Chi segue questo blog e legge Gli anni in tasca, sa che i Topi amano Ugo Cornia.
Peraltro lo amavano anche prima di diventare Topi e per due ragioni: 1) perché aveva un cognome tipico modenese e anche loro sono mezzi modenesi; 2) perché avevano scoperto che ha una casa sull'appennino tosco-emiliano, e anche i Topi ce l'hanno 3) perché avevano letto Sulla felicità a oltranza, il suo primo romanzo, quello da cui avevano tratto le notizie 1 e 2, e subito era diventato uno dei loro preferiti, e infatti i Topi da bravi si erano subito messi ad aspettare il secondo. E poi il terzo, il quarto eccetera. Poi sono diventati Topi e gli hanno fatto scrivere loro un libro che s intitola Autobiografia della mia infanzia (questa storia l'abbiamo già raccontata qui).
I Topi sono fra quelli a cui Cornia legge le cose per telefono prima che escano. Che già in sé ti fa capire che diventare editori non è la quotidiana e stratosferica pila di scocciature da risolvere che a volte ti sembra (ed in effetti è).
Il nuovo libro di Ugo Cornia si intitola Animali. Topi cani gatti e mia sorella. E noi siamo contentissimi di questo libro e del racconto ai topi dedicato, che contiene un viluppo di complicate storie topesche. Direi quasi che ne siamo fieri perché nel nostro cervello rattone è come se pensassimo che l'ha scritto un pochino anche per noi. Per cui oggi più che stare a scrivere di come Cornia concepisce l'idea di animale, cosa che peraltro è chiarita benissimo nella citazione in epigrafe al libro, di Ulrich Beck, che dice: "Lo sforzo di determinare questo concetto è simile al tentativo di inchiodare un budino alla parete.", vi riportiamo questo brano sui topi che a breve andrete a leggere che racconta dei topi che insieme a Cornia e a sua sorella abitavano nella casa di Guzzano, che è quella che Cornia ha sull'appennino tosco-emilano, per l'appunto. E a un certo punto ci abitavano in troppi in casa, per cui si è dovuto pensare a come rimediare a questa invasione.
E tornando a noi, comunque è verissima questa cosa dei budini attaccati ai muri. Specialmente da quando c'è facebook che è una specie di collezione mondiale di filmati di un minuto dove animali di tutti i generi, dagli scimpanzé ai bruchi, fanno di tutto e per lo più cose stupefacenti, che si spera gli etologi stiano facendo una banca dati di questi filmati e li studino e ci spieghino perché per esempio un gruppo di capretti si metta in coda per salire su uno scivolo e vada sullo scivolo venti volte di seguito. Che certo stupiranno anche moltissimo le cose pazzesche che fanno gli animali sugli scivoli e non, ma ancora di più stupiscono tutti questi esseri umani che passano il tempo a filmare, postare e guardare filmati di animali su facebook, come se stessero cercando di farsi venire in mente delle cose di cui non ricordano più niente.
Anche se dopo avevo pensato che se c’erano dei rapaci notturni che venivano a caccia di topi nel granaio, ogni volta che uno si fa la derattizzazione al fine di fermare l’invasione, chissà anche quante civette e allocchi che ci lasciano la pelle, perché riuscire a fare delle scelte equilibrate, e a far quadrare il tutto, è sempre una cosa di una grande difficoltà: i topi stanno iniziando a invadere il piano di sopra e tu decidi di mettere il veleno perché stanno diventando troppi, e se continua così fra poco troverai completamente invase le parti di casa abitate da te, e ti stufi di trovarti sempre i letti sporcati e di dover lavare tutte le lenzuola e le coperte, e i piatti e le pentole, ma visto che i topi ti riempiono il granaio, anche l’allocco inizia a entrarti in granaio, che c’ha i finestrini aperti, e a mangiarsi tutte le notti qualche topo, che sarebbe una buona cosa, ma se tu avveleni i topi, il gufo mangia il topo appena avvelenato, che da vedere è ancora vispo ma pieno di veleno, e visto che il topo era già pieno di veleno, va a finire che muore anche il gufo che l’ha mangiato. E tutto questo ti dispiace.
