venerdì 29 maggio 2015

Una storia triste (con finale istruttivo)

Qualche giorno fa, partito all'alba per scorrazzare nel Lombardo-Veneto, ascoltavo alla radio quella meravigliosa trasmissione che si chiama Qui comincia e che nessuno ascolta perché comincia alle sei. Si parlava di Henri Matisse e, in particolare, de L'intervista perduta raccolta da Pierre Couthion nel 1941. E parlandone, Attilio Scarpellini, che conduceva il programma (riascoltabile qui) per quella mattina, ha citato un brano che ho immediatamente collegato alle immagini di questo post.

Matisse comincia a dipingere a 21 anni quando, convalescente per un'appendicite, riceve in regalo una scatola di colori, affinché non si annoi troppo. Ma appena comincia a usare quei colori, capisce che la sua vita è lì, che quella precedente non aveva alcun senso, era opaca e priva di colore. Quando Couthion gli chiede se fosse vero che il padre lo avesse osteggiato nella sua passione, Matisse confermò e aggiunse: «E faceva bene! Voleva vedere se era una cosa passeggera o meno.» Disse Matisse a Courthion che la vocazione contrastata è una necessità dialettica indispensabile alla crescita dell'artista. Bisogna, secondo Matisse, che l'artista - o l'aspirante tale - sia «un po' perseguitato» dalla sorte e dagli altri (una visione abbastanza hillmaniana delle cose, espressa in quel libro sorprendente che è Il codice dell'anima. Carattere, vocazione, destino).


Questa frase mi ha riportato davanti agli occhi le immagini di un libro illustrato del 1920: Old French Fairy Tales della Comtesse de Ségur, illustrato da Virginia Frances Sterrett e pubblicato a Philadelphia da The Penn Publishing Company. Sono illustrazioni figlie della loro epoca, perfettamente inserite in una corrente estetica che prendeva le mosse dal danese Kay Nielsen e trovava declinazioni nazionali più o meno riuscite. Penso fosse in quegli anni, e in quello stile ispirato dall'Art Deco che si sia manifestato per la prima volta uno "stile internazionale" dell'illustrazione, un gusto uniforme che ha interessato sostanzialmente il mondo intero. Fenomeno raro. Forse irripetuto.


Ma c'è altro, oltre alle fantasiose scene, che colpisce di queste illustrazioni: la storia loro e della loro autrice. Quando ha disegnato e dipinto all'acquerello le tavole che vedete qui, Virginia Frances Sterret aveva diciannove anni. E da quattro anni manteneva con il suo lavoro di illustratrice la famiglia, dopo la morte del padre e la malattia della madre. Non aveva un'istruzione artistica formale, anche se aveva manifestato fin da bambina una vocazione al disegno e alla pittura. Quando ha realizzato questo libro - dicevamo, a 19 anni - le era già stata diagnosticata la tubercolosi che l'avrebbe portata alla morte alla vigilia del suo trentesimo compleanno.


Forse la sorte avrebbe potuto perseguitare meno la povera Virginia. E permetterle, per la sua e nostra gioia, di ultimare più dei tre libri che è riuscita a pubblicare (oltre alle fiabe della Comtesse de Ségur, le Tanglewood Tales di Nathaniel Hawthorne e le Mille e una notte, sempre per Penn) e di vivere una vita più lunga, piena e meno sofferta. Eppure la sua vicenda e la frase di Matisse risuonano nella mia testa all'unisono.



Sarebbe ingenuamente romantico pensare che l'artista debba essere infelice e sono convinto che Virginia Sterret avrebbe avuto una produzione altrettanto interessante se fosse stata sana e felice. L'urgenza di esprimersi non passa necessariamente attraverso la sofferenza fisica o psichica. Ma sono anche convinto che, per chi vuole stimolare la propria creatività, sia fondamentale coltivare e rafforzare con impegno la capacità di affrontare ostacoli, problemi e frustrazioni. Arte nella quale Virginia immagino sia stata maestra quanto Matisse, che dipingeva di nascosto dal padre ed era felice di sentirsi contrastato per «misurare la forza della propria strada.» Maestro in quest'arte fu anche il grande Edward Lear, la cui vita fu un compendio di sfortune e guai: ne abbiamo parlato qui.


