Questo post è la dimostrazione della potenza di Facebook: abbiamo visto delle cose belle, abbiamo mandato un messaggio a chi le aveva fatte, ci siamo incontrati, abbiamo visto come faceva a fare quelle cose belle e abbiamo pensato che potesse interessare a molti. Quindi eccoci qui. Godetevelo.
[di Mara Cozzolino]
Mi chiamo Mara Cozzolino. Ho sempre amato disegnare, l'ho sempre fatto fin da bambina (lo so, dicono tutti così). Però, dopo il Liceo Scientifico mi sono iscritta alla Facoltà di Matematica (anche se in verità avrei voluto iscrivermi all'Accademia di Belle Arti). Dopo due anni ho dovuto lasciare l'università e ho iniziato a lavorare: un noiosissimo lavoro d'ufficio. Mi consolavo con corsi, prima di disegno poi di incisione, e poi di illustrazione: a Torino con Francesca Chessa, poi a Sarmede e Macerata con, rispettivamente, Linda Wolfsgruber e Carll Cneut.
Sono passata da un noioso lavoro di ufficio all'altro con il desiderio e la speranza prima o poi di fare quello che mi piaceva e 4 anni fa ho preso coraggio e mi sono licenziata: non voglio sembrare lamentosa, sono stata fortunata e sono sicura che tutto quello che ho fatto mi ha portata a questo preciso punto e magari, se le cose fossero andate diversamente, non avrei mai scoperto la xilografia giapponese e non sarei qui a scrivere tutto ciò.
Il mio primo vero incontro con la xilografia giapponese è stato in Giappone, cinque anni fa, durante un viaggio desiderato e sognatissimo; per la precisione nel Tokyo National Museum nel parco di Ueno reso ancora più incantevole dai sakura, i ciliegi ornamentali, in fiore; e nonostante fuori dal museo mi aspettasse lo splendore della natura e dei giapponesi vestiti a festa con coloratissimi kimono (per loro la fioritura dei ciliegi è una cosa seria), nulla mi ha impedito di trascorrere più di due ore col naso incollato al vetro delle stampe originali di Hiroshige, Hokusai e Utamaro con stupore e meraviglia inaspettati.
Era quindi abbastanza inevitabile che quasi un anno dopo avendo scoperto che alla Edinburgh Printmakers si tenevano dei workshop di “Xilografia giapponese con inchiostri all'acqua” io mi iscrivessi immediatamente; ma non potevo certo immaginare fino a che punto sarei rimasta inesorabilmente folgorata da questa tecnica.
In realtà sono sempre stata affascinata da tutte le tecniche di stampa incisoria e in particolare ho praticato per tanti anni la calcografia; l'idea di non lavorare direttamente sul foglio o sulla tela ma su una matrice, di non avere mai perfettamente il controllo di quello che sta succedendo e di dover aspettare la verifica delle prove di stampa, unita all'idea del multiplo di poter realizzare un disegno in più “copie” tutte originali, mi è sempre piaciuta. Oltre a questo amo l'artigianalità che c'è dietro un'incisione: il processo creativo seguito semplicemente dal fare: il cervello che quasi si riposa e le mani che ripetono sempre gli stessi gesti, precisi e antichi.
Ma tornare a casa con tantissima voglia di sperimentare tutto quello che avevo appena imparato si è rivelato più difficile di quanto avessi previsto. Non è stato semplice all'inizio iniziare a lavorare da sola, partendo dalle cose più semplici come bagnare la carta al giusto grado di umidità, alla oggettiva difficoltà a reperire i materiali base con cui lavorare. Nessun negozio vendeva gli strumenti, i pennelli, le carte washi bellissime che avevamo usato per stampare. Credo che solo la mia caparbietà (leggere testardaggine) e la passione che mi aveva colto inevitabile mi abbiano fatto continuare, da principio con strumenti sbagliati, buttando via matrice dopo matrice, provando a stampare su carte di recupero.
Qualche mese dopo però arriva il primo vero colpo di fortuna. A Kyoto si tiene la “Prima conferenza internazionale sulla Mokuhanga” (“mokuhanga” è il termine giapponese per xilografia: “moku” si traduce con legno mentre “hanga” con stampa): io lo scopro per caso sul blog di un'artista americana e scopro anche che ci sono ancora posti disponibili e soprattutto trovo un volo ultimo minuto a prezzo stracciato; ci penso un giorno e una notte e poi decido che, sì, è un segno del destino e, sì, devo andare.
