mercoledì 28 maggio 2014

Ho camminato per il sentiero che sai

[di Marta Iorio]

Io spero sempre che le cose che creo abbiano un tale effetto di compiutezza su chi le guarda da non indurlo a chiedermi di aggiungere parole.
Poi ricordo a me stessa che quando nei miei lavori non usavo la parola, a me la parola alla fine mancava…
Sentivo il bisogno di raccontare con tutti e due i modi, parole e immagini insieme.
E qui, vi racconto, con parole e immagini la storia di una mia illustrazione.
Quest’anno ho realizzato l’immagine–manifesto del Trento Film Festival, il festival cinematografico sulla montagna che è arrivato alla sua 62°edizione.
La montagna e il paesaggio in generale, sono molto presenti nei miei ultimi lavori, ed è proprio quello che m’interessa attualmente.
Giulia Mirandola lo deve aver intercettato bene, e così mi ha coinvolto in un progetto di illustrazione e paesaggio, che data la sua specifica attinenza al tema “montagna” arriva negli uffici della direzione del Festival.
Quando mi è stato richiesto di creare l’immagine del Festival 2014 (a parte l’enorme emozione), ero anche un po’ tesa per il carico di aspettative che può avere il pubblico di un festival cinematografico così antico e specializzato.
Insomma, un pubblico che di immagini ne capisce qualcosa, e che di montagne e paesaggi ha potuto goderne la bellezza in abbondanza. Poi questa edizione del Festival aveva come paese ospite il Messico, e la direzione avrebbe avuto piacere di introdurlo nell’immagine-manifesto.
Io di questo paese potevo raccontare molte cose, perché ormai, per ragioni autobiografiche, fa parte della mia vita, è culla delle mie esperienze più forti.


Trento film festival, però, non ha solo un focus specifico sulla montagna, perché allarga il suo pensiero all’uomo, alla donna, alla società e all'ambiente, dando voce a un’idea di comunione fra esseri viventi e paesaggio.
Così, ho deciso che il mio manifesto sarebbe stato un paesaggio: di questo ne ero certa, anche se sapevo in partenza di cominciare con una scelta quasi banale, che però rispondeva al mio intuito, alla mia ricerca artistica degli ultimi tempi e a un certa complessità di aspetti descritti dalla committenza.
Avrei realizzato l’immagine di un paesaggio autentico, di una terra perturbante, dura, con un tramonto che brucia, ma tinto di rosa… Così mi sono messa al lavoro, e tutto è incominciato con questo.

Secondo schizzo: Una collana sacra.
I segni primari del lavoro che andavo a realizzare sono racchiusi in questi due schizzi realizzati in una sera di grande stanchezza. Li mostro, perché nella loro incompiutezza e nel loro segno pesante e disordinato mi hanno suggerito molte strade.
Al primo è legato una lettera tratta dal libro Lettere a un Lupo di Giuliano Scabia
La riporto perché è una delle cose più belle, e avrei voluto che queste parole si tramutassero nell’immagine.

Caro lupo,
è notte. È il mio compleanno. Voi bestie, credo, non sapete cosa sono i compleanni. Né gli anni. Né il tempo. Il secolo chiamato Novecento è finito. Quello in cui siamo entrati si chiama Duemila. Dalla rete del tempo scandito dagli orari non usciamo più – in ansia di perderlo, il tempo. 


Primo schizzo: "Caro Lupo..."
Solo i bambini, gli smemorati e le bestie resistono fuori – almeno in apparenza.
Un temporale da ore si aggira qui sopra – tuona e lampeggia. Da mezz’ora è cominciata piano piano la pioggia. Sono le due. Adesso esco e vengo nel bosco, forse ti incontro di nuovo.
 

Ho camminato per il sentiero che sai fino alla tua radura. Ero più ombra dell’ombra. Non ho avuto paura. Pioggia, fulmini e tuoni. L’acqua entrava sotto i vestiti, nelle scarpe, giù per i peli. Ero bagnato come voi bestie. Come è bella la notte. Piano piano mi son sentito di diventare un altro. C’è un altro, in noi, che quando si rivela può fare paura. L’hai visto il mio altro mentre camminava in cerca di te? Lui si che è fuori dalla rete del tempo quando entra nelle sue visioni e magari vede te.


Il secondo è legato a un sentimento di devozione nei confronti della natura. Una collana sacra su una montagna. E da qui sono partita.

Blui di Prussia.

