Che il tema della scuola, oggi sia avvertito come cruciale, lo dimostrano, fra le altre cose, i numerosissimi saggi che la nostra editoria pubblica sull'argomento. Spesso si tratta di riflessioni di chi sta nella scuola, come quella, imperdibile, di Franco Lorenzoni, I bambini pensano grande. Cronaca di una avventura pedagogica. O come La scuola e l'arte di ascoltare, di Gabriella Giornelli e Marianella Sclavi, per citare due titoli fra quelli usciti negli ultimi mesi.
Il saggio sulla scuola di Massimo Recalcati, psicoanalista e professore universitario che non ha bisogno di presentazioni, si intitola L'ora di lezione, e alla prospettiva d'indagine psicoanalitica associa un punto di vista personale (l'ultimo capitolo, Un incontro, è dedicato all'esperienza scolastica dell'autore).
Massimo Recalcati è particolarmente sensibile al tema della relazione fra generazioni, che si tratti di quella fra padri e figli (Il complesso di Telemaco), o di quella fra allievi e professori, o di quella fra età adulta, infanzia e adolescenza, che riguarda la biografia di ognuno di noi. Recalcati, fra l'altro, professionalmente molto si è occupato e si occupa di bambini e ragazzi (ricordo un filmato bellissimo in cui parlava della sua relazione con alcuni pazienti piccoli).
Al centro della riflessione sulla scuola, è, come in tutta la sua opera, il tema del desiderio. Tema che spiega il sottotitolo del saggio: Per un'erotica dell'insegnamento. Il nesso con il Simposio, dialogo platonico sull'amore che ancora oggi conserva intatta la sua portata dirompente, è immediato. A Socrate e al suo genio di maestro, infatti, sono dedicate, nel saggio, pagine appassionate e di grande interesse.
Alcuni giorni fa, a Milano, al Teatro Franco Parenti, ho assistito a una lectio magistralis di Recalcati. Titolo: Elogio del fallimento. Cito dalla presentazione: Il fallimento non è solo insuccesso, sconfitta, sbandamento. O meglio, è tutto questo, ma anche il suo rovescio. Il fallimento, secondo Lacan, è proprio del funzionamento dell'inconscio. Perché ci sia incontro con la verità del desiderio è necessario smarrirsi, fallire, perdersi. Chi non si è mai perduto non sa ritrovarsi: e, in questo senso, la giovinezza è il tempo del fallimento, il tempo dove il fallimento dovrebbe essere consentito.
La lectio di Recalcati, fin dalle prime battute, ha legato il tema del fallimento a quello della formazione, intesa come processo del prendere forma dell'individuo (o meglio del dar forma dell'individuo al proprio prendere forma) nel corso degli incontri della vita, in particolare quelli, fondamentali, della giovinezza. Incontri a volte cattivi, che cioè chiudono l'orizzonte, negano lo sviluppo e costringono a una eterna ripetizione della sua negazione; e incontri buoni, che aprono l'orizzonte, la strada, consentono l'accesso a dimensioni altre.
L'incontro con un maestro, nel corso della vita, è uno di questi ultimi. Maestro, inteso come colui che lascia il segno, insegnante; non contenitore di sapere, ma amante del sapere, e come tale capace di essere, del sapere, il corpo vivo, di fare di esso materia, non astrazione; e capace di trasmettere all'allievo l'amore per esso. Insegnamento perciò non come pratica di riempimento, ma di svuotamento: creazione di terreno nuovo su cui far germogliare la lingua, nuova, dell'individuo. Tutti temi, questi, presenti e accuratamente analizzati nel libro L'ora di lezione. Ho citato la lectio magistralis di Recalcati perché è stata un esempio perfetto di cosa può essere un'ora di lezione e dei suoi effetti salutari.
Rimettere al centro del discorso sulla scuola la figura dell'insegnante, la pratica della lezione, l'insegnamento come passione come fattori fondanti della scuola e del processo di formazione dell'individuo, in un panorama che indica la performance nozionistica, quantificabile e misurabile, come obiettivo primario della crescita, è un atto di ribellione e di umanizzazione della vita da salutare con profondo sollievo.