E questa cosa dei danni collaterali è sempre stata tremenda, non soltanto per i gufi, che muoia un gufo è una cosa che ti dispiace moltissimo, ma ti dispiace moltissimo anche che muoiano i topini piccoli, quelli tipo le arvicole, che in casa si sono sempre infilate ma non mi hanno mai dato problemi. Io li ho visti passare di qua e di là fin da piccolo, e quando io ero piccolo e un topino passava da qualche stanza infatti c’era subito qualcuno che mi diceva Ve’ un topo… ve’ che bel topino, guarda, ma queste frasi, dette magari dalla zia Maria, o dal nonno o dalla mamma, mi sono sempre state dette con un tono di voce che comunicava che era una piccola festa riuscire a vedere un topino, non che era una cosa da spaventarsi, e anche mia madre non riusciva a cedere all’idea di avvelenarli e pensava e diceva Ma che male ti fanno? Quindi li abbiamo sempre lasciati stare in casa, bastava che non diventassero troppo numerosi. E tra l’altro, a ripensare a queste cose mi viene in mente che mio nonno, che è morto che io non avevo ancora compiuto sei anni, e quindi io avrò avuto quattro o cinque anni a quell’epoca, e quello che mi viene in mente è che mio nonno metteva queste due o tre trappole, ma di quelle fatte a gabbietta, non a molla, e poi andavamo insieme in cantina a vedere se c’era rimasto il topo, e il topo spesso ci rimaneva, perché mi ricordo che poi metteva la gabbia sulla tavola e lo guardavamo, ma non erano topini, erano già topi di taglia media, se no sarebbero passati in mezzo alle sbarrette della gabbia, e il topo se lo guardi si vede che un po’ si spaventa, perché si sistema sempre nell’angolo in fondo della gabbia, ma c’ha anche il naso che ti punta, anche se un po’ tirato indietro anche lui, perché si vede che ti annusa mentre guarda, e poi mi ricordo che andavamo
a mollarli in fondo all’orto, o giù nelle piantate (tra l’altro il topo, quando corre, con quel sedere un po’ grasso, e andando a saltelloni, fa piuttosto ridere). E quindi non sono stato abituato alla paura e all’odio del topo, quanto piuttosto alla meraviglia di vederli. E infatti in verità, se devo essere sincero fino in fondo, a me dispiace anche per i ratti, che sono animali che io ho sempre ammirato per i loro numeri di grande equilibrismo su tubi, fili e mobilio: una sera entro in cucina e accendo la luce, e c’era qualcosa di strano che era strano, e strano e basta, per un po’, forse cinque secondi, come quando appunto percepisci qualcosa che non percepisci chiaramente, giusto per cinque secondi, perché dopo lo percepirai chiaramente, e lo strano era che c’era un ratto perfettamente fermo e in equilibrio su un tubo orizzontale, messo esterno per non spaccare il muro, e il topo era lì, immobile, e mi guardava con la coda dell’occhio, e poi l’ho visto anch’io, e gli ho fatto un urlo, e non l’avessi mai fatto, ha fatto il tubo a gran velocità, è saltato nella piattaia, poi nel lavandino, poi sotto un mobile, e via che ti devi rilavare tutti i piatti. Ma quando era immobile sul tubo era meraviglioso.
E quindi pietà, un po’ di pietà per tutti, anche per i ratti, tanta pietà per il cadavere quanta pietà per il vivo che quel cadavere deve esser stato una volta, prima di morire, questo senso di pietà per il cadavere scoppiato e rinsecchito, con quella bocchina aperta e tutti i dentini che si vedono, e gli occhi che non ci sono più, e anche un po’ di pietà per te, perché non ci puoi più restare in casa se ci stanno centocinquanta ratti, e quindi li avveleni, perché a un certo punto non puoi fare altro che avvelenarli.
