente emozionante, però questo è un lavoro più ricco e complesso, che dà soddisfazioni, ma che va fatto con serietà, innanzitutto per rispetto all’intelligenza dei bambini, e per il potere educativo e catartico che ha.
Ma sono sicura che se in questo momento siete collegati a questo blog, siete d’accordo con me.

E per chiudere in bellezza, un poeticissimo video realizzato dai bambini con la tecnica della lanterna magica.
LANTERNA MAGICA from Andrea Tagliabue on Vimeo.

mercoledì 13 febbraio 2013

Gita scolastica: editori per un giorno

Questa è una machina da stampa offset. I libri si stampano qui.
[di Marta Ferina]

Mercoledì, 23 gennaio, anche se le lezioni sono ufficialmente finite da una settimana, ultimo appuntamento del corso Progettare libri. Un incontro facoltativo, ma non per questo meno importante: un po' esperienza sul campo, un po' gita sociale. Siamo andati in visita alle Grafiche AZ, a Verona.
Partenza all’alba, tutti in arrivo da pianeti diversi, più o meno dislocati intorno alla stella Milano, decidiamo di ritrovarci in un tipico luogo di appuntamenti (anche se normalmente di altro genere): il parcheggio di una nota azienda biscottiera, appena fuori dal casello di Agrate.

Questo è un mettifoglio. Da qui, i fogli bianchi entrano nella macchina da stampa.

Alle ore 7.15 di mattina l’allegra comitiva si riunisce. Con Paolo siamo in sei: Elham, Fabio, Ilaria, Miguel e la sottoscritta.
Partiamo, quindi, a bordo di due potenti mezzi: la Topomobile, di cui ignoro il modello, ma solo il fatto di essere Topomobile la rende per definizione potente mezzo; e la Range Rover di un fidanzato che, ovviamente, non è illustratore e la presta generosamente.
Se non fosse stato per la sosta caffè, saremmo arrivati in un lampo.

Questo è l'ingresso in macchina. Qui il foglio scompare per riemergere
stampato al capo opposto della macchina.

Vista l'ora – non erano ancora le nove – pensavamo di arrivare ed essere accolti con cappuccino e brioches. Invece, appena entrati, siamo immediatamente precipitati nella dura vita dell’editore. Neanche il tempo di togliersi la giacca e veniamo messi alla prova con la correzione di una cianografica. La cianografica è l'ultima spiaggia: l'ultima verifica prima di stampare il libro, quindi l'ultima occasione per correggere testi ed eventuali errori di impaginazione. Si può ancora correggere tutto, ma non i colori, perché si sa che nella cianografia non sono fedeli (e se non lo sapevate, non vi preoccupate: anche io l’ho appena scoperto).
Tutti seri e attenti iniziamo il nostro lavoro, segnalando le imperfezioni, anche se penso che l’unica correzione realmente utile sia stata quella di Miguel sulla copertina (ma non vale: Miguel parte avvantaggiato dalla sua lunga esperienza).

Questo è il macinatoio dell'inchiostro nero

Non facciamo quasi in tempo a finire questo primo compito che già si aprono le porte di quella che per noi si rivela essere una vera e propria fabbrica di cioccolato. E non si può mica gingillarsi. Bisogna correre.

Questo è il macinatoio del giallo
(poi ci sono anche quelli del magenta e
del cyan, ma credo che basti).
Così, da una porticina piccina picciò, passiamo in un immenso capannone con un’immensa macchina da stampa offset. Se non ne avete mai vista una, pensate a un’astronave tipo Spazio 1999. Dislocate come satelliti intorno all’astronave, tante risme di carta, bianche o con sopra stampati libri più o meno conosciuti, ancora scomposti sul foglio e pronti per passare alle fasi successive.

Qui, ci accoglie Roberto Girlanda, una specie di mago della tecnologia poligrafica che ci accompagnerà per tutta la giornata alla scoperta dei segreti del suo lavoro per il quale nutre una profonda passione.

A questo punto, assistiamo all'avviamento del foglio di stampa. Con originali e prove alla mano, si valuta il risultato di stampa e si decidono le correzioni da apportare all'inchiostrazione, per ottenere il risultato più simile possibile all'originale.

Meno nero qua, più rosso là… correzioni che si possono fare centimetro per centimetro e che vengono eseguite con molta attenzione. Naturalmente, tutto questo avviene con l'ausilio di tecnologie veramente impressionanti.

E questa è l'uscita di macchina, dove riemergono i fogli stampati.

Una volta dato l’ok, si parte con la stampa, il foglio passa di nascosto attraverso l’astronave, passa attraverso il castello del nero, del cyan, del magenta e del giallo per poi uscire bello e pronto, il tutto a una velocità impressionante.
Scienza o magia? Sicuramente magia!

Guarda il video!
 Macchina da stampa Offset from Andrea Tagliabue on Vimeo.

Per farci capire meglio il processo di stampa, Roberto ci mostra alcune pellicole. Sono il retaggio di un tempo passato, nel quale le tecnologie non erano avanzate come adesso. Oggi, le pellicole non ci sono più e dal file digitale si incidono direttamente le lastre. È così che scopriamo i segreti dei retini, delle loro inclinazioni e del famigerato effetto moirè (quello che vedete, se scansite un'immagine stampata nello scanner di casa senza impostare la funzione “Deretinatura”).

