martedì 20 novembre 2012

Lettera aperta a Stefano Boeri

Aggiornamento (21 novembre, ore 8:39) - Ringraziamo l'assessore Stefano Boeri per aver dato un immediato e gradito riscontro a questa lettera aperta, invitandoci a un incontro/confronto. Vi terremo aggiornati sugli esiti.


Gentile Assessore,
domenica scorsa è terminato BookCity: tre giornate che Milano ha finalmente dedicato al libro. Le iniziative, di cui abbiamo parlato qui, e che ci riguardavano sono state tutte positive: affluenza, interesse, confronto vivace e aperto. Molti sono venuti ad assistere al gruppo di lettura sugli albi illustrati Ci vediamo alle nove da Babar, che per l'occasione si è svolto pubblicamente a Villa Necchi Campiglio, sede d'eccezione, generosamente prestataci dal FAI, da sempre sensibile ai temi della bellezza e dell'arte. Sempre a Villa Necchi, si sono tenuti laboratori e letture sul tema dell'arte: bravi i ragazzi dell'Accademia dei Filodrammatici, che hanno letto ai bambini i libri nostri, di Babalibri e di Carthusia.

E altrettanto brave, le ragazze di Illustrazioni in corso, che intorno all'idea di libro come opera d'arte hanno creato un laboratorio coinvolgente e appassionante. Il convegno che si è tenuto domenica mattina al Centro di Documentazione 0-6, sul tema libri cartacei/libri digitali è stato una sorpresa, per la qualità degli interventi e del pubblico: numerosi genitori, preparati e competenti, bravi a scambiare idee con professionisti del settore ad armi pari sui temi della lettura, dell'intrattenimento, del gioco, dell'educazione. Davvero un incontro prezioso per tutti e per questo ringraziamo l'organizzatrice, Anna Pisapia che, insieme Francesca Archinto di Babalibri, l'ha ideato e ci ha invitati a partecipare.

E, inevitabilmente, data la buona riuscita di questi eventi (interamente finanziati e promossi da chi li ha organizzati, cioè da noi e dagli altri editori di libri per bambini coinvolti), viene da chiedersi: quanto più sèguito avrebbero avuto, se avessero ricevuto più attenzione? Non sono in fondo, un po' occasioni sprecate, se già con il minimo indispensabile dell'informazione, cioè quella che sta in noi fare con la nostra potenza di fuoco limitatissima, hanno successo? Quanto ne potrebbero avere realisticamente se fossero meglio supportate e promosse?



Da questa esperienza sono scaturite alcune riflessioni, che ci fa piacere condividere con lei, Assessore.
In queste rare occasioni milanesi in cui le cose si fanno e si muovono, si riscontra, ogni volta puntualmente, che fame abbia il pubblico di conoscere e avvicinare la letteratura per bambini e ragazzi, cioè di incontri e di eventi di buona qualità, quanto bisogno ci sia di confronto, informazione e formazione. Sono moltissimi i genitori, gli insegnanti, i bibliotecari, i librai, ma anche i semplici amanti della lettura e dei libri, che sono interessati ad approfondire un campo che nel nostro paese continua inspiegabilmente a rimanere una sorta di riserva indiana per esperti, e questo paradossalmente nonostante sia l'unico settore dell'editoria in crescita costante.

Ma evidentemente se a questo settore si attribuisce valore commerciale, gli si riconosce scarsissimo valore culturale. E questo sebbene sia noto a tutti che un paese progredisce quanto più investe sulla formazione culturale, e quindi sulla lettura, rivolta ai bambini e ai ragazzi: fattore di crescita economica potentissimo.
Oggi Il Corriere della Sera ha dedicata una intera pagina alla storia di una sconosciuta signora che, come terapia post-divorzio, ha creato una linea di cioccolatini di successo. Bravissima, niente da dire. Ma quando avremo il piacere di leggere una pagina dedicata a un libro per ragazzi, a un editore, a un autore o a un illustratore altrettanto sconosciuti, ma protagonisti di vicende fortunate e degne di attenzione?