Anche se io i ratti li ho sempre ammirati anche per la loro grande organizzazione sociale, così simile alla nostra. Tra l’altro, parlando di organizzazione sociale, Giuliano Della Casa una volta mi ha raccontato una storia sui ratti che mi ha sempre lasciato così ammirato, perché nella casa in cui abitava prima, in via Sant’Agostino, di fronte alla chiesa, lui abitava in questa casa al quarto piano, ma aveva il suo studio di pittore al piano terra, che erano due stanzoni messi a L, e uno dei due stanzoni si affacciava su via Sant’Agostino, dove si entrava, ma dall’altra parte aveva una porticina che si affacciava sul cavedio interno della casa, e d’estate Giuliano la teneva sempre aperta, in modo che facesse corrente con l’altra porta, così tirava un po’ d’aria. E un giorno Della Casa era lì con qualcuno e di colpo vede una pantegana che si infi la dentro, dalla porticina del cavedio, poi scappa fuori subito. Però, visto che questi stanzoni avevano per terra delle tele, e un sacco di altra roba, e uno dei due stanzoni fungeva più o meno da magazzino, a Giuliano gli era venuta paura che quei topi magari si infilavano chissà dove e dopo eccetera eccetera, e facevano i figli e così via, e non te ne liberavi più; quindi è andato in una ferramenta lì vicino per prendere del veleno e sistemare la situazione prima che si impiantassero dei ratti a vita stabile nel suo studio. Allora in ferramenta gli spiegano come funziona il veleno e lui dice No, perché gli faceva troppo senso, di conseguenza gli consigliano la famosa colla, e gli dicono di prendere un’asse di legno e spalmarci sopra la colla e quando il topo è rimasto incollato uno va lì e gli spacca la testa con una bastonata, oppure lo pesta. E Della Casa dentro di sé pensava che il veleno non gli piaceva, ma anche la colla, lui non ce l’avrebbe mai fatta a andar lì dal topo e spaccargli la testa a bastonate, allora ha pensato che se per caso un topo finiva nella colla, lui lo lasciava lì incollato finché non moriva di fame. Quindi ha comprato la colla, ha preparato l’asse con la colla spalmata, poi l’ha messa nel cavedio, vicino al centro del cavedio dove c’era una buchetta dell’acqua che buttava nella fogna, che doveva essere il posto da cui probabilmente uscivano fuori i topi. La sera, dopo cena, a un certo punto è andato a fumare una sigaretta a una finestra che dava sul cavedio, e anche se era tutto in penombra vedeva che c’era del movimento, perché mi ero dimenticato di dire che nelle serate precedenti, andandosi a fumare una sigaretta da quella fi nestra aveva visto che appena veniva buio iniziava il grande movimento. Finita la sigaretta è tornato dentro a guardare la televisione, poi dopo una mezz’ora è tornato alla finestra e si sentivano dei versi, allora si è fatto luce con una torcia elettrica e ha visto che c’era una pantegana, di quelle belle grosse, che era rimasta invischiata nella colla e faceva questi versi disperati, e che intorno a lei c’erano altre quattro o cinque pantegane, della stessa dimensione, che trafficavano lì intorno e giravano su e giù con grande frenesia. A quel punto si è ridetto che a andar giù a spaccarle la testa in mezzo a quel gran traffico di pantegane c’aveva troppa paura, tra l’altro gli faceva anche schifo, e ha pensato che ci andava domattina e domattina traeva le sue conclusioni. E nel frattempo andava sempre alla finestra a vedere i topi, che giravano intorno al topo incollato che urlava, e scancheravano. E la mattina dopo quando è sceso in studio e ha aperto la porta del cavedio, per vedere che fine aveva fatto il topo, sperando che fosse morto di qualcosa, così non doveva né spaccargli la testa a pedate, né sentirlo lamentarsi fino a quando non moriva di fame, c’è stata la grande sorpresa: il topo non c’era più, e Della Casa ha visto che dove stavano i suoi quattro piedi incollati all’asse adesso c’erano rimasti quattro buchi, il legno non c’era più, si vede che le altre cinque o sei pantegane nel corso della notte gli avevano mangiato tutto il legno intorno ai piedi incollati, che Della Casa per ridere diceva Gli saranno rimasti gli zoccoli, e però diceva che era una cosa fenomenale a immaginarsela, tutti questi topi che rosicchiano, e rosicchiano, e stanno lì a lavorare per tutta la notte fi no a quando l’amico non è libero. E dopo questo avvenimento credo che Della Casa abbia comprato il veleno per risolvere la situazione.
