giovedì 1 marzo 2012

I figli della scarpa

I bambini di Francesca Ghermandi sono dei mostriciattoli. Degli alieni, dei rifiuti, dei reietti. Nella galleria di umani orrorifici che affollano le sue pagine, sono forse i personaggi più imbarazzanti. Non capiscono nulla. Non sanno nulla. Vogliono tutto. Non hanno niente. Sono ottusi, pavidi, arroganti, capricciosi, terrorizzati. Terrorizzanti. La loro innocenza è insopportabile perché è la fonte di tutte le loro disgrazie, passate, presenti e future. Su di essa si fonda l'incoscienza criminale e soddisfatta dell'età adulta. Esistono bambini così? Sì, esistono. Lo sappiamo tutti. Ho un ricordo vivissimo di alcuni di loro, incontrati anni fa su un traghetto per la Sardegna. Sono, infatti, bambini che si incrociano quotidianamente, un po’ ovunque. Sono i figli della scarpa.
Chi sono i figli della scarpa? Sono i due pargoli protagonisti del brevissimo fumetto Il giorno del pacchino, pubblicato l'anno scorso nell'antologia Canicola bambini e quest'anno in esposizione a Bilbolbul, nella mostra Non è mai troppo tardi, alla Cineteca di Bologna, che inaugura domani, dedicata alla produzione a fumetti per bambini di Francesca Ghermandi.
I figli della scarpa sono due fratellini: il maschietto è blu, la femminuccia rossa: azzurro e rosa sarebbe stato troppo poco per queste due creature livide e furibonde. La loro mamma è una scarpa leopardata. O, almeno, questo è quel che ho pensato io, mentre leggevo la storia. Un inconfondibile zatterone da zoccola che di tanto in tanto compare accanto a loro, lasciando cadere dall’alto surreali predicozzi.

Come nei cartoni di Tom & Jerry, infatti, anche qui, accanto ai piccoli protagonisti i grandi compaiono sottoforma di piedi e calzature. Ma con Francesca, quella che prima era solo una corretta nota fenomenologica (il piccolo del grande vede solo una parte, e del resto percepisce l’incombere), diventa anche sociologica. La scarpa indica un inconfondibile contesto di crescita. Che spiega, senza bisogno di ulteriori indicazioni, la ragione di tanta mostruosità infantile. Quando è una scarpa da zoccola a farti da mamma, ti si prepara un futuro da mostro. Punto. Oltretutto se la scarpa è da zoccola, la mamma, per definizione creatura ambivalente, non è detto lo sia. Semplicemente la mamma segue la moda. Anzi, semplicemente la mamma è la scarpa.

Non c’è il resto della mamma, oltre la scarpa, come invece oltre la ciabatta si sapeva esistesse la mamma di Tom & Jerry. Qui è la scarpa a parlare.
I figli della scarpa vivono in disagevoli contesti popolati di cose orrende. Oggetti orripilanti, case oscene, giochi schifosi, piante mutanti, animali ripugnanti, adulti luridi. Sono gli amici della scarpa, fra i quali la scarpa, ora leopardata, ora panterata, cammina balenga e sicura al tempo stesso, come le si addice. Sicura perché balenga: la scarpa non conosce dubbi, esitazioni, infatti. La scarpa è tutta azione. Non ha cervello. Dall’alto della sua inesistenza e contraddetta dal basso della sua estetica impazzita, impartisce ai pargoli valori indiscutibili: «Non siete mai contenti! Ci sono i bambini che soffrono la fame del mondo e voi non siete mai contenti!»

Sarebbe bastata questa battuta perfetta per fare di questo fumetto una meraviglia. Ma in questa demente perla di saggezza c'è molto di più di quel che a prima vista appare e, cioè, la realistica approssimazione di una lingua straparlata che prende il posto del parlante e parla per lui, la sgangherata sintassi di chi mette in fila parole orecchiate in qualche aula di scuola o in qualche chiesa o su qualche isola dei famosi. Chissà dove, insomma. Parole di chi si barcamena e tira a campare nei territori del sentito dire (gli eterni bambini del Biafra o somali o haitiani, che l’Occidente, avido di buoni sentimenti, non si stanca di sbandierare come trofei davanti agli occhi dei suoi minori obesi), ramazzando un po’ dove capita buoni principi da inculcare in marmocchi abulici e strafottenti, per usare un verbo che recentemente ha conosciuto una certa voga.

La scarpa, tuttavia, non sa di esprimere, nella sua approssimazione e con la sua bocca sgangherata, una grande verità: i bambini soffrono “la fame del mondo” perché il mondo, come mostrano sistematicamente i fumetti di Francesca Ghermandi, da Pasticca in poi, è un mangiatore di bambini. Da sempre. Come gli orchi. E i bambini patiscono la sua fame. C'è da stupirsi che siano isterici, insopportabili, furiosi? «WHUAAAHH noi non la vogliam soffrire la fame del mondo!!! BUHUUU...» si sgolano, infatti, inviperiti, i due alla minaccia materna. Mai scarpa pronunciò verità più scandalosa, degna di una sibilla. E mai la rinnegò più rapidamente in risposta più menzognera: «Oh, per carità! Questo no! Questo mai!! »



Dal 2 marzo all’8 aprile, al Museo Archeologico di Bologna, Bilbolbul dedica a Francesca anche un'altra importante mostra: Officina Ghermandi che inaugura oggi alle 19. Allestita in stretta collaborazione con l'autrice, questa esposizione si propone di mostrare il processo ideativo e creativo di alcune opere - albi illustrati, fumetti, animazioni, illustrazioni per magazine -, attraverso l’esposizione del materiale preparatorio: matite, bozzetti, appunti. Il lettore, muovendosi nella fucina creativa a cui normalmente non ha l’opportunità di accedere, qui in mostra accanto alle tavole originali, avrà modo di comprendere il lavoro di un’artista dominata dal piacere disegnare, di creare immagini dalla cui forza e passione nascono incessantemente storie, personaggi, racconti. Di Francesca a Bologna c'è anche la mostra Faccia di coccio: disegni su ceramica esposti a Crète piece unique.  Infine, domenica 4 marzo alle ore 16,30 all' Auditorium Sala Borsa in Piazza Nettuno 3, a Bologna: Cronache Dolenti, Povera Patria: Francesca Ghermandi incontra Giorgio Vasta. Non perdetevele: questa autrice associa talenti rari ed estremi di narratrice, osservatrice, disegnatrice che spende con generosità assoluta (basta andare sul nuovo sito che ha messo in piedi: un'opera in sé). L'omaggio di Bilbolbul è meritatissimo.

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