giovedì 14 marzo 2013

La capacità di vedere


Abbiamo conosciuto il lavoro e la figura di Giulio Gianini in occasione della mostra torinese dedicata a lui e a Emanuele Luzzati. In quell'occasione Antonella Abbatiello, che conosceva Gianini molto bene per aver a lungo collaborato con lui e Luzzati, ci inviò il link a un documentario su Picasso girato da Gianini che ci sembrò bellissimo (il link oggi però non è più attivo). Per questo abbiamo chiesto a Carla Rezza Gianini di far conoscere meglio a noi e ai nostri lettori il lavoro di questa straordinaria persona. La ringraziamo di cuore per questo articolo che ci ha regalato.

[di Carla Rezza Gianini]

Mio marito Giulio Gianini era grande appassionato di cinema fin da ragazzo. Nel primo dopoguerra, non ancora ventenne, si era costruito da solo un perfetto proiettore 35 mm e organizzava proiezioni di film mai visti prima per i suoi amici, giovani quanto lui, nel garage di casa a via Monti Parioli. Garage che era diventato negli anni successivi, per molti affermati professionisti e cineasti, una sorta di luogo mitico nel quale ricreare il ricordo della giovinezza e di quegli anni straordinari. In quella Roma, “stupenda e misera” come cantava Pasolini, che cercava ancora di chiudere le ferite della guerra, ma percorsa da straordinari fermenti ed energie, si caricava le pizze 35 mm a bordo di una bicicletta sgangherata e le trasportava dai depositi dei distributori su per la collina dei Parioli, per poi proiettarli a una platea quanto mai variegata, che andava dai semplici coetanei alle figlie del Re dell’Afghanistan, da Alida Valli a Luchino Visconti. Molte pellicole americane, ma anche tanto cinema francese, come tutto René Clair e l’amatissimo Les Enfants du Paradis.

Al banco d'animazione.

Dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti come scenografo, si specializzò invece sin da subito e praticamene da autodidatta nella pellicola a colori, della quale fu pioniere in Italia, tanto da vincere per questo il Nastro d’Argento nel 1952, a soli 25 anni. Il prestigioso riconoscimento gli valse una serie di incarichi come direttore della fotografia, prevalentemente nel campo del documentario d’arte, realizzati assieme ad alcuni importanti registi italiani. In quegli anni, Giulio era uno dei pochi direttori della fotografia italiani a saper valorizzare le pellicole reperibili in Italia a prezzi contenuti, cioè la Ferrania e la Gaevert, ottenendo colori straordinari e luci bellissime. Pur essendo una persona che non si vantava facilmente, raccontava con un po’ di civetteria che era stato lui ad aver insegnato in quegli anni l’uso del colore a molti colleghi che sarebbero poi diventati famosi.

Al banco d'animazione.

Parallelamente aveva però sperimentato per divertimento dei filmati di animazione sia con il suo amico pittore Gian Berto Vanni, sia con l’altro amico regista, Citto Maselli, anche loro entrambi giovanissimi. Il pallino dell’animazione veniva dritto dritto dalla sua passione per il teatro dei burattini per il quale allestiva spettacolini casalinghi, obbligando parenti, amici e le adoranti domestiche a fare da pubblico: ho ancora in casa meravigliosi burattini realizzati con grande maestria da suo padre Carlo, geniale ingegnere meccanico, con un evidente coté ludico che condivideva con il suo figlio più piccolo. La passione per la musica, invece,  gli veniva dalla madre Marcella, appassionata melomane e discreta pianista.

 Tavola originale di Luzzati per Pulcinella

Cinema, burattini, musica: ecco qui gli ingredienti che ne faranno uno dei maestri dell’animazione mondiale. Ma restiamo ancora ai documentari, ai quali Giulio – tranne sporadiche eccezioni nel mondo del lungometraggio – rimarrà fedele per tutta la sua carriera di cineasta dal vero. In quegli anni, perciò, gira una quantità di documentari di tutti i tipi, a sfondo sociale, industriale, paesaggistico e artistico. In questo contesto, si pone il documentario del 1954 su Picasso per il quale il regista Luciano Emmer lo chiamò come direttore della fotografia: uno dei primi girati a colori sull’opera del grande maestro.

Con Picasso.

Un’esperienza ovviamente indimenticabile: erano decine gli episodi grandi e piccoli che raccontava, dalla meraviglia di vedere l’artista al lavoro, non soltanto per creare come per magia le sue ceramiche o i suoi dipinti, ma anche per fabbricare con gli oggetti più disparati i giocattoli per i figli piccoli Claude e Paloma; oppure le visite di cortesia agli altri “mostri sacri” che abitavano nei dintorni; e ancora, Picasso che affrescava davanti alla macchina da presa un’intera parete con “La Guerra e la Pace”, uno dei momenti più emozionanti del lungo documentario. Ma certo il rimpianto della sua vita fu quello di non aver creduto fino in fondo alla proposta che Picasso stesso gli aveva fatto: di realizzare un’animazione assieme, quando aveva saputo della sua passione per questa arte. Finite le riprese e rientrato in Italia, la sua timidezza gli impedì di tornare alla carica e di riparlarne con l’artista.

Gianini e Luzzati nel boccascena di un teatrino disegnato per il Flauto Magico.

È in quegli stessi anni che Gianini conosce Luzzati: incontrando lo scenografo, gli chiese subito di dipingergli il boccascena del suo famoso teatro dei burattini. Luzzati, che condivideva la stessa passione, non se lo fece ripetere due volte e fu così che nacque la loro collaborazione. Perciò, non stupirà nessuno sapere che i loro primi tentativi d’animazione avevano per protagonisti proprio i personaggi della Commedia dell’Arte, come Arlecchino e Colombina, ma soprattutto Pulcinella, quel piccolo eroe scapestrato che è stato il compagno-totem di tutta la loro carriera.