Per chi trovasse questo racconto troppo difficile da credere, e effettivamente anche io lo trovavo un po’ stupefacente, pur credendoci, mentre Giuliano me lo raccontava, mi permetto di rimandare al bel libro Il bonobo e l’ateo, di Frans de Waal, un famoso primatologo, dove si parla del comportamento dei nostri cugini scimpanzé e bonobo, e anche di altre scimmie, e a pagina 177 si parla di altruismo nei ratti; Frans de Waal racconta questo esperimento: un ratto viene messo in un recinto dove ci sono due contenitori di vetro chiusi e con uno sportellino che si può aprire soltanto dall’esterno. In uno dei contenitori di vetro ci sono dei pezzi di cioccolato, nell’altro contenitore c’è un altro ratto imprigionato e che dà segni visibili di grande agitazione e paura.
Quasi sempre il ratto che è libero per prima cosa va a liberare il ratto prigioniero, poi va a mangiarsi il cioccolato. L’esperimento vuole sottolineare il fatto che il ratto è un animale che ha dei comportamenti di forte empatia con gli altri ratti. Tra l’altro, andando subito a liberare il compagno prigioniero dopo dovrà dividere con lui il cioccolato; se fosse stato più avido che empatico sarebbe andato prima a mangiare il cioccolato e poi a liberare l’altro ratto.
Da Animali. Topi cani gatti e mia sorella di Ugo Cornia, © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
Si ringraziano Ugo Cornia e Feltrinelli Editore per averci permesso di pubblicare questo brano.
Peraltro lo amavano anche prima di diventare Topi e per due ragioni: 1) perché aveva un cognome tipico modenese e anche loro sono mezzi modenesi; 2) perché avevano scoperto che ha una casa sull'appennino tosco-emiliano, e anche i Topi ce l'hanno 3) perché avevano letto Sulla felicità a oltranza, il suo primo romanzo, quello da cui avevano tratto le notizie 1 e 2, e subito era diventato uno dei loro preferiti, e infatti i Topi da bravi si erano subito messi ad aspettare il secondo. E poi il terzo, il quarto eccetera. Poi sono diventati Topi e gli hanno fatto scrivere loro un libro che s intitola Autobiografia della mia infanzia (questa storia l'abbiamo già raccontata qui).
I Topi sono fra quelli a cui Cornia legge le cose per telefono prima che escano. Che già in sé ti fa capire che diventare editori non è la quotidiana e stratosferica pila di scocciature da risolvere che a volte ti sembra (ed in effetti è).
Il nuovo libro di Ugo Cornia si intitola Animali. Topi cani gatti e mia sorella. E noi siamo contentissimi di questo libro e del racconto ai topi dedicato, che contiene un viluppo di complicate storie topesche. Direi quasi che ne siamo fieri perché nel nostro cervello rattone è come se pensassimo che l'ha scritto un pochino anche per noi. Per cui oggi più che stare a scrivere di come Cornia concepisce l'idea di animale, cosa che peraltro è chiarita benissimo nella citazione in epigrafe al libro, di Ulrich Beck, che dice: "Lo sforzo di determinare questo concetto è simile al tentativo di inchiodare un budino alla parete.", vi riportiamo questo brano sui topi che a breve andrete a leggere che racconta dei topi che insieme a Cornia e a sua sorella abitavano nella casa di Guzzano, che è quella che Cornia ha sull'appennino tosco-emilano, per l'appunto. E a un certo punto ci abitavano in troppi in casa, per cui si è dovuto pensare a come rimediare a questa invasione.
