La grotta di Chauvet è stata scoperta in Francia nel 1994, per caso, da tre speleologi, lungo il corso del fiume Ardèche, nei pressi di un meraviglioso arco naturale che probabilmente, come viene detto nel documentario, ha qualche parte nella percezione di questo luogo come porta magica alla dimensione sacrale di visioni, miti, sogni. Dimensione che, come viene sottolineato, segna il passaggio dalla psiche primitiva a quella moderna.
Venuto a conoscenza dell'esistenza della grotta grazie a un articolo sul New Yorker, Herzog ne rimase soggiogato al punto da chiedere, e ottenere, il permesso di entrare nella grotta, il cui accesso è rigidamente regolamentato e riservato solo a un fortunato manipolo di selezionatissimi studiosi, per girare un documentario.
Regista visionario quanti altri mai, potente interprete del tema del rapporto fra natura e cultura, con un forte senso del mistero e del sacro, Herzog si cala nel buio di Chauvet armato di una tecnologia non professionale e di uno sguardo sorvegliatissimo e attento. La sua nuda cronaca nasce dalla consapevolezza che, per raccontare questo luogo, sia sufficiente accompagnare alle immagini un resoconto scarno che si attiene ai fatti, alle persone e alle cose, senza aggiungere altro, tanto è potente quello che nei meandri di queste caverne è nascosto e l'effetto che ha su chi lo avvicina.
Le pitture di Chauvet, che sorgono dal buio di un ambiente minerale di incredibile suggestione, lasciano senza parole e senza fiato.
Un corteo di animali in movimento - leoni, cavalli, bisonti, tori, rinoceronti, mammut, cervi – sfila
ipnoticamente, come in sogno, ad accendere le pareti di pietra, assecondandone curve e linee, prendendo vita dalla luce riflessa, come in una sequenza misteriosa e antichissima che lo spettatore percepisce, in modo scioccante e inaspettato, impressa a fuoco nel proprio dna. Di questo, nel film, dà testimonianza un giovane archeologo, uno dei primi che ha visitato Chauvet, quando racconta di aver provato una tale emozione nel scendere per alcuni giorni consecutivi nella grotta da aver cominciato a sognare ininterrottamente leoni (come in Il vecchio e il mare di Hemingway), vivi e dipinti, e dover sospendere le visite per trovare la calma e il tempo di elaborare le emozioni e le visioni interiori che le pitture avevano suscitato in lui.
Mentre accompagna lo spettatore sempre più profondamente, verso il mistero della caverna, e di chi, uomini e animali, l'ha percorsa in un tempo inimmaginabile, Herzog riflette in presa diretta, osservando le mirabili figure impresse sulla roccia. Parla di alcune tracce, fra le moltissime lasciate da orsi immensi ed esseri umani che mai qui, però, abitarono, ma solo dipinsero. Osserva quelle di un fanciullo e di un lupo, le une accanto alle altre, chiedendosi che rapporto vi fosse fra i due: se il lupo inseguisse il ragazzo, se il lupo e il ragazzo camminassero insieme legati da amicizia, o se i loro due passaggi fossero separati nel tempo, e contigui solo spazialmente, ma separati dall'abisso dei secoli.
Insieme ad archeologi, speleologi, studiosi di arte primitiva, Herzog discorre e medita sugli uomini che in questa caverna lasciarono, oltre che pitture, le tracce rosse del palmo delle loro mani che di loro portano tratti fisici unici, inalterati a distanza di millenni. Racconta che due caratteristiche del pensiero di questi artisti-sciamani furono la fluidità e la permeabilità: la prima, identificata con la capacità di trascorrere da una dimensione all'altra, di percepirsi di volta in volta uomo, animale, albero, pietra, senza barriere a separare l'umano dal mondo organico e inorganico; la seconda, la capacità di passare dalla dimensione del visibile a quella dell'invisibile, dalla realtà al regno dei morti e alla trascendenza, senza stacchi e fratture, ma in un continuum coerente e organico.
Due attitudini di cui oggi, più che mai, l'uomo contemporaneo sente la nostalgia e la necessità profonda, come via di salvezza, sia spirituale sia ecologica. Questo documentario straordinariamente toccante e denso, affronta i temi dell'origine e dell'infanzia dell'uomo, della sua natura ed essenza, della miracolosa capacità umana di riflettere il mondo nello specchio della mente e di rappresentarlo, creando la Bellezza.
Raccontando Chauvet, Herzog illumina le radici e le origini dell'arte di cui queste pitture sono la testimonianza più antica: immagini che irrompono nel tempo ciclico naturale portando alla luce il miracolo della coscienza e del pensiero.
E colpisce profondamente come questi, nel momento in cui sorsero e si manifestarono, lo fecero confusi inestricabilmente con la dimensione della Bellezza (quel concetto di “confusione”, come “conoscenza bella” , “condizione in cui trovare la verità”, che Hillman mette a fuoco in relazione alla presenza di Afrodite e alla dimensione estetica nel saggio La giustizia di Afrodite), confermando come questa nasca dal contatto fra lo sguardo attento della coscienza umana e la realtà. Una testimonianza potentissima, magistrale del ruolo che le immagini e la loro creazione (e la scoperta, attraverso le immagini, della Bellezza), hanno avuto nell'evoluzione e nella storia del pensiero e della cultura.
3 commenti:
Che segno meraviglioso! Grazie vedere certe immagini mi fa capire che un modo per rimanere immortali c'è ed è il disegno sarà banale questa mia considerazione ma è quello che ho pensato osservando questi animali ritratti su parete da uomini venuti al mondo prima di noi.
Ma il documentario non esiste in italiano? Sarebbe fantastico farlo vedere a scuola!
Perché? Non si può farlo vedere in lingua originale sottotitolato? La versione che è andata nelle sale cinematografiche era così.
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