Questa bottiglietta di pigmento blu di Prussia, invece, è stata fondamentale perché volevo che nel manifesto ci fosse tutta l’intensità di questo colore. Tutta la gamma dei blu che ho usato hanno un po’ di blu di Prussia.
Poi ho iniziato una ricerca fra i libri di storia dell’arte e foto della mia libreria, di tutte quelle vedute che a suo tempo mi avevano fortemente suggestionato.

Pieter Bruegel, Cacciatori nella Neve.

Da questa immagine ho preso spunto per creare due piani: uno, ravvicinato, in cui ci fosse la figura umana e un secondo che desse spazio al vero paesaggio. E infatti i primi schizzi più dettagliati avevano questa impostazione.




















Un ex voto.

Questo ex voto è stato importante per un fatto cromatico: di queste tinte di azzurro, verde, spezzate dalla luce solare avrei fatto largo uso. E così…


Questa era la prima immagine completa. pensavo fosse quella giusta, e anche alla direzione piaceva, ma era in conflitto con il testo e il logo del festival che avrebbe preso gran parte del manifesto.
mentre lavoravao ho sempre avuto in mente l’Allegoria Sacra di Giovanni Bellini, il suo cielo, i passaggi netti dalle tinte scure a quelle chiare. Così ho deciso che anche il mio cielo avrebbe dovuto avere questa atmosfera di mutevolezza, che mi ricordava anche l’alba di Città del Messico.

Giovanni Bellini, Allegoria Sacra.
Con questa foto in bianco e nero ho capito che nel mio lavoro avrei aggiunto la presenza umana, la figura di un’esploratrice (che si trova in basso sulla destra del manifesto definitivo). Il soggetto di questa foto è in contemplazione, è immerso nel paesaggio, è in fusione totale con il mondo. Ecco io volevo quella cosa lì.


Anche questa foto di Yuri e Lucy al vulcano mi ha sempre raccontato molte cose.


Così la seconda proposta era questa: una scalata in notturna, un momento prima dell’alba quando si parte per tragitti lunghi, in luoghi caldi. Qui, mi convinco che la mia montagna sarà un vulcano.


Ma questa proposta non convinceva la direzione del festival perché troppo cupa. Allora ho lavorato a un ulteriore bozzetto in cui ho rivisto in generale l’impostazione spaziale e ho realizzato la prova definitiva. Almeno pensavo fosse quella definitiva… Il manifesto di Trento Film Festival 2014 sarebbe stato questo: la direzione e la giunta si erano riuniti e avevano approvato.

Dal bozzetto...
...alla realizzazione a colori.

Incontrai anche l’art director dell’Agenzia Plus di Trento che cura l’immagine coordinata e tutta la grafica del Festival. Il manifesto era deciso, salvo qualche piccolo dettaglio fastidioso di adattabilità di una immagine lavorata interamente a tempera gouache.
Però, il mio lavoro di ricerca nei giorni seguenti non si è fermato, anche se in realtà avevo terminato, sfogliavo spesso il mio libro sugli alberi.


Facevo studi di animali… e iniziavo a trovare parecchi difetti a quello che pensavo fosse un lavoro chiuso. Così mi sono rimessa al lavoro, dicendo a Luana Bisesti, direttrice del Festival : «Luana, non credo di essere contenta.» Lei forse avrà pensato tra sé: «I soliti comportamenti ossessivo-compulsivi degli artisti!» Ma questo non l’ho mai saputo... Invece mi ha dato piena fiducia e mi ha fatto lavorare fino all’ultimo giorno utile prima di consegnare il lavoro per la lavorazione grafica e la stampa.


Questo poi è stato il risultato che soprattutto ha convinto molto me, e credo abbia soddisfatto pienamente la direzione.


No so se al pubblico in generale abbia suscitato qualcosa di speciale, anche se questa è sempre la mia speranza. Perché se non fosse così, vederselo in ogni angolo della città sarebbe abbastanza problematico!

Dimenticavo: sul fondo svetta, per la prima volta nella storia dei manifesti di Trento Film Festival, un vulcano: montagna viva per eccellenza!

C’è un ultimo ingrediente che non avevo aggiunto, che è una intenzione indiretta, perché fa parte di un bagaglio esperienziale, di cose che ognuno ha vissuto, che entrano nel proprio lavoro. Quelle sono i propri passi, una strada, il tempo dedicato al guardare un luogo, e con il guardare, capire.
Il sentirsi con le spalle scoperte quando si è “lontano”, e di quel lontano, incominciare ad avere fiducia.

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