Alcuni giorni fa ci hanno invitato a partecipare all'incontro Letteratura d'urto, che si è tenuto a Vicenza nel corso della Biennale di letteratura e cultura per l'infanzia. Con noi c'erano Andrea Rauch di Prìncipi & Princípi, Fausta Orecchio di Orecchio acerbo, Lina Vergara di Logos, Luisella Arzani, di EDT - Giralangolo, Miriam Giovanzana di Terre di Mezzo, Patrizia Zerbi di Carthusia. È stata una mattinata interessante, utile a mettere a fuoco affinità e differenze nel fare il medesimo mestiere, che è quello dell'editore. Sul blog di Prìncipi & Princípi trovate gli interventi di Andrea Rauch e di Fausta Orecchio. Qui pubblichiamo parte del nostro intervento.
Più volte, negli ultimi anni, mi è capitato di leggere o ascoltare discorsi in cui letteratura e intrattenimento sono fatti coincidere. A volte esplicitamente fatti corrispondere: a un convegno di letteratura per ragazzi, una voce nota di Radio 3 Rai (canale di cui, peraltro, ammiro incondizionatamente il lavoro), ipotizzava che l'unica salvezza per la letteratura sia quella di confluire nell'ampio fiume dell'intrattenimento.
Nel 2004, quando è nata Topipittori, Paolo Canton e io abbiamo cominciato a fare libri con l'idea che dei libri è andata formandosi in noi nel tempo, fin da bambini. Cioè quella che i libri sono un riferimento imprescindibile nella vita delle persone. Un eccezionale strumento di scoperta, di arricchimento costante e di personale miglioramento. Un canale sempre aperto di dialogo con se stessi e con gli altri. Una educazione silenziosa e meravigliosa al pensiero, allo sguardo e all'attenzione. In poche parole: una chiave insostituibile di accesso al mondo.
Se intrattenimento significa essere “trattenuti in” da qualcosa (pratica che prescrive un intrattenitore, attivo, e un intrattenuto, passivo...) ecco: allora il significato del libro per noi va esattamente in senso opposto. Il libro per noi è qualcosa che costringe, quando ne facciamo realmente esperienza, non a trattenerci dove siamo, ma a muoverci verso, a uscire dal luogo delle nostre conoscenze e certezze, per imboccare strade nuove. E il senso del libro, il suo movimento dal noto all'ignoto, nasce dalla stretta collaborazione fra chi lo fa e chi lo legge: è un confronto costante, dove ci sono due protagonisti entrambi attivissimi.
I nostri libri nascono da questa idea. Gran parte dei nostri libri sono illustrati: l'idea di lavorare con le immagini, oltre che con la parola, fin dall'inizio ci ha dischiuso un campo ricchissimo di possibilità. Perché al pari della parola le immagini ci sono sembrate strumenti meravigliosi, efficaci e potenti di senso, narrazione, formazione e strutturazione del pensiero. Concetto, questo, che non sempre è facile comunicare poiché all'immagine, nel nostro tempo e nella nostra cultura, si tende ad associare un significato deteriore. Un pregiudizio duro a morire, che finisce poi per avvallare un uso squalificante dell'immagine nel libro per ragazzi, creando un circolo vizioso.
Per questo, da che siamo nati, abbiamo capito che per sostenere questa idea di libro e in particolare di libro illustrato, è necessario rivolgere tempo ed energie alla formazione di quegli adulti che coi libri per bambini hanno a che fare. Lo abbiamo fatto attraverso corsi, penso al primo, quello tenuto dal 2005 a Bologna, all'Accademia Drosselmeier, sulla parola e l'immagine nel picture book (ma anche a numerosi altri), agli interventi critici su riviste e pubblicazioni, al Catalogone, che editiamo dal 2007, pubblicazione dedicata all'analisi dei libri illustrati, diffusa gratuitamente e destinata in particolare a bibliotecari, insegnanti, genitori, librai, educatori (che oggi condividiamo con altri editori), e in ultimo, penso al blog, aggiornato quotidianamente, e on line dal 2010 che tratta, toccandolo nei modi più diversi, il tema della cultura rivolta ai bambini e ai ragazzi, e che ha i bambini e i ragazzi come protagonisti.
Per quel che riguarda il fare libri, siccome nessuno “nasce imparato” e non esistono scuole per diventare editori, col tempo pensiamo di aver migliorato le nostre competenze: abbiamo appreso dagli errori, dalla pratica, dallo studio. Oggi ci sembra che i nostri libri siano abbastanza soddisfacenti anche se, ovviamente, quello che ci piacerebbe è fare libri straordinari. E non per puro narcisismo. Ma perché la lettura non dovrebbe mai essere un'esperienza ordinaria.
Ogni vera esperienza, per essere davvero tale, per un adulto o per un bambino, deve essere attiva. Il libro non fa differenza. Per questo è necessario che un libro sia straordinario, esattamente come strordinario è l'albero su cui un bambino si arrampica, l'amico con cui gioca, il gioco nuovo per cui costruisce nuove regole, il colore con cui disegna, lo scoglio da cui si tuffa. Tutte attività ben lungi dal poter essere ridotte a intrattenimento, ma veri e propri momenti che danno senso, verità e intensità alla vita.