Mai, a stare all'esperienza. Una giornalista di un settimanale mi spiegò un giorno la resistenza della carta stampata a parlare di libri per bambini: «Meglio non parlarne: nei genitori il solo nominare la parola bambini scatena sensi di colpa, e i lettori non devono essere turbati.» Ma davvero è così? Io mi rifiuto di crederci: i numerosissimi genitori che incontriamo nel nostro lavoro sono persone vispe e piene di curiosità, che hanno voglia di conoscere i libri per scegliere sempre meglio quelli che danno in mano ai loro figli.
Che la letteratura per ragazzi sia vissuta come un terreno di lucro, privo di vero valore culturale, spiega la pessima qualità della gran parte dei prodotti correnti, oltre al totale disinteresse e alla sfrontata indifferenza di media e istituzioni nei confronti di questo settore. Un insieme di fattori, questo, che penalizza clamorosamente gli sforzi di chi vi si dedica con determinazione, impegno, caparbietà, editando libri di ottima qualità, che sono, fra l'altro, diventati anche una voce attiva nella bilancia dei pagamenti. Basti dire, per stare solo al nostro esempio, che noi vendiamo i diritti dei nostri libri in tutto il mondo, che abbiamo ricevuto numerosi importanti riconoscimenti internazionali e addirittura una onoreficenza dalla Repubblica Francese per meriti nell'innovazione dell'editoria per ragazzi.

Del fatto che tutto ciò in Italia non interessi a nessuno, ci siamo fatti una ragione. Lavoriamo con le nostre forze, cercando, senza vittimismi, di trovare soluzioni ai problemi oggettivi che quotidianamente incontriamo sulla nostra strada (e sono tanti), ingegnandoci di trovare e utilizzare, creativamente, canali di comunicazione, dialogo e promozione col nostro pubblico, coi lettori, con le scuole, le librerie, le biblioteche.
BookCity è stato una buona idea, anche e soprattutto perché va a riparare quell'onta inaudita che è il totale disinteresse istituzionale per i libri da parte della città per eccellenza dell'editoria: Milano. Basti dire che qui nessuno ha ancora saputo organizzare qualcosa di simile a quella bellissima occasione di scambio culturale e commerciale che è Più libri più liberi, fiera romana della piccola e media editoria, che da anni si tiene a Palazzo dei Congressi (in calendario, a brevissimo).

Le ragioni per cui questo accade, sono tante. A noi sembra che, dopo un glorioso passato sui cui allori fra l'altro Milano ancora vive e prospera, in cui la creatività, l'intraprendenza, l'anticonformismo e l'innovazione sono state curate, seguite, premiate, amate, nutrite (nel campo del design, della moda, dell'editoria, della grafica, del teatro, dell'arte), Milano è invecchiata e lo ha fatto male, irrigidendosi, instupidendosi, e finendo per diventare una città bieca, i cui unici parametri di giudizio sono, ottusamente e cinicamente, il potere, il prestigio mediatico, il successo economico e le relazioni personali. Sembra che questi siano gli unici criteri sulla base dei quali questa città sa organizzare e riconoscere e attribuire spazi, meriti, voce. E questo è gravissimo, perché significa che questa città ha smesso di evolversi e di riconoscere da dove vengono le energie, le idee, il talento autentici. E dove stanno, realmente, i meriti. Certo non è solo Milano a mostrare questi sintomi di senescenza, specie in Italia, ma qui il fenomeno è marchiano e vistoso, soprattutto, ripensando al passato di questa città che un tempo è stata intraprendente, coraggiosa e battagliera e su questo ha costruito la sua fortuna.

Ieri, sul Corriere, abbiamo letto che per la prossima edizione di BookCity si progetta di coinvolgere anche le scuole. Ci sembra una cosa bellissima e condivisibile: questo significa che probabilmente l'anno prossimo si parlerà di più e meglio di libri per ragazzi. Sarebbe auspicabile che fin da subito venissero coinvolti, nella progettazione di questo nuovo evento, gli editori che fanno i libri per ragazzi e, magari non solo quelli grandi e potenti, ma anche tutti gli altri: anche quelli che passano sotto traccia sul palcoscenico dei media, ma sono in quelle case, in quelle bibliotece, in quelle scuole dove la cultura per i ragazzi non è un interesse occasionale e un passatempo distratto.

