mercoledì 1 febbraio 2012

White rabbits! White rabbits!

[di Valentina Colombo]

 Ogni paese ha le sue usanze. Margherita Emo, nel suo Conigli bianchi, uscito qualche mese fa nella collana Gli anni in tasca, ne scova una veramente bizzarra. Ogni primo del mese, appena si aprono gli occhi, la mattina, ancora prima di dire «Buongiorno», bisogna recitare con quanta più convinzione possibile la formula «White rabbits!». Un portafortuna infallibile, a detta di Bridget, la tata neozelandese di Margherita. Chissà se è consapevole di aver lasciato un segno indelebile nella memoria di Margherita. Comunque, accogliamo con gioia questo rituale e lo facciamo nostro, oggi, primo di febbraio, per cominciare bene il mese.
E siccome febbraio è il mese del carnevale e qui si parla di travestimenti, Margherita ci fornisce materiale anche su questo. E se papà e mamma fossero in realtà due giganti, che però mostrano il loro vero aspetto solo quando sono soli? E se di notte, quando meno te lo aspetti, arriva Dracula? Per ognuna di queste paure, non c'è soluzione migliore che una combattiva e tenace fuga, in cucina per uno spuntino notturno o nel letto di mamma e papà. O almeno così fa Margherita per un po' di tempo. Ma troppe cose accadono perché lei, da bambina attiva e testarda, si faccia intimidire. Ce le racconta una per una, con una colonna sonora che scoprirete scorrendo le pagine di questa autobiografia.
L'infanzia di Margherita trascorre tra Londra e Castelfranco Veneto. Tra il Royal Ballet della capitale inglese e le campagne del nord Italia.
In Inghilterra la musica classica dei teatri si contrappone a quella dell'underground, dei suonatori di strada. Covent Garden contro metropolitana.



Margherita muove i primi passi di ballo sfrenato, un po' fuori controllo, in preda alle risate di chi scopre qualcosa di molto divertente e ridicolo al tempo stesso, grazie a Lorraine, altra tata (ma improvvisata, perché odia i bambini) sulle note dei Blues Brothers.



Dal ballo, all'ascolto vero e proprio: per me le canzoni sono state una miniera di sapere in fatto di parolacce. Anche per Margherita sembra valere la stessa regola. Sul repertorio, ammetto, abbiamo avuto differenti maestri. Ma in comune c'era il mangianastri portatile, quello con le pile grosse, con il volume al massimo e le voci che diventano rauche dallo sforzo, come se urlare quelle parole proibite avesse un che di catartico. E qui ci si scatena con la cattiva ragazza Gianna Nannini.



Come poi questo intenso vocabolario venga usato dalla nostra eroina, lo scoprirete leggendo. Non vi stupirà e, se ci pensate attentamente, potete intuirlo.
L'adolescenza è un periodo di ritornelli. Rimproveri ripetuti, litigate che si concludono con la stessa frase, Don't call me darling. Non chiamarmi tesoro. Questa è la personale canzone di Margherita, cantata, urlata ed espressa a suon di sguardi a sua madre per un bel pezzo.
Con la nascita della associazione culturale Nessundorma, fondata dal padre, Margherita è circondata di melodie, di voci, di sguardi. È il pieno turbinio dell'adolescenza, il vero centro del libro. La famiglia Emo (onore a loro) organizza uno degli eventi culturali più all'avanguardia in territorio veneto, un festival di cabaret e musica con nomi pazzeschi: Skiantos, Casino Royal, Elio e le Storie tese, Franco Battiato, e tra i comici Diego Abatantuono, Enzo Iacchetti, Gaspare e Zuzzurro. Arriva anche la prima cotta, quella che ti fa sentire le farfalle nello stomaco, scatena pensieri nuovi e ti fa scoprire l'amore, sopra ogni cosa. Anche se Margherita non capisce subito come mai questa Bocca di Rosa piaccia così tanto a tutti.



Il fatto è che Margherita vorrebbe solo piacere a lui, a Bob Rock. Ma Bob Rock guarda Mari. E Mari...



È innegabile che i suoni e le canzoni creino spesso dei momenti magici, unici, che chissà per quale ragione penetrano ancora più profondamente sotto la nostra pelle e rimangono lì, e si fanno ricordi, emozioni, visioni sfocate di istanti. L'importanza di ascoltare ciò che accade intorno a noi è anche questo: percepire la colonna sonora della nostra vita. Che non è fatta di sole canzoni, ma anche di voci, di cantilene, di ritornelli cantati ogni mattina, il primo del mese. Non dimenticare queste note è forse una delle cose più difficili di diventare grandi. Come scrive Margherita:

Pensare che tutto ciò che contava per me sarebbe sbiadito, che il sistema stesso delle mie percezioni sarebbe cambiato, si sarebbe attutito, equivaleva alla morte ed era pertanto inconcepibile.


 

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