Abbiamo scelto per voi un brano tratto dal libro (scelta praticamente impossibile, visto la densità e la ricchezza del testo): Allucinazione e sublimazione. Ringraziamo Massimo Recalcati e la casa editrice Einaudi per averci consentito la sua pubblicazione. Infine, consigliamo a tutti la lettura di questo saggio.
Il lavoro degli insegnanti è diventato un lavoro di frontiera: supplire a famiglie inesistenti o angosciate, rompere la tendenza all’isolamento e all’adattamento ebete e conformistico di molti giovani, contrastare il mondo morto degli oggetti gadget e il potere seduttivo della televisione e delle nuove tecnologie, riabilitare l’importanza della cultura relegata dall’iperedonismo contemporaneo al rango di una pura comparsa sulla scena del mondo, riattivare le dimensioni vitali dell’ascolto e della parola, rianimare desideri, progetti, slanci, visioni in una generazione cresciuta attraverso modelli identificatori apaticamente pragmatici, disincantati, cinici e narcisistici, nutrita da un uso smodato della televisione e dal regime della connessione perpetua alla rete.
Gli insegnanti piú consapevoli ce lo dicono in tutti i modi: «Non ascoltano piú!», «Non parlano piú!», «Non studiano piú!», «Non leggono piú!», «Non desiderano piú!» Gli allievi di oggi coltivano il sogno di un’autonomia dall’Altro di fronte a una crisi strutturale del sistema capitalista che, anziché favorire un processo di indipendenza, tende a prolungare una dipendenza sintomatica.
L’illusione di una «via breve» al successo personale oggi affascina e genera modelli pericolosi che trascurano la disciplina paziente della formazione e alimentano il rifiuto ostinato di ogni differimento del godimento. Per Freud questo modello di soddisfacimento, raggiunto per «via breve», corrisponderebbe al meccanismo psicotico dell’allucinazione12. Oggi si è esteso, è diventato il modello prevalente di un appagamento pulsionale che sembra bruciare ogni differenza (necessaria alla formazione) tra assenza e presenza13. Il culto del godimento immediato della Cosa finisce per negare la sua assenza simbolica, promettendo un appagamento senza mancanza. Mentre la Legge della parola mostra come tutti gli esseri umani, in quanto esseri di linguaggio, siano sottoposti all’esperienza della perdita di godimento e della perdita della presenza della Cosa incestuosa, il culto iperedonista della presenza rigetta il tempo della non-Cosa – dell’assenza della Cosa – promettendo un godimento sempre presente, a disposizione, un godimento a portata di mano, di orecchio, di bocca, aderente al corpo del soggetto. Questo cortocircuito incestuoso della pulsione, favorito dall’iperedonismo contemporaneo, trascura la «via lunga» del soddisfacimento che per Freud trova il suo modello elettivo nella sublimazione.
Da una parte, dunque, il modello allucinatorio della «via breve» esclude il passaggio obbligato attraverso l’Altro, cioè attraverso la perdita di godimento che l’Altro inscrive nel cuore dell’umano (l’accesso alla parola non può che avvenire sullo sfondo dell’assenza della Cosa); dall’altra parte, il modello sublimatorio della «via lunga» impone che la pulsione rinunci al suo soddisfacimento immediato, al culto della presenza, per raggiungere – secondo Lacan, sulla «scala rovesciata della Legge del desiderio»14 – un soddisfacimento che non dissipa la vita ma la potenzia rendendola generativa.
Ma questo secondo modello – che è il modello di ogni possibile percorso di educazione o di «umanizzazione della vita» – sembra essere collassato di fronte a un’invasività della presenza che esclude l’assenza, ovvero di un godimento (per Lacan «mortale») che esclude il desiderio. La domanda che dobbiamo porci è allora questa: com’è possibile, nel tempo allucinato di una presenza sempre presente, tenere ancora vivo il motore del desiderio, se questo motore si nutre profondamente dell’esperienza dell’assenza?