E tornando a noi, comunque è verissima questa cosa dei budini attaccati ai muri. Specialmente da quando c'è facebook che è una specie di collezione mondiale di filmati di un minuto dove animali di tutti i generi, dagli scimpanzé ai bruchi, fanno di tutto e per lo più cose stupefacenti, che si spera gli etologi stiano facendo una banca dati di questi filmati e li studino e ci spieghino perché per esempio un gruppo di capretti si metta in coda per salire su uno scivolo e vada sullo scivolo venti volte di seguito. Che certo stupiranno anche moltissimo le cose pazzesche che fanno gli animali sugli scivoli e non, ma ancora di più stupiscono tutti questi esseri umani che passano il tempo a filmare, postare e guardare filmati di animali su facebook, come se stessero cercando di farsi venire in mente delle cose di cui non ricordano più niente.
Nel mese di ottobre Ugo Cornia presenterà e leggerà Animali. Topi cani gatti e mia sorella a:
Bologna, Libreria delle Moline, venerdì 10 ottobre, alle 21;
Pistoia, Libreria Spazio, sabato 18 ottobre;
Milano, Libreria Gogol, giovedì 23 ottobre, alle 19.
Anche se dopo avevo pensato che se c’erano dei rapaci notturni che venivano a caccia di topi nel granaio, ogni volta che uno si fa la derattizzazione al fine di fermare l’invasione, chissà anche quante civette e allocchi che ci lasciano la pelle, perché riuscire a fare delle scelte equilibrate, e a far quadrare il tutto, è sempre una cosa di una grande difficoltà: i topi stanno iniziando a invadere il piano di sopra e tu decidi di mettere il veleno perché stanno diventando troppi, e se continua così fra poco troverai completamente invase le parti di casa abitate da te, e ti stufi di trovarti sempre i letti sporcati e di dover lavare tutte le lenzuola e le coperte, e i piatti e le pentole, ma visto che i topi ti riempiono il granaio, anche l’allocco inizia a entrarti in granaio, che c’ha i finestrini aperti, e a mangiarsi tutte le notti qualche topo, che sarebbe una buona cosa, ma se tu avveleni i topi, il gufo mangia il topo appena avvelenato, che da vedere è ancora vispo ma pieno di veleno, e visto che il topo era già pieno di veleno, va a finire che muore anche il gufo che l’ha mangiato. E tutto questo ti dispiace.
E questa cosa dei danni collaterali è sempre stata tremenda, non soltanto per i gufi, che muoia un gufo è una cosa che ti dispiace moltissimo, ma ti dispiace moltissimo anche che muoiano i topini piccoli, quelli tipo le arvicole, che in casa si sono sempre infilate ma non mi hanno mai dato problemi. Io li ho visti passare di qua e di là fin da piccolo, e quando io ero piccolo e un topino passava da qualche stanza infatti c’era subito qualcuno che mi diceva Ve’ un topo… ve’ che bel topino, guarda, ma queste frasi, dette magari dalla zia Maria, o dal nonno o dalla mamma, mi sono sempre state dette con un tono di voce che comunicava che era una piccola festa riuscire a vedere un topino, non che era una cosa da spaventarsi, e anche mia madre non riusciva a cedere all’idea di avvelenarli e pensava e diceva Ma che male ti fanno? Quindi li abbiamo sempre lasciati stare in casa, bastava che non diventassero troppo numerosi. E tra l’altro, a ripensare a queste cose mi viene in mente che mio nonno, che è morto che io non avevo ancora compiuto sei anni, e quindi io avrò avuto quattro o cinque anni a quell’epoca, e quello che mi viene in mente è che mio nonno metteva queste due o tre trappole, ma di quelle fatte a gabbietta, non a molla, e poi andavamo insieme in cantina a vedere se c’era rimasto il topo, e il topo spesso ci rimaneva, perché mi ricordo che poi metteva la gabbia sulla tavola e lo guardavamo, ma non erano topini, erano già topi di taglia media, se no sarebbero passati in mezzo alle sbarrette della gabbia, e il topo se lo guardi si vede che un po’ si spaventa, perché si sistema sempre nell’angolo in fondo della gabbia, ma c’ha anche il naso che ti punta, anche se un po’ tirato indietro anche lui, perché si vede che ti annusa mentre guarda, e poi mi ricordo che andavamo
