giovedì 10 novembre 2011

Dal chiasso alla parola/2. Il bianco che resta sulla carta

Il primo libro di poesie che mi è stato regalato, si intitolava Cinque lire di stelle. L'autore era Federico García Lorca. Il donatore fu mio padre. Il libro era una raccolta di filastrocche, nenie, ninnananne, canzoncine. Era il 1970. Avevo otto anni. La cosa che mi fece più impressione di quel libro che mi parve fonte inesauribile di delizie (potete leggere alcune di queste poesie, cliccando sulle immagini), fu il bianco delle pagine. E, dentro quel bianco, il modo in cui vivevano le parole. Il modo in cui ci abitavano, come fosse uno spazio sterminato, luminoso, silenzioso. Sembravano fatti l'uno per le altre. Parole che usavo senza pensare, come ponte, conchiglia, bambina, luna, sera, olive, acqua, cotone, imponevano di ascoltare. E, nell'ascolto, crescevano, prendevano corpo, voce.


L'impressione era quella di sentirle per la prima volta. Mi sembrarono una specie di miracolo quel silenzio e quello spazio con dentro quelle parole. Lì, si respirava: c'era aria, luce, libertà. Una limpidezza che consentiva di capire e di vedere. Fu un'esperienza così forte che determinò una sorta imprinting a vita.


La prima conseguenza fu una plaquette poetica autoprodotta, con tanto di rilegatura, indice, copertina e biografia dell'autrice. La seconda, una ricerca costante di parole che mi restituissero quell'esperienza. Ancora oggi, i libri prediletti li riconosco così: quando le parole fanno tacere tutto il resto, quando il loro silenzio crea lo spazio del pensiero, quando la loro luce diventa chiarezza di visione.
L'ultima, in ordine di tempo, questa primavera, una poesia, che descrive questa esperienza.

Il bianco della pagina
insegna alla bambina
il formicaio delle parole
lo sporgere del rigo
sull’abisso dei significati
la luce chiara del senso, del sentire
le dice  so di te da molto prima che nascessi
le dice  benvenuta.



Un libro che parla di poesia e ragazzi, letto alcuni giorni or sono, dedica un intero capitolo al bianco della poesia, mostrando con grande intelligenza cosa possa significare un simile incontro per un lettore molto giovane. Il libro si intitola Perlaparola. Bambini e ragazzi nelle stanze della poesia, l'autrice è Chiara Carminati (un nome in linea con poesia e bianchezza; Nomen est homen, dicevano i latini). Chiara è autrice di altri libri dedicati alla poesia e ai ragazzi di cui abbiamo parlato qui. In queste pagine, riprende il filo del discorso iniziato e lo approfondisce, per offrire altri strumenti a chi, insegnante, genitore, educatore, bibliotecario desideri fomentare la poesia.

Nell'Ingresso del libro, dal titolo Brevi note per fomentatori di poesia, l'autrice, infatti, spiega:

"Trovo molto bella la parola fomento. Nella nostra lingua è un po' in disuso, ma in spagnolo viene utilizzata correntemente per indicare le attività di avvicinamento al libro e alla lettura: fomento de la lectura. In italiano il termine corrispondente è promozione, che però risulta più freddo e legato a una logica di consumo. Nel suono della parola fomento invece si legge una fiammata improvvisa, un calore di fiato, un segnale di fumo fatto per essere visto da lontano. Fomento ha in sé la fame, il nutrimento del fuoco.
Più che un manuale, una cassetta per gli attrezzi, questo libro vuol essere uno strumento per il fomento della poesia. Una raccolta di proposte per far scattare la scintilla, e di spunti per alimentarla. Si rivolge a chi, per passione o per professione, si occupa di bambini e ragazzi, nell'idea che la poesia sia il mezzo più potente per esplorare e far esplorare le risorse del linguaggio e che l'acquisizione di queste risorse sia fondamentale per la costruzione di una personalità creativa e l'espressione di un pensiero libero."


