martedì 21 giugno 2011

Distesa estate, stagione dei densi climi...

Comprai L’estate incantata di Ray Bradbury, durante l’estate del 1985, in un'edicola.
Nella mia vita ho comprato pochi libri in edicola, ma quei pochi li ricordo bene. Di solito questo accade in vacanza e per tre ragioni: la prima, è che spesso nei posti piccoli e sperduti dove vado, non ci sono librerie e l'unico punto di diffusione della carta stampata, quando c’è, sono le edicole; la seconda, è che questi libri adocchiati casualmente, rappresentano dei lampi, dei deliziosi fuori programma nel piano delle letture vacanziere, in cui confluiscono quei libri che metto da parte durante l'anno sapendo di volergli e dovergli dedicare un tempo più lungo e concentrato; la terza, è che questi volumi, fino a quel momento sconosciuti, mi chiamano con forza irresistibile, al punto da farsi comprare su due piedi, senza un'esitazione: in questi incontri c’è, insomma, la forza di un destino e di un riconoscimento.
L’estate incantata (titolo originale, Dandelion Wine, cioè vino di dente di leone, o tarassaco), sconvolse i miei piani di lettura e mi catturò a vita: vale a dire, mantenne tutte le promesse. È un gran libro. Che consiglio anche a chi sia in cerca di letture per lettori molto giovani, sulla soglia, cioè, di una trasformazione radicale.
Insieme a Estiva di Vincenzo Cardarelli, per me questo libro rappresenta il più appassionato ed esatto inno all’estate - stagione di trapasso esistenzialmente cruciale, stagione data, aperta alla generosità della giovinezza. Per celebrare questo inizio d'estate, vi riporto la poesia di Cardarelli e il brano di apertura del romanzo di Bradbury, il cui andamento, tradotto in linguaggio musicale, potrebbe equivalere a un “largo”.

Distesa estate, 
stagione dei densi climi

dei grandi mattini 
dell'albe senza rumore -

ci si risveglia come in un acquario - 
dei giorni identici, astrali,

stagione la meno dolente 
d'oscuramenti e di crisi,

felicità degli spazi, 
nessuna promessa terrena

può dare pace al mio cuore 
quanto la certezza di sole

che dal tuo cielo trabocca, 
stagione estrema, che cadi

prostrata in riposi enormi, 
dai oro ai più vasti sogni,

stagione che porti la luce 
a distendere il tempo

di là dai confini del giorno, 
e sembri mettere a volte

nell'ordine che procede 
qualche cadenza dell'indugio eterno.