Basta osservare i nostri figli alle prese con gli oggetti tecnologici. La distinzione tra un uso patologico e un uso fecondo sta proprio nel rapporto con l’assenza. In certi casi, la connessione diventa perpetua e impedisce l’oscillazione creativa tra assenza e presenza di cui si nutre la dialettica simbolica. La continuità della connessione sembra far sprofondare l’assenza nel nulla.
L’intervallo tra presenza e assenza viene cancellato, il vuoto riempito, la negatività della mancanza stordita, il desiderio reso impossibile.
Bonificare la pulsione di morte, la tendenza del godimento a sospingere la vita verso la morte, può essere un effetto della Scuola sulla vita del soggetto. Lo ricorda Pasolini quando descrive la tossicomania giovanile come l’esito di un «desiderio di morte» che si afferma sullo sfondo di un grande «vuoto di cultura»: La droga è sempre un surrogato. E precisamente un surrogato della cultura […]. La droga viene a riempire un vuoto causato dal desiderio di morte e che è dunque un vuoto di cultura.15
Note
12- Sulla dimensione psicotica e perversa non solo della psicopatologia contemporanea ma dei nostri legami sociali, cfr. le mie tesi in M. Recalcati, L’uomo senza inconscio cit.
13- Cfr. J.-P. Lebrun, Les couleurs de l’inceste. Se déprendre du maternel, Denoël, Paris 2013.
14- J. Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio cit., p. 830.
15- P. P. Pasolini, La droga. Una vera tragedia italiana, in Lettere luterane, Garzanti, Milano 2009, p. 98.
Le immagini di questo post sono tratte da Quaderni aperti, archivio partecipato di materiale scolastico in costante espansione, nato per realizzare iniziative didattiche e sociali di ricerca che valorizzino il ruolo di produttori di cultura dei bambini, e che utilizzino i materiali da loro prodotti come documenti di interesse storico, pedagogico e sociale. A oggi, l’archivio conta oltre 600 quaderni, fisici o digitalizzati, datati dal 1916 a oggi: una delle collezioni di quaderni scolastici più ricche e varie in Italia. Quadernini fa parte di Quaderni aperti.
Il saggio sulla scuola di Massimo Recalcati, psicoanalista e professore universitario che non ha bisogno di presentazioni, si intitola L'ora di lezione, e alla prospettiva d'indagine psicoanalitica associa un punto di vista personale (l'ultimo capitolo, Un incontro, è dedicato all'esperienza scolastica dell'autore).
Massimo Recalcati è particolarmente sensibile al tema della relazione fra generazioni, che si tratti di quella fra padri e figli (Il complesso di Telemaco), o di quella fra allievi e professori, o di quella fra età adulta, infanzia e adolescenza, che riguarda la biografia di ognuno di noi. Recalcati, fra l'altro, professionalmente molto si è occupato e si occupa di bambini e ragazzi (ricordo un filmato bellissimo in cui parlava della sua relazione con alcuni pazienti piccoli).
Al centro della riflessione sulla scuola, è, come in tutta la sua opera, il tema del desiderio. Tema che spiega il sottotitolo del saggio: Per un'erotica dell'insegnamento. Il nesso con il Simposio, dialogo platonico sull'amore che ancora oggi conserva intatta la sua portata dirompente, è immediato. A Socrate e al suo genio di maestro, infatti, sono dedicate, nel saggio, pagine appassionate e di grande interesse.
Alcuni giorni fa, a Milano, al Teatro Franco Parenti, ho assistito a una lectio magistralis di Recalcati. Titolo: Elogio del fallimento. Cito dalla presentazione: Il fallimento non è solo insuccesso, sconfitta, sbandamento. O meglio, è tutto questo, ma anche il suo rovescio. Il fallimento, secondo Lacan, è proprio del funzionamento dell'inconscio. Perché ci sia incontro con la verità del desiderio è necessario smarrirsi, fallire, perdersi. Chi non si è mai perduto non sa ritrovarsi: e, in questo senso, la giovinezza è il tempo del fallimento, il tempo dove il fallimento dovrebbe essere consentito.
