lunedì 31 marzo 2014

Lo sguardo di un bambino

Oggi presentiamo Gli amici nascosti di Cecilia Bartoli. Questa storia ci è arrivata all'improvviso, e del tutto inaspettatamente, toccando prima Guido Scarabottolo che l'ha passata a Giusi Quarenghi  che l'ha mandata a noi. Quando è approdata qui, e l'abbiamo a nostra volta letta, abbiamo desiderato subito che trovasse casa nel nostro catalogo e l'autrice ha accolto la nostra proposta. Gli amici nascosti racconta una vicenda realmente accaduta, e lo fa utilizzando la prima persona singolare, come, dal 2009 a oggi, è sempre accaduto per tutti i volumi della collana Gli anni in tasca, di cui il titolo fa parte. Questa volta, però, a scrivere questa storia non è stato il protagonista, Robera, ma Cecilia Bartoli, che l’ha incontrato nel corso del suo lavoro per l’associazione Asinitas. Dopo aver ascoltato con interesse e attenzione l’esperienza e i racconti di Robera e di sua madre Taiba, Cecilia ha dato loro voce e parole in lingua italiana. 

Quando l'autrice ci ha proposto questo bellissimo testo in lettura, abbiamo pensato subito di pubblicarlo. Non abbiamo avuto alcun dubbio che il senso profondo e lo spirito di chi le aveva affidato con tanta fiducia la storia della propria vita fossero stati pienamente rispettati. Guido Scarabottolo è implicato in questo libro non solo nella parte di tramite, ma anche di illustratore: sue infatti sono le belle illustrazioni al tratto che accompagnano la storie e di cui, qui, trovate un assaggio. Il brano seguente, la prefazione dell'autrice, racconta come è nato il libro.
Gli amici nascosti sarà presentato da Cecilia Bartoli a Roma, l'11 aprile, alle ore 17, presso il Centro Interculturale Miguelim, in via Policastro 45 (trovate alla fine del post l'invito all'evento).

Illustrazione di Guido Scarabottolo.
[di Cecilia Bartoli]
 
Asinitas, l’associazione per cui lavoro, per molte persone che arrivano da altri paesi è un luogo di accoglienza e di passaggio, un luogo in cui cominciare a fermarsi e a ripensare la propria vita dopo aver trascorso mesi (a volte anni) a scappare. Ho ascoltato la storia di Taiba e Robera nel 2007 e non sono mai riuscita ad ‘archiviarla’. In quel periodo, molte persone etiopi, in particolare oromo, data la situazione nel loro paese, facevano richiesta di asilo politico in Italia.
Taiba è arrivata sola presso la nostra scuola di italiano ed è riuscita immediatamente a farsi volere bene da tutti: piccola di statura, occhi brillanti, determinata, dotata di forte presenza, capace di farsi comprendere perfettamente anche con “pochissima lingua”. Di viaggi incredibili tra le pareti delle nostre stanze ne ascoltiamo tanti, ma quello di Taiba e Robera mi ha colpita particolarmente, e non solo me.

In quegli anni lavorava con noi Sandro Triulzi che all’Africa ha dedicato studi e ricerche e dell’Etiopia è un vero esperto. Ci aiutava a preparare le persone che dovevano sostenere l’incontro con la commissione che valuta il diritto a essere accolti come rifugiati. Durante le sedute, ascoltavamo attentamente, in silenzio, la loro storia. Poi passavamo all’analisi, agli approfondimenti, alla contestualizzazione. C’era Giovanna, avvocato, Marco e io, che in Asinitas ci siamo dall’inizio, e Franca, insegnante di italiano.

Illustrazione di Guido Scarabottolo.
Nel frattempo però – sola nella mia stanza –avevo modo di ascoltare un’altra narrazione di quel viaggio, una narrazione senza parole, quella di Robera, che in quel periodo aveva sette o otto anni e non parlava una parola di italiano, ma negli occhi aveva tutto quello che era sufficiente per capire. Incontravo Robera su richiesta della scuola, che inizialmente lui rifiutava, stando a lungo nascosto sotto i banchi o dentro gli armadietti.
Come si parla a un bambino che non conosce la tua lingua? Niente, non si parla: si ascolta. E non parole, ma gesti, sguardi, suoni.
Per diverso tempo abbiamo solo giocato con gli oggetti.
La mamma andava raccontando i motivi che l’avevano indotta a scappare dall’Etiopia e le tappe del suo viaggio periglioso; e io – un po’ a intuito, un po’ apposta – portavo degli oggetti nella stanza o preparavo dei veri e propri allestimenti. Robera sembrava comprendere le mie intenzioni e giocava un’ora intera, spesso disponendo di me come di uno dei suoi pupazzi. Le sue narrazioni sono iniziate così.
Un giorno, a scuola, Taiba ha scritto questo testo:


Robera, illustrazione di Guido Scarabottolo.
Viaggio in mare
Io con mio figlio, paura, tutte persone piangere.
Il mare alto, così così [grandi grandi onde].
Tredici bambini, duecentocinquanta persone, nave grande.
Cinque giorni il mare così così [grandi grandi onde].
Tutti stretti, arriva acqua, tutti i vestiti bagnati.
Lacrime, tutti tutti.