Illustrazione di Michele Tranquillini dedicata a BookCity, tratta da Corriere.it.

Scuole a parte, comunque, la nostra speranza è che lei e gli organizzatori di BookCity riflettiate molto seriamente sul fatto che i libri per ragazzi, illustrati e non, per piccolissimi o per adolescenti, hanno seriamente a che fare con il futuro del nostro paese, e non solo dal punto di vista commerciale, ma da quello culturale. E vi mobilitiate per dare loro più spazi, più mezzi, più occasioni. Per fare sì che i media sappiano assumersi la responsabilità e la maturità di dare maggiore spazio a questa letteratura, come avviene in molti altri paesi del mondo, anche quelli in cui c'è minor benessere rispetto al nostro. E lo facciate riflettendo soprattutto su un dato: che il pubblico e l'interesse per questi libri e per questi eventi ci sono, eccome. E che mezzi ed energie magari possono essere incanalati con un po' più di coraggio e di lungimiranza verso questo settore culturale, sacrificando qualche minuto e qualche euro alle star dei best sellers che peraltro vediamo dappertutto sulle pagine dei giornali e delle riviste, su tutti gli schermi, per tutto l'anno, fin quasi alla nausea.

Siamo certi che se ritenesse di confrontarsi con noi e con i nostri colleghi editori, ma anche con chi i libri li crea e li promuove (autori, illustratori, associazioni culturali, scuole di illustrazione e di editoria, librai, bibliotecari), troverebbe entusiasmo, disponibilità, disinteressata adesione, competenza e idee.

6 commenti:

Unknown ha detto...

Solidarizzo con voi, avete tutta la mia stima e condivido l'articolo sui miei mezzi, inoltre lo sottopongo all'attenzione dell'ASSOCIAZIONE ILLUSTRATORI.
Un problema importante che ho potuto rilevare è anche che l'illustrazione (con parte grafica e il progetto libro ) un fondamentale aspetto culturale del libro non ha lo spazio a lei dovuto.
Perchè gli Autori di immagini non sono al centro , promossi e pure 'sovvenzionati' quando dovrebbero? Perchè per Autori in italia si intende quasi sempre scrittori ? Non un solo incontro sui 'mestieri' del libro è stato dedicato all'autore delle immagini, a tutti i livelli... Sono stati nominati i grafici al massimo, chi 'confeziona' le copertine dei libri! e gli illustratori, gli artisti, specializzati in hand writing, i paper engineer ( eppure tutti abbiamo un libro POP up in casa) e chi studia e progetta libri ? Insomma come si può ,per tagliare corto, per esempio, parlare di libri in un contesto milanese e non fare almeno un incontro su Munari? Costanza

Unknown ha detto...