Anne Brouillard, Le pays du rêve
Era una mattina tranquilla e la città era ancora avvolta nel buio. Il tempo diceva che era estate: il vento aveva quel certo tocco e il respiro del mondo era lungo, caldo e lento. Bastava alzarsi e sporgersi dalla finestra per sapere che questo era il primo giorno di libertà e di vita, il primo mattino d'estate.
Douglas Spaulding, dodici anni, appena sveglio, lasciò che l'estate lo cullasse nel flusso pigro dell'alba. Coricato nella stanzetta del terzo piano, col tetto della torre sopra di lui, Douglas si sentiva forte in quella stanza alta che cavalcava il vento di giugno, nella torre più imponente della città. Di sera, quando gli alberi si mescolavano in un'unica ombra, lui scoccava le sue occhiate in tutte le direzioni, come dall'alto di un faro, sull'oceano di olmi, querce e aceri, mosso dal vento. E ora...
«Ragazzi!» sussurrò Douglas.
Aveva un’intera estate davanti a lui, un’intera estate da cancellare dal calendario, giorno per giorno. Gli sembrava di essere come la dea Siva che aveva visto nei libri di viaggio, gli sembrava di avere anche lui cento mani con cui avrebbe raccolto mele acerbe e pesche e naturalmente uva passa. Per vestiti avrebbe avuto gli alberi, i cespugli e i fiumi. Avrebbe gelato, volentieri, davanti alla porta del magazzino del ghiaccio, spiando la brina all'interno; e si sarebbe arrostito, con gioia, insieme ai diecimila polli della cucina della nonna.
Per il momento, tuttavia... lo aspettava un esercizio familiare.
Una volta alla settimana gli permettevano di lasciare papà, mamma e suo fratello minore Tom nella casetta attigua e di salire nella piccola torre che sovrastava la casa dei nonni, alla quale si accedeva per la lunga scala a chiocciola che lui faceva sempre di corsa, al buio, e in quella torre degna d’uno stregone si addormentava fra lampi e visioni, per risvegliarsi al mattino al tintinnio di cristallo delle bottiglie di latte. Allora bisognava compiere il rituale magico.
Si alzò, andò alla finestra e inspirò a pieno polmoni. Poi soffiò.
Il lampioni stradali si spensero come candele su una torta nera. Soffiò ancora, e ancora, e cominciarono a sparire le stelle.
Douglas sorrise e puntò un dito.
Là, e poi là. Ora qui...
Rettangoli gialli si disegnarono sul vago terreno del mattino mentre nelle case si accendevano le luci. E un grappolo di finestre brillò all'improvviso a chilometri di distanza, nella campagna immersa nell'alba.
«Tutti sbadigliano e tutti si alzano.»
Sotto di lui la grande casa si sitiracchiò.
«Nonno, prendi la dentiera dal bicchiere!» Attese un tempo ragionevole, poi: «Nonna, bisnonna, friggete le frittelle!»
Il caldo aroma della pastella fritta si diffuse nei gelidi corridoi per svegliare i pensionanti, le zie, gli zii, i cugini in visita e tutti quanti.
«Strada dove abitano i Vecchi, svegliati! Signorina Helen Loomis, colonnello Freeleigh, signorina Bentley! Tossite, alzatevi, prendete le medicine, cominciate a muovervi! Signor Jonas, attacchi il cavallo e cominci a portare in giro il carretto!»
Le ville buie al di là del crepaccio che divideva la città spalancarono i loro occhi maligni di drago. Fra poco, nelle strade del mattino, due vecchie signore avrebbero pilotato una Macchina Verde elettrica, facendo segno a tutti i cani di scansarsi. «Signor Tridden, corra alla rimessa!» Fra poco, sovrastato da un nugolo di scintille azzurre, il tram cittadino sarebbe salpato per le vie pavimentate in rosso.
«John Huff Charlie Woodman, siete pronti?» sussurrò Douglas in direzione della Strada dei Ragazzi. «Pronti!» a lanciare palle da baseball nei prati umidi, a saltare sulle altalene che aspettavano, vuote in mezzo agli alberi.
«Mamma, papà, Tom, svegliatevi.»
Cominciarono a suonare le sveglie. L'orologio del municipio rimbombò. Gli uccelli si lanciarono dagli alberi come una rete che Douglas avesse gettato. E lui, il direttore d'orchestra, li sentì cantare e indicò il cielo a oriente.
Il sole spuntò dietro l’orizzonte.
Douglas si mise a braccia conserte e sorrise del sorriso di un mago. Sissignori, pensò, tutti saltano, tutti corrono, quando io comando. Sarà una bella estate.
Rivolse alla città un ultimo schiocco delle dita.
Le porte delle case si splancarono e la gente si affrettò a uscire.
Cominciò l’estate del 1928.
(trad. Giuseppe Lippi)

Le illustrazioni sono tratte dal bellissimo Le pays du rêve di Anne Brouillard, Casterman 1996. Che trovate qui, in vendita.

Anne Brouillard, Le pays du rêve

4 commenti:

mara ha detto...

grazie del consiglio!
questo lo compro di sicuro.. non vedo l'ora di leggerlo..

Unknown ha detto...

Dev'essere bellissimo! Lo comprerò anch'io,

grazie

gianlorenzo ingrami ha detto...

Bradbury è uno dei miei scrittori preferiti, e i suoi libri, magici ed evocativi, hanno accompagnato la mia formazione e crescita, ancora in corso. Il suo sguardo sulla realtà è sempre interiore, un filtro personalissimo e illuminante, che mette in luce quello che normalmente nella quotidianità non si riesce a vedere, o che i bambini vedono meglio, o piuttosto che noi adulti abbiamo disimparato a vedere. La settimana passata ho finito il suo romanzo "Morte a Venice", ulteriore dimostrazione di quanto dico sopra: riesce a trasformare anche un noir, coi suoi delitti e i suoi misteri da risolvere, in un romanzo di formazione, sia personale del protagonista, che dell'intero mondo che gli ruota intorno, che durante la storia subisce un vero e proprio doloroso mutamento

Topipittori ha detto...

Grazie CeciGian per questo tuo commento. E Mara e Iulia per l'entusiasmo.