a mollarli in fondo all’orto, o giù nelle piantate (tra l’altro il topo, quando corre, con quel sedere un po’ grasso, e andando a saltelloni, fa piuttosto ridere). E quindi non sono stato abituato alla paura e all’odio del topo, quanto piuttosto alla meraviglia di vederli. E infatti in verità, se devo essere sincero fino in fondo, a me dispiace anche per i ratti, che sono animali che io ho sempre ammirato per i loro numeri di grande equilibrismo su tubi, fili e mobilio: una sera entro in cucina e accendo la luce, e c’era qualcosa di strano che era strano, e strano e basta, per un po’, forse cinque secondi, come quando appunto percepisci qualcosa che non percepisci chiaramente, giusto per cinque secondi, perché dopo lo percepirai chiaramente, e lo strano era che c’era un ratto perfettamente fermo e in equilibrio su un tubo orizzontale, messo esterno per non spaccare il muro, e il topo era lì, immobile, e mi guardava con la coda dell’occhio, e poi l’ho visto anch’io, e gli ho fatto un urlo, e non l’avessi mai fatto, ha fatto il tubo a gran velocità, è saltato nella piattaia, poi nel lavandino, poi sotto un mobile, e via che ti devi rilavare tutti i piatti. Ma quando era immobile sul tubo era meraviglioso.
E quindi pietà, un po’ di pietà per tutti, anche per i ratti, tanta pietà per il cadavere quanta pietà per il vivo che quel cadavere deve esser stato una volta, prima di morire, questo senso di pietà per il cadavere scoppiato e rinsecchito, con quella bocchina aperta e tutti i dentini che si vedono, e gli occhi che non ci sono più, e anche un po’ di pietà per te, perché non ci puoi più restare in casa se ci stanno centocinquanta ratti, e quindi li avveleni, perché a un certo punto non puoi fare altro che avvelenarli.
Anche se io i ratti li ho sempre ammirati anche per la loro grande organizzazione sociale, così simile alla nostra. Tra l’altro, parlando di organizzazione sociale, Giuliano Della Casa una volta mi ha raccontato una storia sui ratti che mi ha sempre lasciato così ammirato, perché nella casa in cui abitava prima, in via Sant’Agostino, di fronte alla chiesa, lui abitava in questa casa al quarto piano, ma aveva il suo studio di pittore al piano terra, che erano due stanzoni messi a L, e uno dei due stanzoni si affacciava su via Sant’Agostino, dove si entrava, ma dall’altra parte aveva una porticina che si affacciava sul cavedio interno della casa, e d’estate Giuliano la teneva sempre aperta, in modo che facesse corrente con l’altra porta, così tirava un po’ d’aria. E un giorno Della Casa era lì con qualcuno e di colpo vede una pantegana che si infi la dentro, dalla porticina del cavedio, poi scappa fuori subito. Però, visto che questi stanzoni avevano per terra delle tele, e un sacco di altra roba, e uno dei due stanzoni fungeva più o meno da magazzino, a Giuliano gli era venuta paura che quei topi magari si infilavano chissà dove e dopo eccetera eccetera, e facevano i figli e così via, e non te ne liberavi più; quindi è andato in una ferramenta lì vicino per prendere del veleno e sistemare la situazione prima che si impiantassero dei ratti a vita stabile nel suo studio. Allora in ferramenta gli spiegano come funziona il veleno e lui dice No, perché gli faceva troppo senso, di conseguenza gli consigliano la famosa colla, e gli dicono di prendere un’asse di legno e spalmarci sopra la colla e quando il topo è rimasto incollato uno va lì e gli spacca la testa con una bastonata, oppure lo pesta. E Della Casa dentro di sé pensava che il veleno non gli piaceva, ma anche la colla, lui non ce l’avrebbe mai fatta a andar lì dal topo e spaccargli la testa a bastonate, allora ha pensato che se per caso un topo finiva nella colla, lui lo lasciava lì incollato finché non moriva di fame. Quindi