Prima dei Mook, abbiamo conosciuto le loro creature: pesci, uccelli, coccodrilli, e un elefante di pezza deliziosamente floscio e grande come un bambino, che avremmo rubato se non fosse stato per un residuo senso di decenza e di rispetto verso il padrone di casa, proprietario dell'oggetto del desiderio. Che poi è Matteo Schubert, architetto che ha arruolati gli adorabili Mook per la Medateca di cui, forse ricorderete, abbiamo parlato qui. Davanti ai pesci realizzati dai Mook per Medateca, abbiamo rotto ogni indugio. Cosa stavamo aspettando per conoscerli? In quattro e quattr'otto l'incontro è stato combinato. I Mook, che sono friulani, ma stanno a Roma a loro agio come il baco nella ciliegia, nel bellissimo quartiere Pigneto, di passaggio a Milano sono venuti a trovarci.
I Mook, ovvero Carlo Nannetti e Francesca Crisafulli. |
Dopo due minuti chiacchieravamo tutti insieme allegri come merli, al punto che di lavoro ci siamo praticamente dimenticati di parlare. Così si è reso necessario un secondo incontro a Roma, qualche mese dopo. Non che a Roma le cose siano andate molto diversamente. Intanto, qualche tempo ha preso l'esplorazione del loro spazio: una bottega su strada meravigliosamente, selvaggiamente e insieme ordinatamente stipata di ogni ben di Dio: gambe, occhi, zampe, mani, pinne, creste, becchi, code e molto, molto altro ancora... Un campionario di forme pronte all'assemblaggio, raccolte amorosamente in anni di attenta e appassionata ricerca su spiagge, strade, greti, case e ogni sorta di luoghi e spazi possibili.
Anche per oggi non si vola. |
Perché i Mook, al secolo Carlo Nannetti e Francesca Crisafulli (più Blu, peloso nume tutelare della bottega), sono scultori, assemblatori, incisori, stampatori, grafici, illustratori, designer... Tuttavia, quel che ci siamo detti in questo incontro speriamo abbia gettato le basi per il progetto di un libro molto promettente. In attesa di vederlo prendere forma, abbiamo pensato di farveli conoscere con questa intervista.
I Mook con Blu. |
Barca. |
F - Così il nonno e lo zio apostrofavano Carlo quando era piccolo ed, evidentemente, rompiscatole: “Tu ses un muc!”, che in friulano significa "sei un caprone", testardo e cocciuto! Anche mia nonna mi dava non troppo amorevolmente della “capra”, deve essere un’abitudine del lessico familiare friulano. Così, quando, cercando un nome per il nostro sodalizio ci è tornato alla mente questo, ci è parso perfetto per due testardi come noi: i nonni in fondo avevano ragione.
In seguito, all’ennesima richiesta di spiegazione sul nome, abbiamo fatto ricerche più approfondite per scoprire, con una certa sorpresa, che nel dizionario della lingua friulana muc sta per ululone, un particolare tipo di rospo che, appunto, ulula: in ogni caso sempre un rompiscatole!
Nel vostro lavoro è evidente un grande piacere dell'abilità manuale e artigianale. Che formazione avete?
F - Per entrambi l’ultima tappa della formazione è stato il corso di illustrazione presso l’Istituto Europeo di Design di Roma, dove adesso insegniamo e dove l’incontro con una serie di docenti e professionisti del settore si è rivelato molto più formativo delle tecniche apprese. Io inoltre venivo da una laurea in storia dell’arte medioevale, all’apparenza quanto di più lontano dal lavoro che svolgo oggi, ma che in realtà mi ha permesso di entrare in sintonia con una sintesi iconografica che ancora distingue il mio segno.
Il laboratorio dei Mook. |
La manualità, invece, viene probabilmente da casa: in ambienti diversi io e Carlo siamo sempre stati circondati da qualcuno che usava le mani per produrre il proprio lavoro, che fosse fare il pane o cucire. I nostri giochi d’infanzia sono stati profondamente influenzati da questi contesti e nel nostro immaginario è rimasta l’idea di poter costruire da soli i nostri “giocattoli”.
E se Carlo plasmava la pasta del pane tra i profumi del forno del nonno, io a tre anni mi passavo le dita sotto l’ago della macchina da cucire pur di realizzare da sola il vestito per la mia bambola.
Questa abitudine alla manualità ci ha consentito di imparare tutto il resto da soli, soprattutto per quanto riguarda la lavorazione del legno e del ferro di recupero: a forza di provare e riprovare, fino a trovare il modo migliore per dar vita alle nostre idee.
Dimatteo. |
Sandrino. |
E come Esplorare. Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. Roma, 2010. |
F - “L’arte si fa con le mani. Esse sono prima di tutto organo di conoscenza, ma anche strumento della creazione” scrive Henry Focillon in Elogio della mano. In tempi di cultura digitale crediamo ancora che questa cosa sia vera e che nei gesti delle tecniche del fare si tramandi un pensiero e una memoria di conoscenza.
S come Scarto. Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. Roma, 2010. |
Parallelamente al vostro lavoro creativo, parte del vostro tempo lo occupa l'insegnamento. Da cosa deriva questa scelta?
C - L’insegnamento è venuto un po’ per caso: finito l’Istituto Europeo di Design alcuni dei nostri insegnanti (ora anche carissimi amici) ci hanno chiamati come loro assistenti… e così è ormai da dieci anni che siamo passati dall’altra parte del banco.