E qui c'è la prima svolta; vedo lavorare i maestri giapponesi con la tecnica tradizionale, vedo persino stampare la famosissima “Onda” di Hokusai, ma soprattutto incontro artisti da tutto il mondo e trovo per la prima volta a portata di mano gli attrezzi del mestiere: gli strumenti per intagliare, per stampare, il legno e la carta, la tanto sospirata carta di gelso giapponese! Di quei tre giorni a Kyoto, quattro anni fa, ricordo ancora tutto, persino la colazione della prima mattina, ma soprattutto tutte le dimostrazioni che ho avuto la fortuna di vedere, le camminate per la città, l'afa, la semplice e pura gioia che mi ha accompagnato ogni istante.
A questo punto non avevo più scuse, tornata a casa avevo gli strumenti, e avevo una voglia pazzesca di mettermi alla prova: ho iniziato a intagliare, blocco dopo blocco sono nate le prime timide e goffe stampine. Ho lavorato senza interruzione ogni giorno, e quando l'anno dopo sono stata selezionata per partecipare ad una residenza di 40 giorni a spese del governo giapponese alle pendici del Monte Fuji con altri cinque artisti provenienti da diverse parti del mondo, ho avuto la mia prima vera e ufficiale conferma: ero sulla strada giusta.
La residenza in Giappone mi ha fatto crescere molto, rientrata a casa ho iniziato a fare piccole mostre, a tenere i primi corsi: il mio entusiasmo per la “mokuhanga” non è diminuito di una virgola e io continuo ad essere follemente innamorata come quando ci siamo incontrate la prima volta.
Se devo razionalizzare questo amore incondizionato per la xilografia giapponese, tra quelli che per me sono i pregi oggettivi di questa tecnica c'è senza dubbio il lato ecologico; una pulizia che non avevo mai personalmente riscontrato in nessuna tecnica di stampa, e l'utilizzo esclusivo di strumenti antichi che in nulla sono cambiati rispetto al passato: sia il processo che gli attrezzi del mestiere sono infatti rimasti pressoché invariati rispetto all'epoca delle stampe di Hokusai e Hiroshige: il disegno viene scomposto per colori e riportato sulle matrici in legno che vengono intagliate a mano, e in seguito inchiostrate una ad uno con colori ad acqua. Le matrici si stampano poi su carta di gelso e la pressione per stampare non viene data da un torchio, ma manualmente con uno strumento di bambù chiamato baren: è un processo molto gentile e delicato e se si vogliono ottenere colori intensi è necessario ripetere gli stessi passaggi più volte, stratificando i colori pian piano.
È anche un processo dai tempi di lavorazione lenti a cui forse molti non sono più abituati: ci vuole tempo e pazienza per produrre un lavoro, sia in fase di intaglio che di stampa vera e propria: è sicuramente una tecnica che non va esattamente al passo con la velocità della tecnologia moderna, e per me anche questo è parte integrante del suo fascino.
Oltre alle particolarità specificamente tecniche, però, ho trovato due cose particolarmente interessanti nel mio percorso: la prima è come la mia iconografia sia completamente cambiata. Se le prime stampe riflettevano abbastanza il mio vecchio modo di disegnare e creare, mi sono accorta che man mano che miglioravano le mie capacità di intaglio e stampa, cambiava il mio interesse verso i soggetti che volevo rappresentare: la xilografia mi dà dei limiti tecnici sia in fase di intaglio sia di stampa che mi piace provare a superare ogni volta un pochino di più.
La seconda è che dalla mia primissima stampa quattro anni fa non ho mai avuto delle pause o dei silenzi creativi: anzi è capitato stesso che mentre stavo lavorando ad una stampa iniziassi ad avere idee per la successiva ed ora é completamente assente quel senso quasi di svuotamento che mi capitava sempre alla fine di un lavoro, o il panico da foglio bianco che mi assaliva ogni volta che dovevo cominciarne uno nuovo.
In Italia purtroppo non siamo ancora in molti a lavorare con la xilografia giapponese anche per la difficoltà a reperire i materiali: io sono dell'idea che più siamo a praticarla, più conosciuta diventa, e meglio sarà per tutti: l'idea dei corsi e dimostrazioni che faccio è iniziata soprattutto con questo intento, e con la voglia di condividere il mio amore con più persone possibile.
[… e adesso: pubblicità]
I prossimi corsi di Mara Cozzolino si terranno:
a Milano, presso Stamperia 74\b, (telefono 02 48 30 2441):
18 e 19 aprile;
30 e 31 maggio;
13 e 14 giugno
A Torino, presso la galleria Internocortile, (telefono 011 66 18 841):
9 e 10 maggio.