Questa è una pellicola. Oggi non si usano più, ma è meglio sapere che esistono.

Una volta che il foglio è avviato, passiamo al secondo livello: nel capannone adiacente c'è la legatoria dove il foglio di macchina viene tagliato, piegato, cucito, rilegato. È qui che il libro assume la sua forma finale. Qui ci viene fatto notare come il vantaggio di avere stampa e rilegatura nella stessa azienda sia molteplice, sia per contenere i prezzi sia per avere tutto il processo sott’occhio, cosa che per editori e autori è  importante.

Questa è una lastra (giallo). Ce n'è una per ognuno dei quattro colori di quadricromia.
 Con quattro colori si fa tutto (o quasi)

Purtroppo, non tutte le macchine per la rilegatura erano in funzione… Però possiamo seguire il percorso del foglio che viene tagliato, fustellato, piegato, assemblato, cucito e, molto probabilmente, coperto da una copertina più o meno rigida.
Scopriamo diversi tipi di colle per diverse esigenze; vantaggi e svantaggi del taglio al vivo della copertina; gusti e mode dei vari editori che qui producono i loro libri.

Questa è la macchina che scrive le lastre
Ma siamo tutti un po' distratti, rapiti dai cestini dei rifiuti (in realtà, contenitori pallettizzati da un metro cubo ciascuno). Lì dentro troviamo libri conosciuti e amati, e altri ignoti al mondo e alle librerie, scartati, abbandonati a un destino crudele: il macero. E tutto questo solo perché hanno una piccola, impercettibile ammaccatura, una copertina un po' storta, un difetto che, per quanto ci sforziamo, non riusciamo a nemmeno a individuare.  Colpisce questa ennesima testimonianza dell’infinita attenzione che qui viene data al libro, dalla sua nascita fino allo svezzamento.

Prima di pranzo, riusciamo a fare anche un salto da Renzo, il fotolitista, dove tentiamo di carpire i segreti di scansioni e fotoritocchi. Dato che è un po' complicato, la lezione sul campo è rimandata a data da destinarsi.

Intermezzo pubblicitario: Paolo e Miguel hanno intenzione di organizzare un incontro specifico, a Milano, probabilmente un sabato. Se volete essere informati, mandate una mail con oggetto “Scansione e cromia” a info[at]topipittori[dot]it].

Ma non è ancora finita, dobbiamo ancora scoprire come si fanno le lastre da stampa offset, quindi partiamo alla volta di un altro capannone.

Poi, finalmente si mangia. Tutti dalla “Nella”, tipica trattoria operaia in questa zona industriale alle porte di Verona. Le opzioni sono: bigoli in tutte le salse, bollito misto con salsa pearà, torte varie. Un paio di scriteriati danno l'assalto a una bottiglia di Valpolicella. Ma, in generale, nel gruppo nessuno si tira indietro, davanti al cibo. Anche perché la lunga giornata dell’editore non è ancora finita (infatti, lui non ha bevuto neanche un goccio).

Questa è una prova colore, con le sue belle scale certificate.

Torniamo alle Grafiche AZ dove ci attendono le prove colore di un nuovo, futuro e segretissimo libro dei Topipittori e qui con moltissima attenzione si valutano una a una le illustrazioni originali (che emozione!) con le relative prove di stampa e si affronta lo spinoso problema del quinto colore (stacchetto musicale... suspence).
Ed ecco che compare il colore Pantone temuto da tutti gli editori, sogno proibito degli illustratori: il colore che non si ottiene in quadricromia. Caro illustratore, non temere:  se l’editore ti vuole bene prima o poi nell’arco della tua lunga carriera ti concederà almeno un libro con un colore Pantone a tua scelta.

Questo è il libro che abbiamo stampato

A questo punto, dopo aver detto la nostra anche sui colori del futuro libro, stanchi, stremati, ma con il cuore gonfio di felicità (detto come lo direbbe Luigi del film Cars) e la testa scoppiettante di idee per il futuro, salutiamo tutti ringraziamo e ci rimettiamo in marcia verso casa.

E questo è il Guglielmi, capomacchina straordinario:
uno dei tanti che dobbiamo ringraziare.

Penso sia importante per un illustratore conoscere e ancor meglio seguire questo processo (anche se, forse, editore e stampatore certi illustratori non li vorrebbero tra i piedi...). Rendersi conto dei processi di produzione, fa capire molte cose e sicuramente aiuta ad avvicinare il lavoro creativo in modo diverso, più consapevole.
Un grande grazie a Paolo che ha organizzato corso e viaggio, e a Roberto, a Daniele, a Michele e a Leonardo. Ma bisogna anche ringraziare IL Guglielmi, IL Marco, IL Loris, IL Plinio, IL Renzo e tutti quelli di cui non ricordo il nome che, con la loro professionalità e disponibilità, ci hanno accolto a casa loro accompagnandoci in questa esperienza illuminante.