Se il libro non ha questa forza, difficilmente potrà competere con la potenza che hanno le altre esperienze dei bambini. Ed è per questo che bisognerebbe proporsi di dare ai bambini, e di fare per i bambini, libri straordinari, che poi altro non vuol dire che libri capaci di assorbire, incantare, sorprendere, coinvolgere, spiazzare, pensare, facendo dell'esperienza del libro un processo da cui si esce trasformati, come trasformati si esce dal gioco. E facendo della lettura uno spazio tridimensionale: reso tridimensionale dalla complessità, dal piacere dell'atto che la lettura comporta: ascoltare, guardare, pensare. Uno spazio, come il gioco, ideale per scoprire.
Murray McKein, John Alcorn, Libri! |
5 commenti:
Bellissimo ascoltare come l'idea e la forma, nel vostro lavoro, coincidano.
Solo un appunto, quando scrivi:
"Il libro per noi è qualcosa che costringe, quando ne facciamo realmente esperienza, non a trattenerci dove siamo, ma a... "
Non so se sono d’accordo con il verbo "costringe"(anche se hai specificato: quando ne facciamo realmente esperienza). Proprio perché il parallelo era con la forzatura dell'intrattenimento, bisogna essere precisi, per tracciare bene un confine: l'intrattenimento trattiene, è verissimo, e manipola, perché è seduttivo: suo scopo è quello di forzare un'emozione nel lettore - ma penso lo stesso anche dei libri a tema, che vogliono insegnare al lettore una qualche verità, quando si sa che la verità è roba ben meno cristallina- , un buon libro, invece, non è mai seduttivo o manipolativo, perché suo scopo non è forzare un'emozione, o una comprensione qualsiasi.
E' questa la grande differenza tra cultura e cultura di bassa gamma. Nella cultura con la C maiuscola l'autore è sempre in una posizione di totale umiltà di fronte alla verità: è, semmai, stravolto dal desiderio di tradurre una forma che ha visto, incerto di esserci riuscito, madido di sudore per essersi confrontato con dei sentimenti, speranzoso che qualcuno capisca come si sente. E’ questa sua umanità che permette al lettore di riconoscersi, e di conseguenza, di conoscersi meglio. Un meccanismo del genere funziona proprio perché è una galassia più in là del campo semantico della “costrizione”.
Forse sarebbe stato più preciso il verbo "invita". Ma so che sei d'accordo.
Cara Anna, grazie per la riflessione condivisa e condivisibile. Credo di aver usato quel verbo in modo piuttosto istintivo, riandando all'esperienza e alla sensazione molto precisa di urgenza, di impellenza con cui uscivo, da ragazzina, dalla lettura di un libro. Fisicamente il libro mi spingeva e davvero quasi mi costringeva, a uscire allo scoperto, a portare a galla e a sperimentare esperienze fino a quel momento implicite. E inoltre a cercare con grande energia altri libri, per tracciare una sorta di percorso personale invisibile ma molto concreto. E devo dire che se a volte i libri che mi facevano fare questa esperienza erano di grande spessore, a volte questo capitava anche con libri meno nobili, più corsivi, ma che mi coinvolgevano moltissimo. Perché se è vero che hai ragazzi va dato un nutrimento alla loro altezza, è anche vero che la loro altezza è in grado di trarre buon nutrimento anche da libri di ogni genere.
Salve,
sono illustratrice e baby-sitter.
La seconda mi aiuta ( a pagare le bollette) e a crescere in maniera esponenziale grazie ai bambini.
Quella della lettura è una dieta sana.
Chi non legge è anoressico da questo punto di vista e chi legge brutti libri ha una scorretta alimentazione.
Devo dire che sono fortunata, perchè i bambini che accudisco sono tutti ben messi con la lettura.
Quando li metto a letto gli leggo di norma quello che leggono loro i genitori, ultimamente Il giornalino di Gianburrasca, che loro adorano ( e anche io).
I genitori che leggono ai figli sono una rarità, io sono felice che questo però accade ancora.
Volevo poi dire che questo interessantissimo post è servito a farmi conoscere Libri! di Jhon Alcorn, sono corsa in libreria a comprarmelo.
Grazie Topipittori di tutte queste cose belle.
l'ampio fiume dell'intrattenimento a mio modesto parere rischia di travolgerci e travolgere soprattutto i bambini. Se intrattenere vuol dire giocare, e con il gioco, si sa, si può imparare tutto, questo genere di intrattenimento mi interessa e lo propongo volentieri ai miei figli e a me stessa. Se intrattenere vuol dire intrattenere il pensiero, cioè giocare con il pensiero, mi va bene. Come si dice nel titolo del post, il tempo della lettura ha (dovrebbe avere?) tre dimensioni: ascoltare , guardare, PENSARE. Quando però la terza dimensione scompare, il libro fa un gioco facile e, infondo non è difficile attrarre i bambini che sono per loro natura curiosi ed entusiasti. Come mamma chiedo libri con la TERZA DIMENSIONE! Se manca quella l'intrattenimento è TRATTENIMENTO, cioè il libro non ti porta da nessuna parte, forse spiega qualcosa a tema, ma poi non ti aiuta a discutere questo tema, oppure usa 'parole centrino' o peggio ancora figure centrino. Per i miei figli e per me vorrei sempre libri straordinari, cioè che non potrei immaginare prima e che siano pieni di umanità, come scriveva anche Anna. Grazie Topipittori per l'IMPEGNO a fare belle cose e a parlarne con tutti, a diffondere consapevolezze.
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