[di Giulia Mirandola]
L’amore che non scordo. Storie di comuni maestre è il titolo di un bel documentario uscito nel 2008 per le edizioni Libreria delle donne Milano. Diretto e scritto a più mani – la regia è firmata da Daniela Ughetta e Manuela Vigorita; la sceneggiatura da Vita Casentino, Maria Cristina Mecenero, Daniela Ughetta e Manuela Vigorita –, racconta quattro storie di scuola pubblica italiana, ambientate ai giorni nostri. Protagoniste sono le voci di maestre e maestri che tra il 2005 e il 2007 hanno aperto in più occasioni le porte delle aule scolastiche all’occhio della cinepresa. Ne escono ritratti vividi e realistici di persone che alla scuola dedicano la maggior parte del loro tempo. Ci sono i piccoli e ci sono i grandi. Insieme si cresce e, come sottolinea una delle insegnanti intervistate, dopo cinque anni passati insieme, «siamo tutti cambiati». Il documentario si sofferma su situazioni e contesti diversi del nord e centro Italia ed è costruito in quattro capitoli affidati in ciascun caso alla voce “guida” di una maestra o maestro. Con i loro volti e intelligenze, accompagnano dentro le pieghe del proprio mestiere, ma anche del proprio sentire, fatto di esperienze, domande, momenti di grande trasporto emotivo. Un’aria molto diversa da quella che mediamente si respira quando si tratta di scuola (pubblica e non). Potrebbe far pensare a un venticello, alternativo allo stato di apnea con cui viene vissuta la scuola pubblica oggi. Siamo in una quarta, a Casalecchio di Reno (Scuola Primaria XXV aprile); in una terza, a Milano (Scuola Primaria Armando Díaz), in una seconda, vicino a Roma, a Campo Leone (Scuola Primaria Gianni Rodari), in una quinta a Settimo Milanese. I maestri e le maestre si chiamano Chiara (Nerozzi), Alice (Grodzensky), Adriana (Rotili), Bardo (Seeber), Maria Cristina (Mecenero). È difficile insegnare, stare cinque anni a stretto contatto tutti i giorni, conoscersi per poi separarsi, una volta raggiunta l’intimità tanto cercata. Si suda parecchio in aula, bambini e insegnanti, è evidente da queste immagini. Il numero di ore minuti secondi passati insieme in cinque anni di scuola elementare, è un esercizio di matematica “concreta”, scritto sulla lavagna in una delle ultime scene. Il tipo di fatica implicata nelle aule che vediamo, però, ha qualcosa che la fatica muscolare non produce mai, un beneficio caratteristico: l’umanità, “l’amore che non scordo”, giustappunto. Giocare, stare bene, ascoltarsi, raccontarsi, parlare, fare cerchio, fare mondo. Nessuno è preoccupato nelle scuole che ci vengono raccontate da Ughetta e Vigorita, di dimostrare “quanto sono intelligente”. Perché «noi bambini siamo come le affascinanti cascate del Niagara o le grandi piramidi d’Egitto» afferma un bambino in un tema letto ad alta voce. Allora, che sia il richiamo a questo dichiarato misterioso e affascinante “essere umani”, ad abitare le scuole, chi la fa, chi la vive.
Preciso come una freccia il commento di Francesca Comencini al film: “In un’epoca in cui tutto sembra dettato dalle immagini, in cui i bambini sembrano intrattenere un rapporto esclusivo e ossessivo solo con vari tipi di schermi, dai computer, alle playstation, dalle televisioni ai gameboy, scopriamo invece la loro naturale e magica inclinazione alle parole. Parole lette, parole scritte, parole dette.”
Buona visione.
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