mercoledì 12 febbraio 2014

Leggere come si vuole

[di Valentina Colombo]

Su questo blog, qualche tempo fa, vi abbiamo parlato dell'uscita di Viperetta. Racconto illustrato per i piccoli, una riedizione di un'opera di Antonio Rubino pubblicata dall'editore milanese Scalpendi. Martino Negri, che ha studiato l'opera di Rubino e che ha curato questa edizione, arricchendola con un interessante saggio, ha poi proseguito il suo percorso di riscoperta di questo prolifico autore e illustratore; ed è grazie a lui e al sempre attento Scalpendi che oggi ho tra le mani La scuola dei giocattoli, in libreria da qualche mese.
Si tratta di un cofanetto di sette volumetti in brossura, sei dei quali sono i veri e propri racconti di Rubino, mentre l'ultimo è un saggio sulla storia di questo singolare progetto editoriale, datato 1922: un progetto promosso dall'Istituto Editoriale Italiano, teso all'educazione dei bambini attraverso il gioco.

Spesso la parola "scuola" è, per i fanciulletto, sinonimo di castigo; per lo meno essa si presenta alla sua immaginazione come antitetica alla parola "giuoco". 
Non sarà più così...

Queste le parole usate dall'editore per presentare la collana, che aveva una veste grafica singolare. Si trattava infatti di una vera e propria scuola di cartoncino, o legno dipinto, dentro cui venivano sistemati i vari libri, nelle varie stanze.

Quando i libri sono cilindricamente chiusi, cioè arrotolati, la umoristica figura che vi è dipinta sulla copertina prende la forma e le sembianze di un fantoccio [...]. Cosicchè i sei fascicoli appaiono a tutta prima sei piccole creature...

L'idea di associare l'apprendimento scolastico con il divertimento della lettura, o con il gioco, è cosa che per noi ha una lunghissima tradizione in ambito pedagogico. Il valore educativo intrinseco dell'atto ludico è ormai riconosciuto e, in maniera più o meno forte, sostenuto da psicologi e studiosi di tutto il mondo. L'associazione fra apprendimento, crescita e la lettura, invece, ha il suo esempio più classico nella letteratura di formazione.
Rubino, invece, sceglie una forma, quella dell'albo e della storia illustrata, assolutamente diversa, che fa più l'occhiolino ai manuali, agli abecedari, ai numerari. Come in Viperetta, romanzo di formazione sui generis, anche qui Rubino si avvale dei codici propri dell'arte simbolista, surrealista, della pubblicità e della sua ironia per creare una tipologia di albo che non abbia il mero compito di insegnare una nozione, ma che, come si vede sfogliando le pagine, crea una dimensione di lettura della realtà assolutamente peculiare.
Belle lettere è un "sillabario a figure per leggere senza sforzo"; seguono Numeretta, O di Giotto, "nomenclatura figurata degli oggetti più familiari; Bestie per bene, Io asino primo, "racconto educativo" e Re Bifé, "deliziosa fiaba". Un percorso che parte in modo strutturato, dalle lettere, per passare ai numeri, per arrivare alla parola scritta a definire gli oggetti; e poi gli animali e il loro mondo, una lezione di morale e una fiaba. Un itinerario che porta alla lettura di quest'ultimo racconto, attraverso un progressivo maturare delle capacità immaginative e interpretative, dalla semplicità della lettera dell'alfabeto alla complessità della decodifica dell'illustrazione in relazione al testo.
I libretti sono capolavori di immagine, parola, sorpresa e straniamento, con una componente di rivoluzionaria, piccola follia in ognuno di essi.


In Belle lettere il Re Alfabeto presenta agli alunni delle elementari, all'ora del tè, le sue figlie-lettere. Un abecedario in rima per imparare il Be-a-Ba dove Rubino usa il carattere, l'emotività nascosta nel suono delle singole lettere per costruire veri personaggi:

Tonda, grassa, soddisfatta
a dire vero un poco sciatta,
ecco l'O che ha sempre il cuore
pieno zeppo di stupore.




