lunedì 15 ottobre 2012

Con una stella fra le mani

Di questo libro, Una stella nel buio, penultima novità del 2012, diremo il meno possibile. Primo, perché il mistero intessuto nella trama del racconto è un elemento fondamentale nella lettura, poiché il senso della storia matura nel fitto intreccio di ipotesi che ci si trova a formulare, leggendo. Secondo, perché ci sembra opportuno affidare alla voce stessa dell'autrice, Lucia Tumiati, scegliendo un brano dal libro, il compito di arrivare a voi, e toccarvi. Nessuno meglio di lei lo può fare. Diremo solo che questo racconto ci è piovuto dal cielo inaspettatamente: avevamo contattato l'autrice per tutt'altro. Il risultato è stato l'arrivo di questa stella nel buio. Singolare è che da tempo stessimo pensando a un libro su questo tema. Lucia ce lo mandò, dicendosi sicura che non fosse la cosa giusta per noi.


Sulle illustrazioni di Joanna Concejo, due parole. Proponendole questo testo, le abbiamo spiegato che a dare corpo alle immagini presenti nel racconto, avevamo in mente un segno rapido che annotasse a margine della pagine appunti visivi: paesaggi, dettagli, personaggi, animali. L'idea, peraltro, ci era venuta anche guardando i quaderni preparatori che lei stessa ha realizzato per alcuni nostri libri. Joanna ha lavorato su questa indicazione con la consueta acutezza e concentrazione, sviluppando lo spunto in una tessitura di brevi, intense visioni: una sorta di sommesso colloquio interiore, di sguardo di un terzo personaggio invisibile che, accanto ai protagonisti, ascolti, rifletta, osservi.
Buona lettura.


Il cielo è pieno di stelle, grandi stelle luminose che sembrano voler scendere sulla terra, a toccarci, a prenderci per mano. Credo che non esista al mondo un cielo stellato più splendente di questo nostro. Mi piacerebbe camminare nei sentieri, con una stella fra le mani, al posto della lanterna. I cammellieri certo sono guidati bene, nel deserto, da questo mare di stelle. 
Quando devo andare a controllare le bestie, per vedere se sono rientrate tutte nei recinti, per vedere che nessun animale da preda sia entrato fra di loro, mi piacerebbe che sui pali del mio piccolo regno ci fossero le stelle. Forse avrei meno paura. Anche perché spesso il vento mi spegne la lanterna e io devo camminare al buio, battendo con il bastone sui sassi, per riconoscere i passaggi, orientarmi, non battere contro gli alberi che mi si parano davanti.

Qualche volta ho visto muoversi delle persone, nel buio della notte. So che i lebbrosi preferiscono girare al buio, perché nessuno li veda, e nessuno giri la testa da una parte per lo schifo e la paura dei loro volti devastati. So che se incontro qualcuno posso bisbigliare uno “scialom” quasi a scongiurare un agguato. 
Per solito nessuno mi risponde, e le ombre scivolano via, misteriose. C'è tutto un mondo di persone che vivono di notte. Ci sono i viandanti, coloro che non chiedono l'elemosina ma si spostano di villaggio in villaggio, rubacchiando nei campi, chiedendo asilo a qualche pastore. Ci sono certi mercanti, che per paura di farsi vedere, di giorno, e di essere derubati, girano la notte, portano sacchi, spingono bestiame, ma foderano anche il bastone di stracci, perché battendo sui gropponi delle bestie non faccia rumore. Poi ci sono i ladri, e i loro occhi scintillano, nel buio, come lampi. Io dico scialom e stringo il bastone. Forse dalla voce essi si accorgono che sono un bambino e mi lasciano in pace. Una sola volta ho trovato un tale che mi ha preso a pedate nel sedere.
«Va a casa, moccioso spione. Altro che
scialom. Te lo do io uno scialom che te lo ricordi per un pezzo» e giù un calcio tremendo.

Ho perso la lanterna. È caduta per terra e si è rotta. Ho mollato il bastone e sono corso a casa, ficcandomi a letto senza dire niente a nessuno.
Se le stelle fossero state sul mio sentiero, non si sarebbero rotte e forse mi avrebbero difeso. Ma un ragazzo non può avere una stella tutta per sé. O almeno così credevo.
Ieri notte sono dovuto uscire per il solito giro di controllo. Arrivato alla curva, dove per solito incontro il mio amico triste, ho visto del chiarore, verso le rocce. Mi sono detto «vado o non vado a vedere cos'è? E se fosse un fuoco? Potrei avvertire i pastori, la gente. Potremmo fare in tempo a spegnerlo prima che devasti le messi che sono ancora nei campi».
Sono avanzato piano, alzando la lanterna per allargare il giro della luce e vedere più lontano. Lui, il mio amico, era seduto in una grotta. Aveva acceso un piccolo fuoco, ed erano le scintille, i barbagli di quel fuocherello che si diffondevano nell'oscurità, facendo come tremare le ombre, tutto intorno.
Lui era lì seduto, e si teneva le ginocchia abbracciate, il mento su di esse. Aveva un rotolo di pergamena, accanto, ma lui guardava il fuoco.
Mi ha sentito arrivare e - sempre tenendo la testa sulle ginocchia - si è girato verso di me, guardandomi senza sorridere, attraverso le scintille.


«Ciao, ho avuto paura - gli ho detto ridendo - meno male che sei tu».
«Paura? - mi ha chiesto - che cos'è la paura?»
«Sembra che tu viva sulla luna e non sappia le cose più semplici. Paura è quando incontri qualcuno, di notte, e non sai se ti prenderà per il collo o ti lascerà tornare a casa sano e salvo».
«Solo questo è paura?»
«Ma no. Paura è tante cose. Non mi dirai che non sai cos'è la paura di buscarne da tuo padre, per esempio. O di non ritrovare la strada che ti riporta a casa o di fare brutta figura, quando il Rabbi ti chiede “la legge”».
Lui mi guarda e sorride. Sembra che mi legga dentro, sembra che, mentre parlo, lui sappia già quello che sto per dirgli.
Mette degli sterpi sul fuoco, che sfrigolano. È bello stare in due amici, davanti alla luce della fiamma. È bello avere degli incontri così, di notte. In realtà non occorrerebbe neppure parlare perché si forma una solidarietà, fra noi due, che sembra nascere dalla terra e dal fuoco, dal silenzio e dalla paura.
«Io non ho mai paura» mi dice, dopo molto tempo, e mi pare che stia confidandomi uno dei tanti, troppi suoi segreti.


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