La lectio di Recalcati, fin dalle prime battute, ha legato il tema del fallimento a quello della formazione, intesa come processo del prendere forma dell'individuo (o meglio del dar forma dell'individuo al proprio prendere forma) nel corso degli incontri della vita, in particolare quelli, fondamentali, della giovinezza. Incontri a volte cattivi, che cioè chiudono l'orizzonte, negano lo sviluppo e costringono a una eterna ripetizione della sua negazione; e incontri buoni, che aprono l'orizzonte, la strada, consentono l'accesso a dimensioni altre.
L'incontro con un maestro, nel corso della vita, è uno di questi ultimi. Maestro, inteso come colui che lascia il segno, insegnante; non contenitore di sapere, ma amante del sapere, e come tale capace di essere, del sapere, il corpo vivo, di fare di esso materia, non astrazione; e capace di trasmettere all'allievo l'amore per esso. Insegnamento perciò non come pratica di riempimento, ma di svuotamento: creazione di terreno nuovo su cui far germogliare la lingua, nuova, dell'individuo. Tutti temi, questi, presenti e accuratamente analizzati nel libro L'ora di lezione. Ho citato la lectio magistralis di Recalcati perché è stata un esempio perfetto di cosa può essere un'ora di lezione e dei suoi effetti salutari.
Rimettere al centro del discorso sulla scuola la figura dell'insegnante, la pratica della lezione, l'insegnamento come passione come fattori fondanti della scuola e del processo di formazione dell'individuo, in un panorama che indica la performance nozionistica, quantificabile e misurabile, come obiettivo primario della crescita, è un atto di ribellione e di umanizzazione della vita da salutare con profondo sollievo.
Abbiamo scelto per voi un brano tratto dal libro (scelta praticamente impossibile, visto la densità e la ricchezza del testo): Allucinazione e sublimazione. Ringraziamo Massimo Recalcati e la casa editrice Einaudi per averci consentito la sua pubblicazione. Infine, consigliamo a tutti la lettura di questo saggio.
Il lavoro degli insegnanti è diventato un lavoro di frontiera: supplire a famiglie inesistenti o angosciate, rompere la tendenza all’isolamento e all’adattamento ebete e conformistico di molti giovani, contrastare il mondo morto degli oggetti gadget e il potere seduttivo della televisione e delle nuove tecnologie, riabilitare l’importanza della cultura relegata dall’iperedonismo contemporaneo al rango di una pura comparsa sulla scena del mondo, riattivare le dimensioni vitali dell’ascolto e della parola, rianimare desideri, progetti, slanci, visioni in una generazione cresciuta attraverso modelli identificatori apaticamente pragmatici, disincantati, cinici e narcisistici, nutrita da un uso smodato della televisione e dal regime della connessione perpetua alla rete.
Gli insegnanti piú consapevoli ce lo dicono in tutti i modi: «Non ascoltano piú!», «Non parlano piú!», «Non studiano piú!», «Non leggono piú!», «Non desiderano piú!» Gli allievi di oggi coltivano il sogno di un’autonomia dall’Altro di fronte a una crisi strutturale del sistema capitalista che, anziché favorire un processo di indipendenza, tende a prolungare una dipendenza sintomatica.