Carissimi,
bellissimo post. Vi aggiungo alcuni particolari. Sulle pagine di Repubblica ho avuto la possibilità di esaltare libri per ragazzi di autori praticamente sconosciuti (Patrick Ness), di criticare libri per ragazzi di autori notissimi (Roddy Doyle), di provare a spiegare fenomeni culturali e commerciali internazionali (Peppa Pig). Ma non ci sono molti giornalisti specializzati del mondo dei ragazzi e per questo raramente arrivano nelle redazioni proposte convincenti di articoli pubblicabili. Se c’è una malattia comune, nel nostro paese, è quella del potere. Che sia la soggezione al potere da parte di chi pensa di non averne abbastanza o il suo uso distorto da parte di chi pensa di averne di più di quello che dovrebbe, poco importa. Il potere è tutto. E il bello dei libri per ragazzi è che non generano questo potere reverenziale: né nei lettori, né negli autori, tantomeno negli editori specializzati. Nessuno di “noi” appare potente nella misura in cui viene considerato interessante da gran parte del giornalismo che dovrebbe informarci. Non è così in Inghilterra, dove la Children Literature ha un suo spazio, i suoi esperti (i suoi scandali) e una sua considerazione, anche accademica (si veda il catalogo ragazzi della Oxford University Press). Ma ad avere scarso potere nella vostra città sono tutti i libri. Credo che Milano sia l’unica città d’Europa a non avere una libreria nel suo aeroporto di riferimento (Malpensa). E quindi l’iniziativa di Bookcity andrebbe analizzata con i criteri dell’agiografia. Avete più che mai ragione nell’osservare quanto poco valore culturale abbiano i libri per ragazzi in Italia: alla National Portrait Gallery di Londra i ritratti di Beatrix Potter (autrice di grande successo commerciale) e di Marvin Peake ( illustratore di scarsissimo successo), si trovano accanto a quello di Churchill. I curatori ne hanno riconosciuto il loro valore memoriale indipendentemente dalla notorietà delle loro opere. E credo che il problema sia quindi la nostra diffusa mentalità di contrappone il valore commerciale a quello culturale (all'ultimo festival di Cuneo ero indeciso se prendere come un complimento l'essere stato definito uno scrittore nazional-popolare, cosa che poi ho fatto), e credo che il danno di questa contrapposizione abbia un senso ancora più profondo di quanto voi suggeriate. Il continuo criticare il valore culturale dei successi commerciali dell’editoria per ragazzi, fatto per lo più dall’interno, ovvero dagli stessi operatori, ha fatto passare un messaggio opposto alle intenzioni: se c’era una giusta volontà di individuare la “bellezza”, la “profondità” e la “completezza di valori” di certa produzione per ragazzi e reclamare visibilità (in libreria come sulla stampa), in contrapposizione a prodotti di facile lettura e a volte scarsa consistenza, questa volontà abbia prodotto, per chi è al di fuori del settore, e ne ha osservato la costante crescita di valore, la sensazione che a crescere fossero soltanto i contenuti di più scarsa qualità. E poiché naturalmente così non è, è a questo punto che occorrerebbe quel filtro capace di operare dei distinguo che dovrebbe essere la critica informata. Ma per recuperarla (o formarla, a seconda di quanto siate pessimisti) credo che serva molto di più. Da un lato contenuti e incontri come quelli dei vostri libri (che acquisto spesso a scatola chiusa, pronto a stupirmi per le vostre scelte) da tenersi insieme a quelli, per amor di coerenza, nazional-popolari. Serve una compattezza di intenzioni, e che si cominci a trattare la letteratura per ragazzi come un vero e proprio “genere”. Non perché creda nei “generi” anziché alla Letteratura maiuscola e senza confini. Ma perché serve una maggior consapevolezza di identità, servono valori di riferimento capaci di essere studiati, condivisi, criticati e trasmessi da chi voglia, oggi, giornalisticamente scoprire che cosa significa fare letteratura per ragazzi in Italia. Serve onestà intellettuale sulla capacità di sorprendere e incuriosire lettori di tutte le età. Un caro saluto.

Topipittori ha detto...

Grazie, Costanza, per il sostegno; quanto a Munari, hai assolutamente ragione, tanto più che Munari è esattamente uno dei protagonisti di quel talento milanese del passato che ha trovato riscontro, di cui abbiamo parlato nel post di oggi.

