martedì 13 dicembre 2011

Che cos'è una fiaba?

O meglio: cosa fa di una fiaba, una fiaba?
Qualche giorno fa ne ho parlato con Marina Gellona, che sulla fiaba sta tenendo un corso alla libreria Feltrinelli di piazza Piemonte, a Milano, al quale, fra qualche mese, mi ha invitato a parlare. Il tema della fiaba è così ampio, gli ambiti di studio che la indagano così numerosi, le teorie tali e tante, i punti di vista così diversi che, veramente, qualsiasi affermazione in merito rischia di diventare difficile. L'impressione è sempre un po' quella di dire cose ovvie, stupide, scorrette, improprie, infondate, banali...

Qualche giorno dopo aver parlato di questo tema con Marina, tuttavia, mi è capitato di vedere un film che mi è parso rispondere perfettamente a questa domanda con la nitida bellezza delle sue immagini, della trama, dei personaggi. Il film si intitola L'isola di ferro. Il dvd se ne è stato per mesi sul mobile all'ingresso di casa: prestato, appoggiato, subito dimenticato e, perciò, mai guardato. Poi, l'altra sera ero sola, con un raffreddore micidiale. Nessuna voglia di uscire. Qualche linea di temperatura. Ho raspato fra i dvd, cercando qualcosa da vedere, considerato che la tv non l'abbiamo e sarebbero questi i momenti perfetti per guardarla. Insomma, è saltata fuori questa Isola di ferro.
E L'isola di ferro mi è sembrata una storia bellissima. 



In breve, qualche notizia: presentato al Festival di Cannes nel 2005, alla Quinzaine des Réalisateurs, L'isola di ferro, titolo originale Jazireh ahani, è il secondo lungometraggio del regista iraniano Mohammad Rasoulof, che fra l'altro ha subito una condanna al carcere nel suo paese, a causa del film girato insieme al collega Jafar Panahi, sulle proteste post elettorali dell’Onda Verde.
L'isola nominata nel titolo è una vecchia petroliera abbandonata nel Golfo Persico, dove si stabilisce in modo permanente e spontaneo una piccola comunità di famiglie prive di casa e di mezzi di sussistenza. A capo di questo strano regno sull'acqua è il capitano Nemat.


Uso la parola regno perché è a questa che ho pensato, guardando le prime scene del film, quando Nemat, la mattina, passa in rassegna ogni angolo della nave, e ogni persona che la abita, si tratti di donne, bambine, ragazzi, uomini, vecchi, per vedere che tutto sia a posto, che tutto vada come deve andare. Perché nel suo regno nulla sia fuori controllo, Nemat per tutto, per tutti, ha una parola, uno sguardo, una soluzione, un comando, un rimbrotto, un consiglio, una minaccia, un'esortazione. Nemat, mi sono detta, osservandolo, è un re. Un re come quelli delle fiabe, che spesso oltre a essere sovrani sono padri, anzi si direbbe che non possano mai essere l'una cosa senza l'altra (c'era un sovrano che aveva una figlia, tre figli, tre figlie, sette figli, undici figli e una figlia bellissima... eccetera).

E Nemat, come un re, come un padre, è paternalista, paziente, saggio, dispotico, furbo, ambizioso, ma anche irascibile, suadente, cieco, geloso e, soprattutto, fallace. Perché se, come tutti i re, vorrebbe essere giusto per essere amato, il potere che esercita lo rende fatalmente ingiusto per avere più a cuore il benessere del proprio dominio, del proprio regno, del proprio ruolo che quello dei suoi sudditi. Non crede, infatti, Nemat al maestro di scuola, che, onestamente, lo avverte che, centimetro dopo centimetro, nell'inconsapevolezza collettiva, la nave sta affondando. O meglio, non vuole credergli, sebbene l'ingegnosa economia su cui si regge il suo minuscolo regno galleggiante sia il ferro della nave stessa che, pezzo dopo pezzo, è smontato, portato a terra e venduto. E questa volontà di non vedere, questa ostinata cecità, è il primo guasto del potere, la prima infrazione, imperdonabile, al corso naturale della vita e alla sua giustizia, di cui i re, tutti i re, tutti i padri, per destino, sono colpevoli, in tutte le fiabe, in tutti i regni, in tutti i paesi.


Ma non è solo Nemat, a essere fiabesco.
Sono fiabeschi i due innamorati separati dal destino: il figlio adottivo del re che vorrebbe sposare la bellissima ragazza promessa, sciaguratamente, a un uomo abbiente e maturo. Come in una storia delle Mille e una notte, i due amanti si scambiano doni fatti di niente se non di puro ardore, trasgredendo all'ordine imposto dalle leggi del clan attraverso gesti sublimi per grazia e disperazione.
Fiabesca è la vita industriosa e rassegnata dei numerosissimi abitanti della nave: ognuno fissato in una precisa mansione, in un carattere, atteggiamento, compito, dovere. I bambini imparano, i vecchi si lamentano, le donne gridano, gli uomini sudano, le ragazze osservano, i ragazzi si agitano.


Fiabeschi sono gli animali che appaiono in questo ambiente così poco adatto a loro: asinelli da soma, caprette, polli. Vere e proprie apparizioni nel bagliore accecante del bianco e dell'azzurro.
Fiabesche sono le prove iniziatiche a cui il re sottopone i ragazzi: compiti pericolosi imposti loro in nome della sopravvivenza della comunità.
Fiabesca è la terra nuova, il nuovo regno che la comunità sarà costretta a fondare, obbligata a lasciare la nave: un deserto di polvere abbagliante in cui solo la speranza sembra poter far sorgere, inventare il profilo di una città futura.


Ma soprattutto fiabeschi sono gli invisibili pesci che vivono nella zona più profonda e oscura della nave. Quella dove l'acciaio si mescola all'acqua salata, e in cui uno strano bambino, chiamato il pesce-bimbo, vive immerso, intento, con una rete, a cercare questi pesci-fantasma sulla cui presenza a bordo giura, non creduto. Esseri mai visti, solo favoleggiati e perciò, vieppiù, magici, e capaci di ammantare di magia, con la sola promessa della loro esistenza, la persona del loro fiducioso, minuscolo liberatore. Personaggio, dunque, questo pesce-bimbo, a partire dal nome, fiabesco quanti altri mai, proprio in virtù del suo credere nell'impossibile: caratteristica che, insieme alla fragilità e al coraggio, connota, inequivocabilmente, tutti, ma proprio tutti i protagonisti più autentici delle fiabe.


Che cos'è una fiaba? Cosa fa di una fiaba, una fiaba? Guardando L'isola di ferro ho avuto l'impressione che in questo film tornino temi, toni, gesti, suoni di tante fiabe diverse. Innumerevoli frammenti di fiabesco capaci di ricomporsi nel corpo nuovo di questa storia iraniana in un'unità perfettamente risolta. Una narrazione che ha lo smagliante incedere delle fiabe classiche, con quel loro passo inquietante, fatale, antico. Con quella loro stupefacente, vibrante prossimità al vero che avvertiamo anche quando sembrano parlarci da un tempo e da uno spazio remoti, inattingibili, fantastici. Tanto più lo sembrano, tanto più ci stanno parlando di oggi, di adesso, dell'istante stesso in cui scriviamo.

2 commenti:

cristina ha detto...

davvero molto intenso e bello! L'ho condiviso!

Anonimo ha detto...

Dalla descrizione deve essere un film stupendo.Grazie per la segnalazione!