ha comprato la colla, ha preparato l’asse con la colla spalmata, poi l’ha messa nel cavedio, vicino al centro del cavedio dove c’era una buchetta dell’acqua che buttava nella fogna, che doveva essere il posto da cui probabilmente uscivano fuori i topi. La sera, dopo cena, a un certo punto è andato a fumare una sigaretta a una finestra che dava sul cavedio, e anche se era tutto in penombra vedeva che c’era del movimento, perché mi ero dimenticato di dire che nelle serate precedenti, andandosi a fumare una sigaretta da quella fi nestra aveva visto che appena veniva buio iniziava il grande movimento. Finita la sigaretta è tornato dentro a guardare la televisione, poi dopo una mezz’ora è tornato alla finestra e si sentivano dei versi, allora si è fatto luce con una torcia elettrica e ha visto che c’era una pantegana, di quelle belle grosse, che era rimasta invischiata nella colla e faceva questi versi disperati, e che intorno a lei c’erano altre quattro o cinque pantegane, della stessa dimensione, che trafficavano lì intorno e giravano su e giù con grande frenesia. A quel punto si è ridetto che a andar giù a spaccarle la testa in mezzo a quel gran traffico di pantegane c’aveva troppa paura, tra l’altro gli faceva anche schifo, e ha pensato che ci andava domattina e domattina traeva le sue conclusioni. E nel frattempo andava sempre alla finestra a vedere i topi, che giravano intorno al topo incollato che urlava, e scancheravano. E la mattina dopo quando è sceso in studio e ha aperto la porta del cavedio, per vedere che fine aveva fatto il topo, sperando che fosse morto di qualcosa, così non doveva né spaccargli la testa a pedate, né sentirlo lamentarsi fino a quando non moriva di fame, c’è stata la grande sorpresa: il topo non c’era più, e Della Casa ha visto che dove stavano i suoi quattro piedi incollati all’asse adesso c’erano rimasti quattro buchi, il legno non c’era più, si vede che le altre cinque o sei pantegane nel corso della notte gli avevano mangiato tutto il legno intorno ai piedi incollati, che Della Casa per ridere diceva Gli saranno rimasti gli zoccoli, e però diceva che era una cosa fenomenale a immaginarsela, tutti questi topi che rosicchiano, e rosicchiano, e stanno lì a lavorare per tutta la notte fi no a quando l’amico non è libero. E dopo questo avvenimento credo che Della Casa abbia comprato il veleno per risolvere la situazione.
Per chi trovasse questo racconto troppo difficile da credere, e effettivamente anche io lo trovavo un po’ stupefacente, pur credendoci, mentre Giuliano me lo raccontava, mi permetto di rimandare al bel libro Il bonobo e l’ateo, di Frans de Waal, un famoso primatologo, dove si parla del comportamento dei nostri cugini scimpanzé e bonobo, e anche di altre scimmie, e a pagina 177 si parla di altruismo nei ratti; Frans de Waal racconta questo esperimento: un ratto viene messo in un recinto dove ci sono due contenitori di vetro chiusi e con uno sportellino che si può aprire soltanto dall’esterno. In uno dei contenitori di vetro ci sono dei pezzi di cioccolato, nell’altro contenitore c’è un altro ratto imprigionato e che dà segni visibili di grande agitazione e paura.
Quasi sempre il ratto che è libero per prima cosa va a liberare il ratto prigioniero, poi va a mangiarsi il cioccolato. L’esperimento vuole sottolineare il fatto che il ratto è un animale che ha dei comportamenti di forte empatia con gli altri ratti. Tra l’altro, andando subito a liberare il compagno prigioniero dopo dovrà dividere con lui il cioccolato; se fosse stato più avido che empatico sarebbe andato prima a mangiare il cioccolato e poi a liberare l’altro ratto.
Da Animali. Topi cani gatti e mia sorella di Ugo Cornia, © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
Si ringraziano Ugo Cornia e Feltrinelli Editore per averci permesso di pubblicare questo brano.
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