La Quinta stanza poetica immaginata da Chiara si intitola Scolpire il silenzio. E così si annuncia:
"Dove se guardi bene, vedi la poesia, perché va a capo; dove il bianco scrive e il silenzio suona e chi corre si ferma in uno spazio calmo; dove le parole si sporgono sul bordo di un precipizio e il lettore vorrebbe sapere come va a finire."

È qui, infatti, che si parla del bianco che circonda la poesia e che alla poesia è consustanziale. Da questa stanza così speciale, vi riporto alcuni brani.



"Tengo un libro aperto nella mano destra e uno nella mano sinistra. Entrambi sono rivolti verso di loro. Quale dei due è un libro di poesie? chiedo.
Loro sono distanti, non possono leggere le parole. Loro possono solo vederle nella pagina. Loro sono tre classi di seconda media nella sala di una biblioteca, e assistono a un incontro sulla poesia con un misto di scetticismo e curiosità che è quasi commovente.
Rispondono unanimi: il libro di poesia è quello a sinistra.
E da cosa l'avete capito, visto che non potete sapere se parla di stagioni o di lacci delle scarpe, né se esprime sentimenti o descrive un frigorifero? Esitano un attimo. È perché non arriva in fondo, rispondono. Perché lo scritto è più corto della pagina. Perché va a capo.
La poesia va a capo. Frena il flusso delle parole prima di arrivare al margine della pagina. Dichiara la propria autonomia espressiva rispetto alle regole della scrittura, stabilendo una prima identità formale che è fatta di niente, di bianco, di vuoto: la poesia è scritta in versi, e i versi vanno a capo.
Ma i versi sono fatti solo dalle parole, o anche dalla loro assenza?
«La poesia non è fatta di queste lettere che pianto come chiodi, ma del bianco che resta sulla carta» dice una celebre frase di Paul Claudel, quasi a provocare l'attenzione del lettore su ciò che non c'è, che non si vede, ma in qualche modo si ascolta come si ascolta il silenzio. Gli spazi bianchi, quel vuoto di carta e di voce in cui galleggiano le parole dopo essere emerse con lentezza o prepotenza, sono silenzi.
È un vuoto che non è vuoto, anzi è pieno di suono che echeggia, di vita e respiro, di presenza."



"Negli edifici frequentati da molta gente, esiste uno spazio identificato come luogo sicuro da raggiungere in caso di incendio: viene chiamato «spazio calmo». Non è un luogo di riposo, come il nome potrebbe far pensare. Non è neppure un semplice luogo di attesa passiva, poiché è dotato di tutte le strumentazioni necessarie per far fronte al pericolo delle fiamme e cercare una via di salvezza. Contro la frenesia e l'ansia di consumo, la poesia è il nostro spazio calmo di lettori. Poiché non chiede di essere divorata, ma assaporata: ci impone un tempo di lettura più lungo e disteso, uno spazio calmo in cui prenderci cura delle parole."



"Guillevic chiama la poesia scultura del silenzio: proprio come se le parole emergessero a forza di scavare nel bianco, che continua a circondarle. Ma il bianco resta la materia prima. Mi piace l'immagine della scultura anche perché richiama il monumento, come se le parole della poesia fossero l'opera eretta per celebrare i suoi silenzi.
La definizione di Guillevic ricorda l'immagine contenuta nel Tao Te Ching: le pareti del vaso sono fatte d'argilla, ma è il vuoto al suo interno a renderlo utile. Le parole delle poesie ci parlano, ma sono i bianchi dei versi a farcele ascoltare fino in fondo. Cosa succede in quei bianchi? Di cosa si colmano, per chi li ascolta?


Nelle pause si ascoltano i suoni. Risuonano le ultime sillabe e ne traggono vantaggio le rime, che così evidenziate stringono legami più forti all'orecchio. Ma echeggiano più a lungo tutte le parole in fine verso, anche quando non sono in rima. Protese sul bordo del precipizio, si caricano così di maggior peso nel gioco dei significati."



3 commenti:

Ilaria ha detto...

mamma che bellezza!

serena ha detto...

bellissimo post davvero, grazie! mi sento galleggiare tra spazi bianchi

Unknown ha detto...

Grazie del post! Mi ha aiutato a ritrovare questo bellissimo libro letto da bambina in biblioteca e mai dimenticato