I soldi nella borsa, i soldi nascosti nella cintura.
Acqua e biscotti nella borsa. Robera e tutti i bambini sta male, vomita.
Robera dice: «Mamma, dove io?».
Ha visto qua acqua, qua acqua, acqua, tutto intorno.
Io: «Aspetta, Robera, dopo Italia»
Robera: «No, subito!»
Telefoniamo in Italia: «Aiutate, aiutate!»
Arriva elicottero, butta giubbotti di salvataggio.
 

Poi venuta barca grande, tutti i bambini in barca grande, tre donne incinta.
La barca grande tira la barca piccola.
Robera va sulla barca grande con i bambini, io piango:
«Dove è il mio bambino?»
Il rimorchiatore tira la nostra barca per tutto il giorno.


Illustrazione di Guido Scarabottolo.
Quel giorno mi sono fatta coraggio e al centro della stanza ho preparato una barca e l’ho riempita di bambolotti; intorno, teli blu e azzurri. Allora Robera ha “raccontato” tutto: c’erano bambolotti che pregavano, altri che vomitavano, io ho ricevuto un cuscino sotto il maglione per sembrare incinta... Vorticando le braccia, ha mimato anche l’arrivo dell’elicottero di salvataggio.
Da quel momento ha iniziato a proporre, a rimettere in scena alcuni accadimenti, senza che proponessi più nulla. Le pietre che ha ricevuto in testa a Tripoli, in Libia, sono un suo racconto, ripetuto tante volte e finito sempre tra disinfettanti immaginari e cerotti reali applicati tra di noi e su diverse bambole. Piano piano sono arrivate anche le prime parole di italiano e a scuola andava un po’ meglio.
Taiba e Robera sono poi partiti per la Norvegia e il nostro rapporto si è interrotto.
Robera ora abita vicino a Oslo. Per anni non ho più saputo nulla di lui e della sua mamma: non avevo alcun recapito.

Un giorno d’estate, mi è capitato di rileggere gli appunti presi dopo i miei incontri con lui, e l’intervista alla mamma preparata per la commissione. E così, di getto, ho scritto questa storia. Volevo dare parole a quelle sequenze di immagini, di gesti, di sguardi. Volevo che fosse la voce di Robera a narrarla. Difficilmente l’odissea dei migranti viene raccontata da un bambino, soprattutto se non ne è il protagonista diretto, ma si trova, come è accaduto a Robera, a vivere quell’esperienza trascinato dagli adulti. Eppure, sono molti i bambini che hanno attraversato il deserto e il mare, e molti quelli che vi hanno lasciato la vita.

Taiba, illustrazione di Guido Scarabottolo.
Questo racconto non vuole spiegare ai bambini la situazione dell’Etiopia, non sono affatto preparata su questo, e non è nemmeno un racconto che vuole denunciare quanto sia scandaloso che intere popolazioni siano costrette a subire esperienze simili per poter sfuggire al carcere o alla morte certa. È una storia che prova a raccontare lo sguardo di un bambino attraverso lo sradicamento e il pericolo, l’amicizia e l’avventura di un viaggio forzato.
Dopo essere stata scritta, questa storia è rimasta nel mio computer e non sapevo bene che farne. Non sono una scrittrice e non avevo il coraggio di proporla a nessuno, ma nemmeno di buttarla o dimenticarla.
L’ho data all’amico Franco Lorenzoni, che fa il maestro in una scuola elementare. L’ha proposta a scuola e i suoi bambini l’hanno apprezzata molto. Volevano conoscere Robera e mi è dispiaciuto molto non potergli fornire un indirizzo poiché da anni non sapevo più nulla di lui.

Poi, un giorno, Franca, che pure non sentivo da tanto tempo, mi ha chiamata: «Ci sono Taiba e Robera a Roma, vuoi venire a pranzo?».
E siamo andati al ristorante cinese ed è stato un bellissimo rincontro. Taiba era identica; Robera, un gigante.
Un abbraccio stretto, pochissima lingua in comune, ma a questo eravamo abituati e ci siamo capiti lo stesso e, soprattutto, scambiati gli indirizzi.
Forse è stato allora che questa storia si è sentita pronta a uscire dal mio computer: perché dopo poco l’ha letta l’amico giusto; così ha iniziato a camminare.
Qualche giorno fa, ho telefonato a Taiba e Robera e ho spiegato loro che avrei raccontato ai bambini del loro viaggio, anche se forse qualcosa dei loro racconti si sarebbe un po’ mescolato alle narrazioni di altri. Erano contenti e, sotto sotto, mi è sembrato di intuire, anche un pochino orgogliosi. Lo spero.
Si sono raccomandati di spedir loro una copia del libro, appena uscirà.

Per chi è interessato alla presentazione di Gli amici nascosti, l'11 aprile, a Roma, alle 17, presso Centro Interculturale Miguelim, via Policastro 45, ecco il programma:


Cecilia Bartoli, autrice del libro Il percorso di una storia.

Alessandro Triulzi, africanista e professore all'università orientale di napoli
Fuggire dall'Etiopia ieri e oggi.

Alessandra Orsi, psicoterapeuta, formatrice in ambito interculturale
La migrazione nei panni di un bambino.

Franco Lorenzoni, maestro elementare, fondatore della Casa laboratorio Cenci.
Parlare di migrazione in classe.

Maria Coletti, Cinemafrica, Associazione genitori Pisacane 0-11
Parlare di migrazione in classe: racconto di una esperienza.

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