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mercoledì 8 maggio 2013

Una messa a fuoco così precisa

Un recentissimo post di Anna Castagnoli sul blog Le figure dei libri, con il suo bel corollario di interessantissimi commenti e striscianti polemiche, mi ha riportato alla mente le immagini di un illustratore francese di fine Ottocento, del quale avevamo già parlato qui: Louis Maurice Henri Boutet de Monvel. (Qui trovate molti suoi libri digitalizzati, ma quelli che mostriamo qui di seguito sono gli esemplari di Vieilles chansons pour les Petits Enfants e Fables de La Fontaine che appartengono alla nostra collezione).



È interessante il parallelo fra le illustrazioni di Anne Crausaz (qui una scheda biografica e qui un'intervista)  e quelle di Iela Mari per i libri usciti alla fine degli anni Sessanta e nei primi anni Settanta per i tipi della Emme Edizioni di Rosellina Archinto (e a proposito della quale vale la pena leggere questo e cercare il catalogo della relativa mostra). Ma ancor più interessante, forse, è ritrovare lo stesso tipo di ricerca formale, le stesse atmosfere più di un secolo fa, nelle immagini di uno dei maestri dell'illustrazione francese fin de siècle.





Con il termine fin de siècle, nella storia dell'arte ci si riferisce a un periodo caratterizzato, secondo la Encyclopedia Britannica, da «raffinatezza, stanchezza del - ed evasione dal - mondo, estremo estetismo.» In ambito letterario, questa corrente artistica è stata battezzata "decadentismo" in Francia ed "estetismo" in Inghilterra. Una definizione che, personalmente, mi ha sempre lasciato insoddisfatto.





In Boutet de Monvel, così come in Iela Mari, in Anne Crausaz e in molta altra illustrazione, contemporanea e non, mi sembra prevalga, più della noia splenetica del mondo, il desiderio di dare del mondo una visione molto idealizzata, cioè molto distante da una realtà che non viene percepita - e forse non può essere percepita - come degna di rappresentazione.





Io mi guardo intorno e non riesco a dare torto a chi ha pensato e pensa di offrire ai bambini una prospettiva nella quale la messa a fuoco è così precisa da obliterare i dettagli sullo sfondo: quel contorno chiassoso, pacchiano e invadente che confonde chi osserva e annichilisce e inquina ogni bellezza. In questa scelta formale, mi pare si possa leggere una forte dichiarazione etica e politica (ma c'è una vera differenza fra etica ed estetica?) che non mi sento di non condividere.





E per tornare da dove siamo partiti, cioè dal post di Anna e da alcune delle domande che lei pone («Cosa significa crescere?»; «A quale età si smette di vedere che le forme sono belle come fanciulle vezzose?»), mi sembra di poter prendere il coraggio a due mani e affermare che il vero insegnamento di questa maniera di illustrare per bambini sia che crescere significa (o dovrebbe significare) acquisire e mantenere la capacità di non disperdere l'attenzione, di non lasciarsi distrarre dai rumori di fondo, di badare all'essenziale e nell'essenziale trovare il senso della vita adulta.





Quanto alle forme e alle fanciulle vezzose penso che molti fra coloro che leggono queste pagine continuino, anche in età non più infantile, a esserne irrimediabilmente sedotti.