Per chi si sta scrivendo allora?
Le risposte sono tre: per un grande che gli legge ad alta voce, per un piccolo che lo ascolta e intanto guarda le figure, e last but not least per l'illustratore che creerà le immagini che il piccolo guarderà. Tre individui davvero molto diversi fra loro che tuttavia si trovano uniti dal destino.
Ho scritto il testo di Quando il sole si sveglia ormai molto tempo fa.
Avevo in mente una illustratrice che poi però quel libro non lo ha fatto. Per lei, però, avevo scritto solo mezzo testo: la parte, per così dire, relativa a Quando il sole si sveglia. E non è che mi convincesse poi molto (visto che ne mancava metà). Un giorno, circa due anni fa, mi sono ritrovata fra le mani questo testo e allora mi è sembrato del tutto naturale che la seconda parte E quando si sveglia la luna? venisse fuori: al giorno segue la notte, il fatto è incontrovertibile.
Dopo di che il testo è partito per Philip Giordano che, dai tempi in cui lo incontrammo per la prima volta a Bologna parecchi anni fa, aveva fatto tanta strada, diventando uno dei migliori illustratori sulla piazza. Con Philip il libro ha trovato una casa, oltre al suo spirito esatto. Per alcuni mesi ci siamo scritti, riflettendo a distanza, insieme, sul taglio da dare alle immagini, e siamo arrivati a condividere l'idea di fondo di un libro semplice e luminoso. All'inizio del progetto avevamo pensato di restituire l'idea del ciclo diurno, dando al libro due copertine, una all'inizio e una alla fine del libro, fcendo partire la sequenza narrativa dalle due parti per poi incontrarsi al centro, con le due tavole dedicate al bambino. Ma a questa idea abbiamo rinunciato, perché ci siamo resi conto che il meccanismo era confuso e rendeva difficoltosa la lettura. Lettura che invece è resa limpida dal bel progetto grafico di Lorenza Natarella.
Quando si scrive, e penso anche quando si disegna, per un lettore così piccolo, uno scrittore ha la possibilità di rinunciare a quasi tutto. Ma non perché si ha di fronte un poverino a cui bisogna spiegare poche cose e chiare perché non ci arriva. Ma perché si ha davanti il lettore ideale: quello che spontaneamente conosce e riconosce la potenza esplosiva di ogni parola (e immagine): Casa. Rondine. Pesce. Cane. Gatto. Ognuna è una enormità, una specie di cellula prima, di uovo cosmico. Insomma, pensa lo scrittore (o l'illustratore): ogni cosa è come dovrebbe essere (quando invece di solito le parole - e le immagini - si usano un po' a casaccio, quasi unicamente riducendole alla dimensione e all'orizzonte ristretto e quotidiano dei propri affari, e comunque sempre attingendo all'archivio mentale del già conosciuto e sperimentato: è la via della minore resistenza, quella che il cervello umano sceglie d'ufficio; per questo trovare vie nuove è tanto difficile).
Mi viene in mente la conferenza Esattezza, delle Lezioni americane di Italo Calvino in cui lo scrittore parla del fastidio intollerabile che prova, vero e proprio disagio, di fronte all’uso approssimativo, casuale e sbadato del linguaggio. Una “epidemia pestilenziale” la definisce, che “ha colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva”.
Ecco, per i bambini la forza conoscitiva della parola è intatta. E lo è, tanto più sono piccoli. Per chi pratica la scrittura, perciò, questa è una occasione unica.
Ha qualcosa di grandioso la possibilità di scrivere (disegnare) queste stringhe di romanzo-enciclopedico: soggetto-predicato, soggetto-predicato, soggetto-predicato. Così, all'infinito: un ritmo incantatorio, perfetto, dove un complemento oggetto già sarebbe di troppo, un po' ingombrante, un po' inutile. Siamo nel regno della meraviglia pura, dell'incommensurabilmente piccolo e dell'incommensurabilmente grande, l'uno accanto all'altro senza scarti, incoerenze. E viene il sospetto che, a ben vedere, non si vorrebbe scrivere (disegnare) altro. Finalmente, pensa lo scrittore (l'illustratore), qualcuno che condivide la mia idea delle parole (e delle immagini).
Io trovo sommamente affascinanti i lettori piccoli e analfabeti. Perché paradossalmente sono i più avidi che si possa immaginare. Magari non sapranno leggere, ma sanno fare benissimo una cosa molto più affascinante: inglobare. E lo fanno con tutto quello che incontrano, non solo con i libri. E quello che inglobano lo fanno diventare parte di loro, che si tratti di una mela, di una fetta di prosciutto, di un libro, di un vestito, di un lembo di copertina, di una immagine, di una faccia. Quindi, lo si capisce: questo lettore piccolo e analfabeta è, ancora una volta, paradossalmente, il lettore più concreto e nello stesso tempo più sofisticato che si possa avere, perché in grado di fare quella cosa inconcepibile che è trasformare la cultura (o l'immateriale, il simbolico, lo spirito, chiamatelo un po' come volete) in materia.
Dopo, quando si cresce, questa operazione di far diventare una cosa che non c'è in una parte di sé, come un braccio o una mano, diventa molto più complicata e farraginosa. Pensate, per esempio, a come è difficile imparare una lingua diversa dalla propria. Dopo si cominciamo a fare distinzioni fra cose che sono utili e cose che non lo sono, cose adatte e cose inadatte, cose giuste e cose sbagliate, cose note e cose ignote. È fatale. Cambiano la disponibilità, la curiosità, l'intelligenza. A tal punto da arrivare ad affermare scemenze incommensurabili come “Con la cultura non si mangia”. Andatelo a dire a un piccolo analfabeta inglobatore.
Un bellissima recensione che analizza il libro nelle sue diverse componenti è su Lettura candita, scritta da Carla Ghisalberti.
Pihlip Giordano, schizzi preparatori per il libro. |
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