Con il termine fin de siècle, nella storia dell'arte ci si riferisce a un periodo caratterizzato, secondo la Encyclopedia Britannica, da «raffinatezza, stanchezza del - ed evasione dal - mondo, estremo estetismo.» In ambito letterario, questa corrente artistica è stata battezzata "decadentismo" in Francia ed "estetismo" in Inghilterra. Una definizione che, personalmente, mi ha sempre lasciato insoddisfatto.
In Boutet de Monvel, così come in Iela Mari, in Anne Crausaz e in molta altra illustrazione, contemporanea e non, mi sembra prevalga, più della noia splenetica del mondo, il desiderio di dare del mondo una visione molto idealizzata, cioè molto distante da una realtà che non viene percepita - e forse non può essere percepita - come degna di rappresentazione.
Io mi guardo intorno e non riesco a dare torto a chi ha pensato e pensa di offrire ai bambini una prospettiva nella quale la messa a fuoco è così precisa da obliterare i dettagli sullo sfondo: quel contorno chiassoso, pacchiano e invadente che confonde chi osserva e annichilisce e inquina ogni bellezza. In questa scelta formale, mi pare si possa leggere una forte dichiarazione etica e politica (ma c'è una vera differenza fra etica ed estetica?) che non mi sento di non condividere.
E per tornare da dove siamo partiti, cioè dal post di Anna e da alcune delle domande che lei pone («Cosa significa crescere?»; «A quale età si smette di vedere che le forme sono belle come fanciulle vezzose?»), mi sembra di poter prendere il coraggio a due mani e affermare che il vero insegnamento di questa maniera di illustrare per bambini sia che crescere significa (o dovrebbe significare) acquisire e mantenere la capacità di non disperdere l'attenzione, di non lasciarsi distrarre dai rumori di fondo, di badare all'essenziale e nell'essenziale trovare il senso della vita adulta.
Quanto alle forme e alle fanciulle vezzose penso che molti fra coloro che leggono queste pagine continuino, anche in età non più infantile, a esserne irrimediabilmente sedotti.