L’illusione di una «via breve» al successo personale oggi affascina e genera modelli pericolosi che trascurano la disciplina paziente della formazione e alimentano il rifiuto ostinato di ogni differimento del godimento. Per Freud questo modello di soddisfacimento, raggiunto per «via breve», corrisponderebbe al meccanismo psicotico dell’allucinazione12. Oggi si è esteso, è diventato il modello prevalente di un appagamento pulsionale che sembra bruciare ogni differenza (necessaria alla formazione) tra assenza e presenza13. Il culto del godimento immediato della Cosa finisce per negare la sua assenza simbolica, promettendo un appagamento senza mancanza. Mentre la Legge della parola mostra come tutti gli esseri umani, in quanto esseri di linguaggio, siano sottoposti all’esperienza della perdita di godimento e della perdita della presenza della Cosa incestuosa, il culto iperedonista della presenza rigetta il tempo della non-Cosa – dell’assenza della Cosa – promettendo un godimento sempre presente, a disposizione, un godimento a portata di mano, di orecchio, di bocca, aderente al corpo del soggetto. Questo cortocircuito incestuoso della pulsione, favorito dall’iperedonismo contemporaneo, trascura la «via lunga» del soddisfacimento che per Freud trova il suo modello elettivo nella sublimazione.
Da una parte, dunque, il modello allucinatorio della «via breve» esclude il passaggio obbligato attraverso l’Altro, cioè attraverso la perdita di godimento che l’Altro inscrive nel cuore dell’umano (l’accesso alla parola non può che avvenire sullo sfondo dell’assenza della Cosa); dall’altra parte, il modello sublimatorio della «via lunga» impone che la pulsione rinunci al suo soddisfacimento immediato, al culto della presenza, per raggiungere – secondo Lacan, sulla «scala rovesciata della Legge del desiderio»14 – un soddisfacimento che non dissipa la vita ma la potenzia rendendola generativa.
Ma questo secondo modello – che è il modello di ogni possibile percorso di educazione o di «umanizzazione della vita» – sembra essere collassato di fronte a un’invasività della presenza che esclude l’assenza, ovvero di un godimento (per Lacan «mortale») che esclude il desiderio. La domanda che dobbiamo porci è allora questa: com’è possibile, nel tempo allucinato di una presenza sempre presente, tenere ancora vivo il motore del desiderio, se questo motore si nutre profondamente dell’esperienza dell’assenza?
Basta osservare i nostri figli alle prese con gli oggetti tecnologici. La distinzione tra un uso patologico e un uso fecondo sta proprio nel rapporto con l’assenza. In certi casi, la connessione diventa perpetua e impedisce l’oscillazione creativa tra assenza e presenza di cui si nutre la dialettica simbolica. La continuità della connessione sembra far sprofondare l’assenza nel nulla.
L’intervallo tra presenza e assenza viene cancellato, il vuoto riempito, la negatività della mancanza stordita, il desiderio reso impossibile.
Bonificare la pulsione di morte, la tendenza del godimento a sospingere la vita verso la morte, può essere un effetto della Scuola sulla vita del soggetto. Lo ricorda Pasolini quando descrive la tossicomania giovanile come l’esito di un «desiderio di morte» che si afferma sullo sfondo di un grande «vuoto di cultura»: La droga è sempre un surrogato. E precisamente un surrogato della cultura […]. La droga viene a riempire un vuoto causato dal desiderio di morte e che è dunque un vuoto di cultura.15
Note
12- Sulla dimensione psicotica e perversa non solo della psicopatologia contemporanea ma dei nostri legami sociali, cfr. le mie tesi in M. Recalcati, L’uomo senza inconscio cit.
13- Cfr. J.-P. Lebrun, Les couleurs de l’inceste. Se déprendre du maternel, Denoël, Paris 2013.
14- J. Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio cit., p. 830.
15- P. P. Pasolini, La droga. Una vera tragedia italiana, in Lettere luterane, Garzanti, Milano 2009, p. 98.
Le immagini di questo post sono tratte da Quaderni aperti, archivio partecipato di materiale scolastico in costante espansione, nato per realizzare iniziative didattiche e sociali di ricerca che valorizzino il ruolo di produttori di cultura dei bambini, e che utilizzino i materiali da loro prodotti come documenti di interesse storico, pedagogico e sociale. A oggi, l’archivio conta oltre 600 quaderni, fisici o digitalizzati, datati dal 1916 a oggi: una delle collezioni di quaderni scolastici più ricche e varie in Italia. Quadernini fa parte di Quaderni aperti.
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