giovedì 5 aprile 2012

Que viva Terciopelo!

La febbre delle novità è un malanno inevitabile, anche per gli editori. E se non ci si limita a buttar fuori forsennatamente e a casaccio titoli nuovi per presidiare gli scaffali, ricorrendo, anziché alla capacità di fare libri, a trucchetti come grandi nomi ed effetti speciali, non c'è dubbio che quella della novità sia un'arte complessa. Complessa perché richiede di mantenere, per esempio, un equilibrio fra sperimentazione di territori mai esplorati e approfondimento di tendenze intraprese, abbandono di aree ormai esaurite e riproposta di pietanze ancora nutrienti.
Quando nelle risposte a chi ci manda, illustratori e autori, materiale in valutazione, scriviamo: “I progetti (le illustrazioni, i testi ecc.) che ci sottopone, tuttavia, non mi sembrano adatti al nostro catalogo” alludiamo esattamente a

questo complesso equilibrio, che poi è quella cosa, che a tutti risulta incomprensibile fuorché all'editore medesimo, che si chiama “linea editoriale”. Più che conoscerla razionalmente, l'editore la fiuta, usa molto l'istinto per individuarla, oltre che, naturalmente, conoscenze e competenze maturate nel tempo. E certo poi nella linea editoriale entrano gusti e interessi in costante cambiamento e tuttavia fondati su radicati principi e salde fedeltà. La linea editoriale è una cosa difficile da descrivere e razionalizzare, ma balza agli occhi con discreta evidenza quando si prende in mano un catalogo. E infatti uno dei momenti più emozionanti, per l'editore, è quello in cui, da un anno all'altro, esce il catalogo nuovo. Guardandolo, l'editore tira le fila di un anno di lavoro, perché il catalogo nuovo ne rende conto spietatamente: ti fa un riassunto che è tutto fatti e niente teoria.

Hai di che gioire o di che disperarti senza aver la possibilità di contartela su. Nella linea editoriale di cui ti dà conto il catalogo c'è il presente, c'è l'immediato passato e ci sono gli inizi: puoi valutare la coerenza del tuo operato, ma anche capire quanto hai saputo ricercare, esplorare, quanto hai saputo osare e scommettere, senza però deragliare e farti rapire da inconsistenti tendenze, rimanendo fedele alle tue idee.
Noi, come Topipittori contiamo, certo, sulle novità, e a queste ci dedichiamo con concentrazione e impegno, ma sicuramente abbiamo sempre contato, e continuiamo a contare, sul catalogo. E infatti il nostro catalogo in libreria continua a vendere: delle vendite costituisce a tutt'oggi poco meno del 50%. Il che significa che i titoli del passato continuano ad avere una vita e questo ci sembra una cosa positiva.

Perché, se uno lavora con cura a realizzare i suoi titoli, non si capisce bene perché poi nel giro di qualche anno questi debbano misteriosamente perdere di valore o di senso.
Il catalogo, oltre alle vendite in libreria, gode anche di un'altra fonte segreta di vita e nutrimento: la vendita dei diritti all'estero. Non c'è quasi niente che dia più soddisfazione a un editore che riuscire a vendere all'estero i diritti di titoli che sono in catalogo già da qualche anno. A noi, fortunatamente, questo sta capitando.
Al punto che, su certi libri, ci siamo resi conto che si è creato più interesse ora rispetto a quando sono usciti. Come se i tempi fossero dovuti maturare, come se fosse stato necessario far decantare le cose e attendere, perché qualcuno riuscisse a “vederli” davvero.

È, questo, il caso di un libro a cui siamo legati: Velluto. Storia di un ladro, di Silvana D'Angelo e Antonio Marinoni, che, uscito nel 2007, ha trovato immediatamente un coeditore francese, ma è negli ultimi due anni che ha conosciuto una clamorosa esplosione di edizioni estere: coreana; tedesca; messicana, fresca fresca di stampa; e olandese di prossima pubblicazione.
Ricordo quando un editore ci disse che il libro era bello, ma nel suo paese non avrebbe potuto essere pubblicato perché il volto del ladro Velluto era evidentemente quello di un maghrebino e dunque il libro avrebbe potuto essere passibile di accuse di razzismo, essendo il protagonista un ladro e mettendo perciò in cattiva luce l'etnia di appartenenza. Rimanemmo interdetti: Velluto? Maghrebino? Nessuno prima di allora se ne era reso conto. Nemmeno chi l'aveva creato.
Fu inutile, tuttavia, cercare di spiegare, assicurare che non c'era stata alcuna intenzione razzista, protestare che Velluto, fra l'altro era un ladro che non rubava, perché gentiluomo, amatore d'arte e fine decifratore di atmosfere, dunque intimamente poeta. A nulla valsero le proteste. Però fu in quel momento che ci rendemmo esattamente conto di cosa significhi vendere un libro all'estero: di come ogni cultura abbia griglie proprie, molto difficili da comprendere e molto difficili da oltrepassare.

E di che gran lavoro ci vuole per diventare credibili, per essere guardati con attenzione, per guadagnarsi la fiducia. Velluto, poi, è uscito anche in quel paese che l'aveva guardato con diffidenza. Perciò: que viva Terciopelo. Historia de un ladròn!

2 commenti:

elillisa ha detto...

Posso fare una domanda?
E spero di non essere fraintesa, il libro a me piace e molto.
E' solo una curiosità.
Perchè non avete scelto di farne un silent book? Cosa vi ha spinto a dare a Terciopelo delle parole "scritte" oltre a tutta una storia abbondantemente illustrata?
E' stata anche quella una scelta editoriale?
Ripeto: mera curiosità.
Grazie.

Topipittori ha detto...

@Lillisablue, domanda legittima, nessun timore. La ricchezza delle immagini di "Velluto", a nostro avviso, racconta una storia. Il testo ne racconta un'altra, completamente diversa. La qualità narrativa del libro secondo noi nasce dall'intreccio della trama visiva e di quella verbale. Le sole immagini non avrebbero toccato, da sole, tanti punti importanti di questa vicenda e del personaggio. Così come il solo racconto non avrebbe potuto raccontare il luogo e le infinite suggestioni che lo pervadono, espresse invece dalle tavole, fittissime di riferimenti. Certo, si tratta di una scelta editoriale: tutto quello che riguarda il libro, nel dettaglio, lo è.