[di Mara Cozzolino]
Mi chiamo Mara Cozzolino. Ho sempre amato disegnare, l'ho sempre fatto fin da bambina (lo so, dicono tutti così). Però, dopo il Liceo Scientifico mi sono iscritta alla Facoltà di Matematica (anche se in verità avrei voluto iscrivermi all'Accademia di Belle Arti). Dopo due anni ho dovuto lasciare l'università e ho iniziato a lavorare: un noiosissimo lavoro d'ufficio. Mi consolavo con corsi, prima di disegno poi di incisione, e poi di illustrazione: a Torino con Francesca Chessa, poi a Sarmede e Macerata con, rispettivamente, Linda Wolfsgruber e Carll Cneut.
Sono passata da un noioso lavoro di ufficio all'altro con il desiderio e la speranza prima o poi di fare quello che mi piaceva e 4 anni fa ho preso coraggio e mi sono licenziata: non voglio sembrare lamentosa, sono stata fortunata e sono sicura che tutto quello che ho fatto mi ha portata a questo preciso punto e magari, se le cose fossero andate diversamente, non avrei mai scoperto la xilografia giapponese e non sarei qui a scrivere tutto ciò.
Il mio primo vero incontro con la xilografia giapponese è stato in Giappone, cinque anni fa, durante un viaggio desiderato e sognatissimo; per la precisione nel Tokyo National Museum nel parco di Ueno reso ancora più incantevole dai sakura, i ciliegi ornamentali, in fiore; e nonostante fuori dal museo mi aspettasse lo splendore della natura e dei giapponesi vestiti a festa con coloratissimi kimono (per loro la fioritura dei ciliegi è una cosa seria), nulla mi ha impedito di trascorrere più di due ore col naso incollato al vetro delle stampe originali di Hiroshige, Hokusai e Utamaro con stupore e meraviglia inaspettati.
Era quindi abbastanza inevitabile che quasi un anno dopo avendo scoperto che alla Edinburgh Printmakers si tenevano dei workshop di “Xilografia giapponese con inchiostri all'acqua” io mi iscrivessi immediatamente; ma non potevo certo immaginare fino a che punto sarei rimasta inesorabilmente folgorata da questa tecnica.
In realtà sono sempre stata affascinata da tutte le tecniche di stampa incisoria e in particolare ho praticato per tanti anni la calcografia; l'idea di non lavorare direttamente sul foglio o sulla tela ma su una matrice, di non avere mai perfettamente il controllo di quello che sta succedendo e di dover aspettare la verifica delle prove di stampa, unita all'idea del multiplo di poter realizzare un disegno in più “copie” tutte originali, mi è sempre piaciuta. Oltre a questo amo l'artigianalità che c'è dietro un'incisione: il processo creativo seguito semplicemente dal fare: il cervello che quasi si riposa e le mani che ripetono sempre gli stessi gesti, precisi e antichi.
Ma tornare a casa con tantissima voglia di sperimentare tutto quello che avevo appena imparato si è rivelato più difficile di quanto avessi previsto. Non è stato semplice all'inizio iniziare a lavorare da sola, partendo dalle cose più semplici come bagnare la carta al giusto grado di umidità, alla oggettiva difficoltà a reperire i materiali base con cui lavorare. Nessun negozio vendeva gli strumenti, i pennelli, le carte washi bellissime che avevamo usato per stampare. Credo che solo la mia caparbietà (leggere testardaggine) e la passione che mi aveva colto inevitabile mi abbiano fatto continuare, da principio con strumenti sbagliati, buttando via matrice dopo matrice, provando a stampare su carte di recupero.
Qualche mese dopo però arriva il primo vero colpo di fortuna. A Kyoto si tiene la “Prima conferenza internazionale sulla Mokuhanga” (“mokuhanga” è il termine giapponese per xilografia: “moku” si traduce con legno mentre “hanga” con stampa): io lo scopro per caso sul blog di un'artista americana e scopro anche che ci sono ancora posti disponibili e soprattutto trovo un volo ultimo minuto a prezzo stracciato; ci penso un giorno e una notte e poi decido che, sì, è un segno del destino e, sì, devo andare.
E qui c'è la prima svolta; vedo lavorare i maestri giapponesi con la tecnica tradizionale, vedo persino stampare la famosissima “Onda” di Hokusai, ma soprattutto incontro artisti da tutto il mondo e trovo per la prima volta a portata di mano gli attrezzi del mestiere: gli strumenti per intagliare, per stampare, il legno e la carta, la tanto sospirata carta di gelso giapponese! Di quei tre giorni a Kyoto, quattro anni fa, ricordo ancora tutto, persino la colazione della prima mattina, ma soprattutto tutte le dimostrazioni che ho avuto la fortuna di vedere, le camminate per la città, l'afa, la semplice e pura gioia che mi ha accompagnato ogni istante.