Grazie per il tuo commento, Pierdomenico. Discorso lungo e complesso, che tocca tanti punti. Che il potere non esista in questo settore, ho, ahimé, qualche dubbio. Se ne potrebbe discutere.
Sul nazional popolare: all'inizio della mia carriera di autrice ho scritto per la collana "Le ragazzine" di Mondadori, e con gran divertimento. Questo per dire che non ho nulla contro il genere. Ma da editore mi accorgo che il nazional popolare può diventare un comodo alibi per rifilare al pubblico prodotti mediocri (molto meno costosi per chi li produce), con la scusante che "li richiede il pubblico". E quando si comincia a tirare in ballo il famigerato "gusto della gente" è l'inizio della fine. Viene il dubbio che il pubblico spesso sia un'entità astratta costruita su misura sulle necessità degli editori. La mia esperienza è che quando non si dà al pubblico quello "che richiede", il pubblico si può anche mostrare, a sorpresa, ben felice di scoprire e leggere cose diverse. Con i bambini questo accade spessissimo. Per cui attenzione: siamo noi che stabiliamo barriere definendo a priori "libri per architetti" libri che tutti i bambini sono in realtà in grado di capire, leggere, amare, se qualcuno avesse sufficiente apertura mentale da offrirli loro. C'è un malcelato snobismo nel pensare che alla gente non si possano dare prodotti di qualità, dando per scontato che non li capisca e non li apprezzi.
Sulla questione stampa: indubbiamente qualche articolo di tanto in tanto esce. Questo poco "tanto" però non è sufficiente a creare un fondamento condiviso di conoscenze. Ogni giorno con questo blog cerchiamo di condurre un discorso coerente e documentato sulla cultura che riguarda i ragazzi, cercando di farla uscire dall'ambito specialistico e di fare rete. Le competenze sulla letteratura per ragazzi, non saranno diffusissime, ma ci sono, forse i giornali e i giornalisti dovrebbero cercarle nei posti giusti. So anche di molti giornalisti che propongono alle loro testate di scrivere articoli sul tema, ma che raramente ricevono feedback positivi.

Unknown ha detto...

Cari Topipittori, mi unisco a questi intelligenti commenti con una semplice osservazione, quasi di pancia: ho dovuto leggere due volte la presunta motivazione alla resistenza della carta stampata al parlare di libri per bambini.
Il senso di colpa, se mai dovesse sorgere, dovrebbe essere per NON parlarne! Ma quanto ci mette a entrare attivamente nei cervelli adulti l'idea che più si istruiscono i bambini più la società migliora? Quando questo smetterà di essere visto come investimento a lungo, lunghissimo termine, appunto troppo lungo perché venga preso sul serio, e inizierà a essere un fatto concreto, tangibile giorno dopo giorno, nel quale versare tempo, risorse e finanze?
Guardate, io (come credo voi!) non mi stancherò mai di parlare di loro, a loro e con loro.
Michela (www.heykiddo.it)

eros miari ha detto...

Buongiorno Topi, e complimenti.
Plaudo al post lettera aperta, perché mi sembra bello e ben indirizzato e giusto nel momento e nei modi.
Per “momento” mi riferisco solo in parte al day after di BookCity, quanto al momento che viviamo in questo nostro Paese, che forse sarà anche stato Bel, un tempo, ma che adesso mi sembra molto più Mal.
Siamo qui ogni giorno ad assistere ai piagnistei del Malpaese e a domandarci, tra una primaria e l’altra, quel che si può e si potrebbe fare.
Ho l’impressione che sarebbe ora, invece, di spostare la discussione su quel che si DOVREBBE fare. Tra potere e dovere c’è una discreta differenza.
A me pare questo il cuore della lettera dei Topi: Cari signori dell’autorità qui – come qualcuno ebbe a dire – o si fa l’Italia o si muore. E l’Italia, stavolta, si può fare solo dall’educazione. E i libri, e la lettura, e le illustrazioni, e il bello, e il favoloso, e il gusto, e il ragionare, e il fantasticare, e il sognare, e l’eccetera eccetera, sono parte piena di questa parola così pregna e bella: educare.
Per questo credo che la lettera dei Topi, al gentile assessore, sia la lettera giusta, alla persona giusta, nel momento giusto. Cari voi, avete bisogno di noi. Dei Topi e degli altri. Potete, possiamo, ripartire solo da qui.
È vero, in giro ci sono tante belle figure di genitori intelligenti, sensibili, curiose, anche sapienti. Ma ce n’è anche di meno... incoraggianti. E sono le loro piste a essere alimentate, seguite, coccolate, nutrite dall’industria dei bisogni indotti. Industria che ha i suoi rivoli (non sono mai fiumi in piena) anche nel mondo dell’editoria e di quella per ragazzi.
Qualche giorno fa, a Sesto Fiorentino, in un incontro dedicato alle letture dei preadolescenti, il sociologo Stefano Laffi diceva della biblioteca come di uno dei pochi luoghi dove il consumo non sia obbligo di legge. Credo che si possa dire, pari modo, dell’editoria per bambini e ragazzi come di uno dei pochi esercizi economici in cui ci si impegni allo sfinimento per restituire al consumatore, ogni centesimo della sua moneta, in termini di forme e di parole e di qualità e di figure e di materiali e di idee e di chi più ne ha più ne metta. Insomma, caposaldo di un’economia davvero necessaria e sinceramente etica come dovrebbe essere ogni economia.
Questo avviene, io credo, tanto con molte delle “cose diverse” di cui scrive Giovanna, quanto con certa parte almeno di quel “nazional-popolare” a cui fa riferimento Pierdomenico.
Per questo mi sembra importante la lettera aperta: perché quale che sia la letteratura di cui stiamo parlando (la discussione è stata e sempre sarà lunga), è giusto che si lanci il messaggio: avete, hanno, abbiamo BISOGNO di noi. La questione educativa è la questione centrale di questo paese e nel bel mezzo della questione educativa, come i semi che stanno nel torsolo della mela, ci sono anche i semi della lettura, dei libri per bambini e ragazzi, degli editori, dei bibliotecari, dei maestri che insegnano a leggere e ad amare la lettura.