Giugi e Lele, come tutti li chiamavano, avevano due personalità molto diverse e perciò complementari, unite da una grande sintonia, che passava attraverso canali misteriosi, noti solo a loro due. Li accomunava la straordinaria abilità artistica e professionale, oltre a una componente di entusiasmo candido e disarmante, una profonda amicizia, un grande senso dell’humour e quella incapacità di prendersi troppo sul serio, anche quando erano ormai diventati famosi. Il loro lavoro aveva una forte componente giocosa e il grande divertimento era trovare assieme le soluzioni per procedere con le sequenze da girare. Soggetto, sceneggiatura e regia erano opera comune; dopo di che, l’uno realizzava con semplicità e freschezza una stupenda e coloratissima tavolozza a cui l’altro dava vita, lasciando inalterato il messaggio dell’artista, sia in termini cromatici che poetici.



Ma va anche aggiunto che Giulio era un grande tecnico del mezzo cinematografico: non si limitava ad animare, ma partiva proprio dalle basi, nel senso che la sua verticale con il banco d’animazione li aveva costruiti personalmente, anche con l’aiuto di una serie di improbabili ma indimenticabili fornitori di materiali tecnici, con rivendite al mercato di Porta Portese. Inoltre, comprava la pellicola adatta, la girava e poi la sviluppava a Cinecittà, rompendo le scatole a tutto lo stabilimento finché non otteneva esattamente i colori che diceva lui. Dopo, montava tutto il materiale, sincronizzando le colonne. Insomma, faceva da solo il lavoro di cinque o sei persone diverse. Anche se il suo più grande talento era la capacità di “vedere” in anteprima la sequenza che poi avrebbe girato: la tecnica del decoupage va fatta principalmente sotto la macchina da presa e non con un “foglio macchina” prestabilito, come nella tecnica tradizionale a fasi, dove un operatore può filmare le sequenze sui fogli numerati. Competenze che ha trasmesso nel corso di una lunga carriera al Centro Sperimentale di Cinematografia, a numerosi giovani animatori italiani, per i quali non era solo un maestro, ma una sorta di fratello maggiore, con il quale si stabiliva un rapporto paritario e a volte di duratura amicizia.

Con Leo Lionni, negli anni Settanta.

Giulio ha realizzato anche cinque piccoli film con Leo Lionni, straordinario grafico e illustratore. Collaborazione connotata da una bella amicizia e dalla reciproca ammirazione di due tecnici-creativi. Se infatti Lionni era in grado di raccontare poeticamente e illustrare magistralmente le sue moderne fiabe, la grande esperienza di Giulio come direttore della fotografia a colori e il suo innegabile talento di animatore – cioè inventore di movimenti – riuscivano a convertire quelle immagini in puro linguaggio cinematografico.
Il loro rapporto professionale, o meglio l’incontro tra due perfezionisti maniacali, era estremamente diverso da quello tra Giulio e Lele Luzzati. Qui esisteva una sorta di teatro nel cinema, dove molto era lasciato all’improvvisazione di entrambi e che sinteticamente si può riassumere con la frase “elogio dell’imperfezione”.

 Durante la lavorazione del film È mio di Lionni.

Con Leo, che invece metteva a disposizione le impeccabili immagini dei suoi libri, il lavoro era contemporaneamente più semplice dal punto di vista grafico ma molto più impegnativo sotto l’aspetto tecnico.  Provate voi a disegnare, ritagliare e animare decine, centinaia di zampette di rana, codine di topo e pesciolini rossi… È quello che ci trovammo davanti io e Antonella Abbatiello, loro amica e preziosa collaboratrice, a sua volta raffinatissima disegnatrice, quando mi accinsi a disfare, assieme a lei, quanto rimaneva dello studio di Gianini e Luzzati. Fu lei che, con infinito amore e una precisione maniacale degna dei suoi maestri,  ricompose molte delle tavole d’animazione da cui sono stati tratti i cinque film di Lionni.

 Immagine di Lionni per il film Guizzino.

Raccogliendo questi pochi ricordi di vite altrimenti intensissime, mi viene in mente come tutti questi vari mondi interagissero fra loro, apportando ognuno tesori inestimabili all’altro: così, dal mondo del cinema romano nacquero i titoli di testa dei film su Brancaleone di Monicelli, o l’attenzione che Fellini dedicò sempre al duo Gianini-Luzzati; e viceversa, tutto il mondo teatrale, musicale e culturale che ruotava intorno a Luzzati (qui i nomi sono troppi per elencarli) ha sempre svolto un ruolo di primo piano nei loro film; mentre Lionni, che nella sua vita straordinaria aveva incrociato le strade artistiche di quasi tutto il secolo scorso, venendo a contatto con molti autori di grande fama (come Alexander Calder, per il quale Giulio girò uno dei suoi ultimi documentari, mai montato e inedito, nel 1970), apportò la sua insuperabile esperienza di cittadino del mondo.


Brancaleone di dottor_h

2 commenti:

Anna ha detto...

Stupenda la storia di questa avventura umana e artistica. Grazie mille. Che tempi! Che stature...

elillisa ha detto...

Ho preso proprio questa mattina in biblioteca delle animazioni di Gianini-Luzzati. I bimbi sono entusiasti.
(e brave le mie bibliotecarie, ma che ve lo dico a fare?!?, che accanto ai DVD di cartoni mettono anche questo materiale!)