A questo punto non avevo più scuse, tornata a casa avevo gli strumenti, e avevo una voglia pazzesca di mettermi alla prova: ho iniziato a intagliare, blocco dopo blocco sono nate le prime timide e goffe stampine. Ho lavorato senza interruzione ogni giorno, e quando l'anno dopo sono stata selezionata per partecipare ad una residenza di 40 giorni a spese del governo giapponese alle pendici del Monte Fuji con altri cinque artisti provenienti da diverse parti del mondo, ho avuto la mia prima vera e ufficiale conferma: ero sulla strada giusta.
La residenza in Giappone mi ha fatto crescere molto, rientrata a casa ho iniziato a fare piccole mostre, a tenere i primi corsi: il mio entusiasmo per la “mokuhanga” non è diminuito di una virgola e io continuo ad essere follemente innamorata come quando ci siamo incontrate la prima volta.
Se devo razionalizzare questo amore incondizionato per la xilografia giapponese, tra quelli che per me sono i pregi oggettivi di questa tecnica c'è senza dubbio il lato ecologico; una pulizia che non avevo mai personalmente riscontrato in nessuna tecnica di stampa, e l'utilizzo esclusivo di strumenti antichi che in nulla sono cambiati rispetto al passato: sia il processo che gli attrezzi del mestiere sono infatti rimasti pressoché invariati rispetto all'epoca delle stampe di Hokusai e Hiroshige: il disegno viene scomposto per colori e riportato sulle matrici in legno che vengono intagliate a mano, e in seguito inchiostrate una ad uno con colori ad acqua. Le matrici si stampano poi su carta di gelso e la pressione per stampare non viene data da un torchio, ma manualmente con uno strumento di bambù chiamato baren: è un processo molto gentile e delicato e se si vogliono ottenere colori intensi è necessario ripetere gli stessi passaggi più volte, stratificando i colori pian piano.
È anche un processo dai tempi di lavorazione lenti a cui forse molti non sono più abituati: ci vuole tempo e pazienza per produrre un lavoro, sia in fase di intaglio che di stampa vera e propria: è sicuramente una tecnica che non va esattamente al passo con la velocità della tecnologia moderna, e per me anche questo è parte integrante del suo fascino.
Oltre alle particolarità specificamente tecniche, però, ho trovato due cose particolarmente interessanti nel mio percorso: la prima è come la mia iconografia sia completamente cambiata. Se le prime stampe riflettevano abbastanza il mio vecchio modo di disegnare e creare, mi sono accorta che man mano che miglioravano le mie capacità di intaglio e stampa, cambiava il mio interesse verso i soggetti che volevo rappresentare: la xilografia mi dà dei limiti tecnici sia in fase di intaglio sia di stampa che mi piace provare a superare ogni volta un pochino di più.
La seconda è che dalla mia primissima stampa quattro anni fa non ho mai avuto delle pause o dei silenzi creativi: anzi è capitato stesso che mentre stavo lavorando ad una stampa iniziassi ad avere idee per la successiva ed ora é completamente assente quel senso quasi di svuotamento che mi capitava sempre alla fine di un lavoro, o il panico da foglio bianco che mi assaliva ogni volta che dovevo cominciarne uno nuovo.
In Italia purtroppo non siamo ancora in molti a lavorare con la xilografia giapponese anche per la difficoltà a reperire i materiali: io sono dell'idea che più siamo a praticarla, più conosciuta diventa, e meglio sarà per tutti: l'idea dei corsi e dimostrazioni che faccio è iniziata soprattutto con questo intento, e con la voglia di condividere il mio amore con più persone possibile.
[… e adesso: pubblicità]
I prossimi corsi di Mara Cozzolino si terranno:
a Milano, presso Stamperia 74\b, (telefono 02 48 30 2441):
18 e 19 aprile;
30 e 31 maggio;
13 e 14 giugno
A Torino, presso la galleria Internocortile, (telefono 011 66 18 841):
9 e 10 maggio.
6 commenti:
complimenti!!! entusiasmo contagioso e tanta bravura! Seguivo il blog di Mara da tempo ed è sempre stata molto generosa nel condividere le sue esperienze. Bravissima!
Brava Mara!
È stato un piacere conoscere te e il tuo lavoro.
Un doveroso ringraziamento va a Paolo, un campione nel creare scambi e connessiosi tra le persone, che mi ha permesso di ammirare dal vero le tue stampe e scoprire che siamo quasi vicine di casa!
Serena grazie! troppo buona mi fai arrossire :)
Rossana mi aggiungo ai ringraziamenti a Paolo che ci ha fatte incontrare (senza considerare l'enorme pazienza avuta durante la gestazione del post); però grazie anche a te che sei venuta fino a Torino per l'inaugurazione!
Mara, sei sempre più brava e ci emozioni sempre ! Martina e Viola
Molto, molto interessante questo post.
Bellissima storia di vita e di artista.
Magnifico!
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