Numeretta passa ben presto da una lezione illustrata sui numeri a una lezione sulla geometria e il disegno e, di pagina in pagina, scopriamo un intero mondo popolato di personaggi come "L'Omo curvo", "Ottusello" e i "Poligoni ottentotti".

O di Giotto però è il racconto che più di tutti colpisce per immaginario, contenuti, e perché è un inno all'immaginazione infantile. La scrittura passa dalla rima dei precedenti libri alla prosa, e le immagini si prendono pagine intere, cacciando il testo in posizione subalterna. E chiave di volta è proprio la O, che da lettera diventa immagine, personaggio: un pittore capace di rappresentare il mondo. La rappresentazione però è "sbagliata", deformata, ma proprio per questo, affascinante:

Perché, se le figure fossero state giuste, i bambini guardandole avrebbero detto: - Queste figure assomigliano alle cose che si vedono tutti i giorni.- E si sarebbero annoiati.

O di Giotto non scrive realmente, ma disegna con le "lettere dei piccoli", le figure, "che si possono leggere come si vuole".


E fa un libro che fa molto dispetto ai grandi "che mancando di fantasia, non sanno leggere che le parole scritte".
Bestie per bene, Io asino primo e Re Bifè sono tre racconti il cui lato didattico non è di lineare interpretazione.



Nel primo, Salinzucca Sperindeo si mette in testa di educare gli animali alla civiltà, e ci riesce, ma alla fine torna a casa con un pezzo di naso in meno, azzannato dal leone; Io asino primo non è un libro solo per bambini capricciosi, ma anche per i loro genitori oziosi; e Re Bifè, affetto da risata incontenibile, deve riappropriarsi del pianto sincero per salvare il suo regno.
Cosa resta di questa finalità educativa, scolastica, che animava le intenzioni dell'editore? Come declina Rubino i messaggi da trasmettere?



Le sue immagini parlano il linguaggio delle arti grafiche e della pubblicità, della fotografia e delle avanguardie. I suoi testi sono acuti e divertenti, e su tutto aleggia un velo sinistro. Non c'è la limpidezza e l'univocità dei testi didattici tradizionali, non ci sono le morali e nemmeno le regole.

Si tratta piuttosto di operette in cui Rubino crea un universo immaginifico e simbolico che stuzzica la mente dei ragazzi, dimostrando un certo gusto per il macabro (la morte di O di Giotto), il grottesco (il morso del leone a Salinzucca Sperindeo) e attingendo al repertorio della favola e ai suoi codici.
Il segno di Rubino si unifica nella linea, nel colore, nella geometria. Questa relazione strettissima tra il segno della parole - la parola scritta, con le sue curve e stampatelli, a capi e maiuscole - e il contorno delle figure è la vera ricchezza iconografica di questo lavoro.

Tutto è un continuum in cui l'illustrazione non è più soltanto tale, ma è parte integrante del racconto, componente decisiva alla definizione delle storie e dell'architettura delle pagine.


Ripensando anche all'espediente della casa-scuola in cartone in cui i libri venivano venduti, viene da dire che questo teatro di personaggi quasi psichedelici rappresenti una satira ben più arguta e sofisticata, una specie di commedia della vita. Emerge in particolare in Io asino primo, dove i genitori borghesi non fanno una bella figura, ma è sottesa a tutto questo progetto. Come se l'idea di "educazione" e di didattica fosse in qualche modo costantemente sottoposta a satira, una satira arguta e non subito evidente, ma velata, nascosta nelle storie. Un invito a non esagerare con dogmi e regole, che infatti vengono sempre messi in discussione e in parte ribaltati, ma partendo dall'ordine e dalle nozioni, ritrovare una capacità di critica e apprendimento attraverso sguardo, lettura, parola.

E rileggendo i sei libri in quest'ottica si può dire che l'invito sia a un apprendimento lontano dagli adulti, lontano da convenzioni e facili risposte, a farsi domande e cercare risposte oltre la realtà "noiosa", a portata di mano e occhio, per creare una visione del mondo che è forse l'unico vero modo per diventare un po' più grandi, dentro e fuori scuola.

1 commento:

Cristina Berardi ha detto...

Voglio questo libro!
(Caso eccezionale in cui si può usare la parola voglio)