E in questi anni abbiamo condotto anche laboratori con i bambini, in situazioni diverse e contesti tra i più disparati, dai musei alle scuole passando per piazze e feste di paese.
Accrocchi e balocchi. Giardino Segreto, Roma 2005 |
Moods, xilografia su legno. |
C – Il rapporto che si crea tra docenti e alunni è sicuramente lo stimolo più forte per continuare a insegnare. Così com’è stato per noi, molti dei nostri allievi sono diventati tra gli amici più importanti: si è così creata nel tempo una sorta di comunità creativa e affettiva, familiare.
La relazione che si crea con gli allievi diventa talvolta un reale punto di scambio creativo e progettuale.
Consideriamo anche una fortuna la possibilità di rivedere continuamente le tecniche classiche, spiegarne i contenuti e la storia, produrre dei progetti, indagare e sperimentare dei laboratori espressivi.
Proprio questi laboratori mostrano quello che è il percorso utile per realizzare un progetto: il processo prassi-teoria, come dice Enzo Mari.
Upsilamba. Libreria, Mirandola, 2010 |
P e Q come Pezzetti e Quadretti. Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. Roma, 2010 |
Cosa ritenete sia imprescindibile passare ai vostri allievi?
C – Ricerca e sviluppo del progetto: che sia un disegno, un libro, un video, un mobile o un giocattolo. L’analisi, o meglio l’auto-analisi su ciò che si produce, saper confrontare e saper leggere con obiettività i limiti e i pregi del prodotto, domandarsi: cosa esprime? perché? Sembra quasi un discorso sull’etica… l’etica dell’estetica. Senza arrivare a parlare di valori, anche se in classe a volte capita, direi che è fondamentale riuscire a vedere il lavorare con le mani, tanto per un bambino quanto per un adulto, e riuscire a vedere un prodotto da cui partire per costruire un progetto. Ecco probabilmente è questo: l’uso della propria creatività e fantasia.
I vostri lavori sfuggono a una definizione precisa: sembrano nascere da un’idea di oggetto come prodotto finale di una quantità di suggestioni, esperienze e competenze, molto diverse fra loro, ma organicamente orchestrate. Cosa vi interessa cercare e sviluppare all’inizio di ogni progetto?
F+C - All’inzio di ogni progetto parliamo molto, ci confrontiamo anche in maniera dura, sui suoi presupposti, sul significato e i contenuti. A volte sono indagini puramente emotive e psicologiche, altre sono sensazioni materiche, percettive. La maggior parte delle volte abbiamo punti di vista diversi, quasi opposti, ma un buon progetto può far coesistere anche elementi opponibili, come ad esempio costruire una scultura con un soggetto come un pesce visto in maniera pop, quasi un toy, ma costruito con un materiale usato, vecchio, che mostri la natura e i segni del tempo.
È fondamentale però che l’oggetto sia un risultato di sintesi, che si legga immediatamente, che porti in sé una propria sincerità, nonostante gli elementi contradditori. Da questo punto di vista, l’ironia ci è di grande aiuto per prendere coscienza e saper prendere-si in giro.
Locandina, stendardo e grafica della mostra Ucci Ucci. Explora Museo dei Bambini. Roma, 2009. |
De mobile, xilografia. |
Da dove viene la passione per gli animali? Cos'è a sedurvi nelle loro forme?
F - Ovviamente, crescendo in provincia, in campagna o vicino al mare, in laguna, da sempre abbiamo avuto contatti col mondo animale.
Carlo ha una collezione di insetti e teschi vari, ne ha studiato anatomia e forme, trovando continue ispirazioni per i disegni e le incisioni. La struttura ossea diventa riferimento costruttivo, quasi un design contemporaneo.
Per me gli animali ci permettono di non dimenticare lo stato di natura. Sin da piccola mi insegue la percezione di essere incastrata in una sovrastruttura socio-culturale che, se pur necessaria, ci porta lontani da quel che siamo, dall’autenticità delle cose. Lo scodinzolio di un cane è felicità unicellulare! Mette in moto sentimenti primordiali. Non si può resistere!
Elastico. |
Pinguini. |
Cosa cercate in un materiale? Quando un oggetto suscita la vostra curiosità?
C - La storia, la memoria, la naturalità del tempo che passa. Vedere in un oggetto, in un prodotto della società civile e della sua cultura, il tempo che passa e i segni che lascia e quindi quanto quell’oggetto d’uso quotidiano assuma con il tempo un aspetto quasi naturale, come la natura si riappropria della materia.
Caccia Grossa. |
Black & White. |
I vostri oggetti hanno una qualità fortemente narrativa. Cosa vi interessa raccontare? E in che modo?
F+C - Il gioco come metodo progettuale. La capacità di giocare nei bambini, l’uso della fantasia come indagine del mondo. Far di questo un lavoro.
Le parole dormono in qualche anfratto del sogno (omaggio a J. Koudelka). Roma, 2009 |
Ucci Ucci. Pinocchio. Explora Museo dei Bambini, Roma 2009. |
Ucci Ucci. Explora Museo dei Bambini, Roma 2009. |
2 commenti:
Amore a prima vista!
bellissima intervista e loro sono poetici!
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