Kona che, come spiega Paolo Briganti nella prefazione al libro, in giapponese significa polvere, è la silloge che è stata pubblicata all'inizio del 2102, relativa al concorso indetto nel 2011. Questo libro ha colpito la mia attenzione per una ragione semplice, ma non scontata: la qualità dei testi pubblicati. Potrei dire, praticamente di tutti. La poesia è un campo minato. Ed è facilissimo che i concorsi che le sono dedicati finiscano per proporre testi imbarazzanti: non per nulla è noto che l'Italia è il paese dove tutti scrivono poesia, ma nessuno, o almeno pochissimi la leggono. E si vede.
I partecipanti al concorso di Tapirulan hanno invece evidentemente letto molto: traspare dalla misura e dalla cura, dalla compostezza e dalla lucidità, dalla acutezza e dall'ironia dei versi, dalle scelte lessicali e metriche. Insomma, detto come va detto, io non mi aspetterei da degli esordienti un simile risultato.
Foto di Gianmarco Stocchi. |
Vi riportiamo due poesie del vincitore del concorso del 2012, Raffaele Sabatino, che mi sono piaciute particolarmente come porte schiuse su visioni d'infanzia (tema più che mai spinoso e ingannevole). E una poesia brevissima di Emma De Zuani.
Nel volume a ogni testo è associata una immagine fotografica (e sì, anche le foto sono belle).
Ringraziamo gli organizzatori di Tapirulan per averci permesso di pubblicare gli uni uni e le altre.
Raffaele Sabatino
850
Solo il nipote capisce lo zio
Paolo
Conte
C’è stato un tempo in cui di tanto in tanto
lavavo l’automobile a mio zio.
Era celeste. Leggevo nell’aria
segnali propedeutici alla richiesta,
l’armamentario esposto nel cortile:
una pompa arancione, spugna, shampoo. La 850 attendeva.
La lavavo dentro e fuori, e i vetri,
poi lui mi dava due o tremila lire
e se ne andava via, con la sua vita
da ragazzo di paese (e già “dottore”)
mettendo in folle giù per la discesa,
per la città, per qualche appuntamento. La 850 ancora gocciolava.
Un giorno ci facemmo un incidente,
ma preannunciato: a causa della pioggia
iniziò lentamente a scivolare
e mio zio gridò forte: «Reggiamoci!»
mentre non seguivamo più la curva
andando allegramente alla deriva. La 850 deragliava.
A me sembrava di avere un padre, e
benedicevo tutti gli zii, i nonni,
le famiglie un po’
arrangiate del mondo,
le occasioni riservate ai secondi,
il dio
degli studenti in medicina
che fanno i camerieri nei week-end.
Correzioni
My second great discovery was death.
Children don’t think they’re ever going to die.
I was like that too, until I was four.
I was in a shop with my mother and suddenly
I realized I was wrong. I started to cry. I knew I would die
Paul Erdös
Foto di Linda Vukaj. |
mia madre mi portava in corriera
alla “Athlon”, piscina cittadina,
sperando di guarirmi la schiena.
Scongiuravamo incombenti scoliosi
tra svestizioni tacite, intese
che officiavamo come due novizi
di sacrestia, poi l’uso esercizio:
annaspare tra righe di boe,
vederle sfilare a due a due,
aggrapparsi a tavole colorate
mai completamente abbandonato;
accessorio galleggiante, serio,
consideravo tra spruzzi di cloro
regolare l’incedere adagio
alta alla parete di un orologio.
Foto di Nicola Boccaccini. |
Solo
Solo i bambini
si affacciano ai balconi
e i vecchi, e i fiori.
1 commento:
belle, molto, soprattutto quella brevissima. Evviva!
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