Essere osteggiata, incompresa, trascurata è il destino della maggior parte delle persone che vogliono veramente e con serietà fare della propria creatività un mestiere. E non tanto, non solo perché c'è molto spesso chi approfitta della passione (e spesso dell'ingenuità delle cosiddette cose della vita) di chi è mosso da qualcosa di più alto del mero scopo di lucro, ma anche perché il mestiere è difficile, i risultati non sempre commisurati alle aspettative, il mondo è distratto, gli specialisti e gli esperti spesso e volentieri incompetenti, le giurie partigiane, i concorsi truccati, i colleghi invidiosi, i librai oberati, i bibliotecari poveri e i lettori ignoranti. Perché le commesse non arrivano; e quando arrivano sono quelle "sbagliate" e le si accettano per sbarcare il lunario. Perché ogni giorno devi fare i conti con quei segni che ti escono dagli occhi e dalle mani senza la certezza che domani torneranno.


E neppure bisogna illudersi. Anche se si venisse accettati, dopo tanti contrasti, non scomparirebbe la frustrazione. Successo e bravura sono, infatti, cause inevitabili di invidie, antipatie, guerre dissimulate, rancori insopprimibili, antagonismi irriducibili. E per tornare al Matisse da cui siamo partiti: «quando si viene accettati, il pubblico smette di vedere il dipinto e comincia a guardare i biglietti di banca.» Una frustrazione diversa, se volete, ma pur sempre una frustrazione. Qualcosa di simile, lo raccontano i personaggi dell'ultimo film di Sorrentino, Youth, Tutti per qualche ragione sono al vertice del successo e tutti sono, al tempo stesso, alla deriva. E tutti, al contrario delle persone cosiddette 'normali' escluse dal cerchio della celebrità, sanno che non sarà il talento e il successo a salvarli, non sarà quello che hanno raggiunto o quello che hanno fatto. Anzi, tutto ciò non fa che esporli senza filtri al rischio della verità, alla verità della propria fragilità. L'arte richiede lucidità, onestà e spalle molto larghe.


Old French Tales by Comtesse de Ségur illustrato da Virginia Frances Sterret è consultabile online qui. Se volete vedere le illustrazioni degli altri libri della Sterrett, potete visitare questa pagina. Ma se avete perso la testa per le illustrazioni di Viginia Sterrett, esemplari in buone condizioni dei suoi tre libri si trovano per non troppe centinaia di euro. Ma, come mi piace sempre ricordare, con i libri bisogna avere pazienza: ci si siede sulla riva del fiume e si aspetta che ti passino davanti a due euro e cinquanta.

2 commenti:

Rob Dunlavey ha detto...

Paolo, I'm surprised no one has commented on your thoughtful and passionate post. Perhaps it is because you state the obvious, that "…all life is struggle" and without obstacles we are dull and uniform and progress is impossible. Illustration which lives and dies by manipulating clichés and fulfilling expectations is full of courageous practitioners who have forged a unique path and method of working. It's all good or bad. Good art seems to be a gift to the world regardless of the form it takes. Bad art is art that isn't good yet.

And many thanks for comparing Matisse and Virginia Frances Sterrett (links below). Brilliant!

http://illustrationart.blogspot.com/2010/03/time-and-chance-happeneth-to-them-all.html
http://sterrett.artpassions.net/

Topipittori ha detto...

Dear Rob, I am not sure it is so obvious: no one, in art schools, illustration workshops and various master courses has ever said (at least to my humble knowledge) that the most important thing an artist/illustrator must have is resilience, stamina, and the ability to cope with frustration. In general, young and aspiring artist/illustrators tend to be given the idea that a creative profession is easily available an accessible if "you are yourself" or you "find your own style". Whereas, I am sure it would be much better to tell these people they have to stop thinking of their narcissistic ego and start to think of themselves as "someone else", in order to be ready to face the usually harsh reality of creative work.
Glad you loved the comparison.
ciao