giovedì 10 maggio 2012

Un'ospite di grandissimo riguardo

Chiara Carminati ha vinto il Premio Andersen 2012 come miglior autore. Una notizia bellissima, un premio meritatissimo.
Nel 2009, Chiara ha realizzato con noi Poesie per aria. Lavorare con lei, e con Clementina Mingozzi che del libro ha realizzato le illustrazioni, è stato un regalo. Per un editor misurarsi con testi così raffinati, complessi e interessanti, piccoli congegni ad alta precisione, è un'esperienza preziosa, che offre il massimo della creatività, ma impone anche massimi misura, impegno e rispetto. Un gioco che si gioca insieme all'autore. Poi Chiara ha i doni dell'umorismo e del garbo che rendono facili ogni cosa.
Le poesie che vi proponiamo oggi, per festeggiarla, sono due fra le molte, bellissime, che ha scritto, due fra le nostre preferite (cliccate sull'immagine per leggerle).

Una è tratta dal nostro volume, l'altra da Il mare in una rima di Nuove Edizioni Romane, libro imperdibile anche per le illustrazioni di Pia Valentinis che con Chiara ha collaborato in tante altre occasioni. Entrambe sono dedicate al mare, che a proposito della poesia di Chiara suggerisce alcuni aggettivi: fluidità, trasparenza, movimento, musicalità.
Quando penso a Chiara, mi viene sempre in mente una pagina, letta da studentessa, che il poeta Giovanni Giudici ha scritto in una raccolta di saggi sulla poesia dal titolo, meraviglioso, La dama non cercata (Mondadori 1985), che poi sarebbe la poesia.
La dedichiamo a Chiara, in questa occasione.


La poesia è anche una dama capricciosa e difficile, la nostra coy mistress: con lei non bisogna esagerare nel chiedere, bisogna aspettarsi molto poco per ottenere (e non è detto) qualcosa. E quando e se in noi essa sfarfalla e si manifesta (o non sarà un disperato tichettio?) è da considerarsi un'ospite di grandissimo riguardo in una casa, la nostra quotidianità, abitata da inquilini volgari e taccagni. Questi inquilini, noi stessi, il poeta stesso, faranno dunque bene a tener presente la differenza di livello esistente fra la nobile ospite e la loro fatalmente inopportuna corporeità, la loro talvolta grossolana ansia di concludere, la loro ingordigia di risultato.

Ondas do mar de Vigo
Se vistes meu amigo?


Ecco, vedete, quanto poco chiedeva alla sua poesia l'autore dell'antica
cantìga portoghese, i cui versi continuamente mi tornano alla memoria? Un desiderio semplice, una rima quasi banale: e tuttavia, come la rima fiore-amore che incantò Saba, anch'essa «la più antica del mondo». E tuttavia, la Poesia (scriviamola qui con la maiuscola come se fosse appunto una Dama) ha amato quel poeta ed è ciò che conta, considerando quanto diffuso sia il caso contrario di poeti o aspiranti poeti che, pur amando la Poesia, spesso con sincerità ma alquanto raramente con trasparente purezza di cuore, non ne sono tuttavia corrisposti. Chiedere poco alla Poesia vuol dire non pretendere che essa si pieghi a ciò che noi vorremmo a tutti i costi esprimere: non è lei al nostro servizio, ma noi al suo; può darsi che un giorno sia proprio lei a recarci inaspettato il dono del poema che inutilmente abbiamo finora cercato di scrivere, ma non saremo noi a decidere il momento. 

Chiara Carminati, Pia Valentinis, Il mare in una rima, Nuove edizioni Romane, 2011.
Chiedere poco alla poesia è non gravare sulla sua volatile parola del peso e del ciarpame ridondanti di intenzioni e intenzionalità che (si riferiscano anche al più sincero e generoso dei nostri impegni pubblici e privati) finirebbero così per avvilirsi in volgare letteratura: senza contare che così non si servono un impegno, una causa, ma si disservono. Chiedere poco, cercando di lasciarsi governare da quell'intelligenza poetica (e vorrei dire: intelletto d'amore), che della lingua poetica è insieme postulato e corollario, significa chiedere in realtà l'essenziale: che è l'essere toccati, visitati dalla Poesia. E questo è molto, è tutto; perché il poco di cui parlo è tale soltanto agli occhi del mondo pubblicano e bottegaio dei trafficanti di letteratura. Il molto che la Poesia può darci è un molto assoluto, un molto di utopia, attingibile attraverso quel poco apparente che, reduce dalla lettura di un saggio di Hannah Arendt, mi fa pensare alle modestissime aspirazioni di K., il protagonista del Castello di Kafka: avere un lavoro, una casa, una famiglia, una comunità in cui essere accolto... E tuttavia, analoga a quel poco che alla Poesia possiamo chiedere, «questa modesta intenzione di realizzare i diritti umani è, proprio per la sua semplice essenzialità, il progetto più grande e più difficile cui un uomo possa aspirare».

Complimenti, Chiara.


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