Quando invece si andava a Forlì, dalla nonna, divoratrice inesausta di “Stop” e varietà del sabato sera, si facevano scorpacciate di schifezze. Schifezze? Viste oggi erano chicche. Alcune lo erano poi già, davvero, anche allora. Per esempio gli sketch della Franca. La Franca Valeri. Una che la prima volta che l'ho vista, mi ha conquistato per la vita e mi ha sempre fatto morire dal ridere, e morire di invidia per la bravura, l'intelligenza, la classe, lo spirito. La migliore, la Franca, a tutt'oggi, non c'è dubbio. Comica? Sì, grande comica, ma anche raffinata e implacabile scrittrice di teatro, capace di ritratti femminili ad altissima, e diabolica, precisione. I suoi libri li ho tutti.
Oggi Franca Valeri ci fa la grazia di un libro di memorie. Di una bellissima autobiografia che mi è stata regalata a Natale (grazie!) e che ha allietato le mie vacanze natalizie a Venezia, città che la Valeri descrive a proposito della sua infanzia, in poche, perfette parole: “Shakespeare e Goldoni si contendevano la notte le piazzette illuminate dalla luna, perché l'ultima estate di pace mi pare che sia stata splendida; come un addio.” Poi, nel libro, arriva la guerra.
Il libro, Bugiarda no, reticente (Einaudi 2010; impagabile l'episodio che dà il titolo), è una perla. Anzi un diamante: per la scrittura, la lingua, l'ironia, la libertà e la finezza mentali, la cultura, la ferocia, la qualità del pensiero, la mirabile sintesi, lo smalto. Ce le ha tutte. È stato scritto da una signora che ha, come si dice, un'età.
Ne parlo qui perché per lei ho quella che si potrebbe tranquillamente definire una venerazione. Ma anche per un altro motivo. Mi piacciono le autobiografie e i romanzi di formazione: la nostra collana Anni in tasca nasce da questa doppia radice. L'autobiografia della Valeri attraversa, naturalmente, anche il periodo dell'infanzia e della giovinezza: pagine che descrivono una bambina della Milano borghese e colta dei primi decenni del Novecento con magistrale bravura; quando Milano, era, che ridere pensarci oggi, quella che si definisce una capitale morale...
Per dar conto di questo libro, ho scelto un brano che a mio avviso ha tutte le qualità di cui dicevo prima. Eccolo qui.
La mia storia con la mamma è cominciata verso i tre anni con un suo racconto che non saprei definire e di cui non è certo facile capire la ragione psicologica. Non ricordo in quale momento della giornata o in quale punto della casa (forse in bagno, ma certamente il bagno, detto bagnetto per i bambini, me lo faceva la bambinaia), mia madre mi ha fatto questo racconto, come se le urgesse di mettere le cose in chiaro con me.
«Sai, un giorno, era estate, ma per il caldo era venuto un gran temporale e io aspettavo la donna che porta i bambini. Avevo ordinato un maschietto per fare compagnia a Giulio e avevo anche pensato di chiamarlo Cesare (la ragione della scelta del nome non mi era chiara); quella disgraziata è arrivata che era già notte, tutta bagnata, le gocciolava l'ombrello in anticamera. Mi ha consegnato un fagotto e ha detto: “Mi scusi il ritardo, scappo, sono cento”. Guardo nel fagottino. Era una bambina. “Cara lei, le avevo ordinato un maschio”».
Mia madre era sbrigativa anche nel raccontare. Comunque di fiabe non ne ha mai raccontate, al di fuori di questa.
«Allora?» potrei aver chiesto io.
«Allora quella lì ha cominciato tutta una storia: “Signora, ho avuto tanti impicci, mio marito è malato. È tardi... me la prenda... sia buona... facciamo così, invece di cento lire gliela do per cinquanta”».
Mi ero incuriosita della conclusione.
«E così ti ho presa».
Il racconto non è finito nel manuale di uno psicologo, ma nei miei ricordi più divertenti. Inconsapevolmente avevo inquadrato le qualità di comica dell'assurdo di mia madre, e le avevo messe gelosamente da parte al posto di un inutile complesso. Mio fratello sembrava molto contento di essere costato di più.
In questa scuola dei complessi, mia madre era maestra. Lei prediligeva apertamente mio fratello, di cui ha conservato in una scatolina fino alla morte il primo dentino, rendendomi partecipe razionalmente di questa sua scelta. Io ho adorato mio fratello, ero ammirata dalla sua timidezza come fosse la dote di un privilegiato, e chiedevo come un paggio agli altri bambini: «Volete giocare con mio fratello?»
Con qualche pagina in più, questa parte dedicata dalla Valeri alla sua infanzia e adolescenza, sarebbe stata un Anno in tasca da leccarsi i baffi. Ma non si può avere tutto.
La Franca e il suo bellissimo libro sono già abbastanza.
3 commenti:
Condivido pienamente, ogni sillaba.
Da piccolo, quando c'era lei in tv, i miei dicevano che "la rispettavano", che non era come Totò, Gassman, Sergio Telmon o Ugo Gregoretti (cioè gente prezzolata, tutto preparato). Conoscendoli, li impressionava che facesse quei numeri pur essendo una donna.
Una volta però al telefono dissi a mia madre "pronto mammàaaa?" e lei mi butto giù la cornetta.
Mauro
Mauro, che ridere! Grazie della condivisione. Si finisce sempre a scoprire il terreno comune.
che classe, che modello femminile. avercene!
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