lunedì 27 gennaio 2014

Come nelle ballate

[di Francesca Zoboli]

Qualche tempo fa, sono andata a vedere Murmure des murs spettacolo di grande fascino e raffinatezza, con meravigliose invenzioni nelle scenografie e nei costumi. In parte me lo aspettavo, poiché si tratta della regia di Victoria Thierrée-Chaplin, e chi di voi ha visto i suoi spettacoli ne sa qualcosa.
Questa volta ciò che più  mi ha colpito è stata la struttura narrativa, diversa dai precedenti spettacoli,  che in genere procedevano per 'stanze', con temi diversi e non collegati.



Qui, infatti, c’è una storia che viene raccontata utilizzando degli elementi scenografici e dei personaggi che continuano a ritornare e a ripetersi però scompaginando schemi logici di comprensione basati su tempo e luogo, introducendo in ogni nuova situazione varianti che ne modificano il significato.
Il racconto si svolge tutto attraverso immagini e senza parole.



Inizia da una situazione molto comune, dove una ragazza  (la brava protagonista, Aurelia Thierrée-Chaplin) è alle prese con un trasloco, fra scatoloni, plastiche e oggetti vari inizia a farsi strada un clima misterioso e sospeso: scatole che si muovono da sole, un fantasma/animalone in pluriball, uomini senza volto vestiti di polvere.


Tutto si svolge tra interni dove sono protagonisti muri scrostati, le cui vecchie tappezzerie sanno raccontare storie; esterni di case che ricordano Magritte; finestre illuminate da cui entrano ed escono i personaggi a cui si sono aggiunti nel frattempo un ballerino; un traslocatore/acrobata; uno strano essere con testa da uccello che sembra uscito da un dipinto di Max Ernst.
Di scena in scena, la storia si arricchisce di suggestioni nuove e destabilizzanti, puntando in una direzione decisamente onirica e fiabesca.

Appena a casa, ho visto sul tavolo il bellissimo libro di Blexbolex Ballata, edito da Orecchio Acerbo, e subito il collegamento con lo spettacolo è scattato.

Il meccanismo narrativo mi è sembrato identico e condotto con lo stesso ritmo. Un racconto basato su immagini molto semplici, accompagnate da una didascalia che le definisce in una sola parola, come negli abecedari infantili, è basato sulla ripetizione di alcuni elementi base: la casa, la scuola, la strada, lo sconosciuto, il tragitto, il ponte, la foresta, i briganti.

In ogni capitolo, a queste “figure” se ne aggiungono altre, (la strega, la tempesta, l’ingorgo, il labirinto, le ombre, il presagio ecc); cambiano le posizioni e le relazioni tra loro e, come in un mazzo di tarocchi, anche i significati, giungendo a una complicazione narrativa quasi caotica che spinge il lettore a tornare indietro, a ricostruire percorsi e biforcazioni che portano la storia ad aprirsi a ventaglio con un ritmo sempre più incalzante.




La grande sorpresa è quando le didascalie di accompagnamento spariscono, sostituite da uno spazio vuoto fra la virgola e il punto, che invita il lettore a scriverle, cosa che mi ha ricordato la sensazione che si prova da piccoli, quando si impara ad andare in bicicletta e improvvisamente non ci sono più le rotelline di sostegno.




In questo modo, il lettore ha la possibilità di costruirsi i propri personali percorsi mentali. Così, la storia contenuta in questo libro ognuno di noi l’avrà in mente un po’ diversa dagli altri. Come nelle ballate, appunto.



1 commento:

Unknown ha detto...

Il tuo sguardo è sempre illuminante Francesca!
Io invece non ho molto amato lo spettacolo di teatro perché, al di là degli effetti scenici, l'ho trovato narrativamente povero e poco emozionante. Ma guardarlo dal punto di vista della struttura di una ballata è interessante!