Topipittori ha detto...

Grazie, Michela. Devo dire, a difesa della categoria, che la giornalista in questione mi ha riferito questa motivazione, desolata e imbarazzata. Io penso che le teste che in questo paese non cambiano sono quelle di chi comanda e decide. Io mi sto convincendo però che le cose stanno cambiando rapidamente, anche per chi detiene il potere, che se ne accorga o no. Con i nuovi media a disposizione, la carta stampata non detiene più il potere dell'informazione che aveva prima. Mi accorgo spesso che i cambiamenti sociali e culturali avvengono prima che i media se ne accorgano e sappiano trovare il modo di raccontarli. Insomma, oggi anche il potere sta subendo un radicale mutamento. Non è più così monolitico, e si trova sempre più spesso impegnato in un serrato confronto con la società civile. In questo senso secondo me, oggi la responsabilità di ognuno è fondamentale per cambiare le cose, perché può avere un peso che prima, materialmente, non aveva.

Ciao Eros, e grazie per il tuo intervento. Sì, il senso del nostro intervento è quello che indichi. A dire il vero, l'autorità avrebbe sempre bisogno di noi (ovviamente non intesi come Topipittori) cittadini. Sciaguratamente questa è una di quelle cose di cui nel corso dei secoli spesso si è dimenticata. Ultimamente l'amnesia è a livelli di guardia. E la voce, perciò, si alza. Nella speranza di un cambiamento che appare in effetti non più procrastinabile e forse sta già avvenendo, che ce ne si accorga o no.
Nella nostra lettera abbiamo prima di tutto parlato di letteratura per ragazzi e di promozione della lettura, nei termini più generali e onnicomprensivi. Mi sono ben guardata dal parlare delle nostre scelte editoriali e del tipo di letteratura che incontra il nostro gusto, cose che poco c'entrano con il tema. Perché certo non era questo il luogo né il momento di mettersi a discutere di alto e basso, ammesso che abbia senso. Ho parlato, sì, di libri di ottima qualità in relazione al disinteresse dei media, e questo è un fatto, dato che sono i più disattesi. Non per nulla questa lettera nasce dall'indignazione di un piccolo editore e dubito che sarebbe potuta nascere da un grande. Il perché mi sembra chiaro. Quanto alla spazzatura che inquina gli scaffali delle librerie, anche quella purtroppo è un dato di fatto. La buona letteratura per ragazzi può essere raffinata o nazional popolare, e sono d'accordo, ma è ben distinguibile, e va distinta lucidamente, a colpo d'occhio, dalla spazzatura che è tanta e purtroppo ha parecchia voce in capitolo, in libreria e fuori.