lunedì 4 marzo 2013

Storie su storie su storie su...

Non sempre ci si ricorda da che parte è venuta una storia. Forse perché quando poi questa prende la sua forma definitiva, chi l'ha scritta sostituisce al ricordo degli inizi l'impressione di qualcosa che c'è sempre stato e in quel modo lì. Il che è falso. Non mi ricordo da dove sia arrivata C'era una volta una storia. Rileggendola, oggi, però, mi vengono subito in mente due cose: una è un passo de I cigni selvatici di Hans Christian Andersen (racconto che ci piace molto e che infatti abbiamo pubblicato):

Tutta la notte sognò i fratelli che, di nuovo bambini, giocavano e scrivevano con lo stilo di diamante sulla lavagna d’oro, mentre lei sfogliava il meraviglioso libro illustrato che era costato metà del reame. Sulla lavagna d’oro però i fratelli non tracciavano aste e zeri, come quando erano bambini, ma scrivevano le avventure eroiche che avevano vissuto e ciò che in quegli anni avevano fatto e visto. E anche le figure del libro erano vive: gli uccelli cantavano e le persone uscivano dal libro e parlavano con Elisa e i fratelli. Ma se voltava pagina tutti s’affrettavano a tornare al loro posto per non fare confusione.



L'altra è un passo di Walter Benjamin, dal saggio Sbirciando nel libro per bambini (in Orbis pictus, Emme edizioni, 1981, e oggi contenuto in Figure dell'infanzia a cura di Martino Negri e Francesco Cappa) che parla del libro illustrato di cui scrive Andersen nel brano sopra citato:

In una fiaba di Andersen compare un libro illustrato di valore pari «alla metà del regno». In esso tutto aveva vita. «Gli uccelli cantavano, gli uomini uscivano dalle pagine» per parlare con la principessina, «salvo a tornar dentro in gran fretta non appena lei voltava il foglio, perché non nascesse confusione fra le figure.» Con la stessa dolcezza e indeterminatezza che animano tante pagine anderseniane, anche questa piccola trovata non fa che rovesciare completamente il meccanismo di cui trattiamo.
Infatti non sono tanto le cose a farsi incontro – fuoriuscendo dalle pagine – al bambino fantasticamente alle prese con le immagini, ma è piuttosto il bambino stesso che – guardando – penetra in esse come nube che si appaga dello splendore cromatico dell'universo figurativo. Di fronte al suo libro illustrato egli realizza la tecnica del perfetto taoista: domina la cortina illusoria della superficie, e tra tessuti colorati e quinte variopinte, calca la scena dove vive la fiaba.




Ho finito di scrivere C'era una volta una storia, nel 2009, ma il primo testo risale al 2007. Allora  pensavo che fosse finito in quella forma, ma in realtà ne avevo visto solo una parte. Un po' come  un corpo di cui si vede solo una metà, e che mancasse di tutta l'altra, simmetrica. In quel momento però non avevo una visione così chiara: percepivo che il testo non mi convinceva, senza capirne il perché. Così, è rimasto fermo due anni. Un giorno, non so come, è risaltato fuori. E dopo averne letto qualche riga, improvvisamente ho capito due cose: uno, che quel che mancava era la metà speculare della storia. Due, che quel testo era fatto di due parti: il racconto di un bambino che leggeva un libro (quello che avevo già scritto), e il racconto che stava dentro al libro letto dal bambino (quello che mancava). L'ho capito come un'evidenza. E con grande facilità, nel momento in cui l'ho capito, ho scritto la storia che era nel libro del bambino, come se effettivamente la stessi leggendo anch'io e fosse lì, bella e pronta, già scritta. A volte, chi scrive ha queste impressioni, di metter giù una cosa già lì, nero su bianco. E in C'era una volta una storia infatti c'è anche questo: lo faccio dire a uno dei personaggi che legge il libro: “«Questa storia è troppo bella per essermela inventata io», rispose il trenino. «Stai a sentire.» E cominciò a leggere.”



Penso che le visioni di Andersen e Benjamin qui riportate, che mi hanno molto impressionato quando le ho lette, ben prima di scrivere questo testo, siano dentro questa storia come una specie di dna, anche se poi io non ci ho affatto pensato, mentre la scrivevo, né prima né poi. Infatti, in C'era un volta una storia ci sono gli uccelli che cantano, gli omini che escono dalle pagine e (non un cigno, ma) un'oca selvatica. E forse la ragazza di cui parlo, che «si sposò con un principe che aveva la criniera bionda e le zampe di velluto, proprio come quelle di un leone» è proprio Elisa, la protagonista dei Cigni selvatici, passata da un libro all'altro, sotto nuova forma. Certi personaggi sono in grado di fare qualsiasi cosa.
Se è vero infatti che «i libri prestati bisogna sempre restituirli», come dice uno dei personaggi di C'era una volta una storia, le storie, invece, dai libri escono e diventano di tutti. E questo dovrebbe farci capire che fanno parte delle cose che hanno un valore incalcolabile, come l'acqua e l'aria.



Questa storia ho fatto un po' fatica a capire chi dovesse illustrarla. Cosa che non è così facile che capiti. Il fatto che si tratti di una storia con due parti parallele, speculari e complementari, la rende difficile da organizzare, visivamente. Dopo qualche prova non andata a buon fine, alla fine ci siamo rivolti a Camilla Engman, che è stata molto contenta della proposta. Camilla, come sapete, non è danese, come Andersen, ma è svedese. Da Frederikshavn a Goteborg, dove lei abita, però, sono tre ore e un quarto di traghetto. Per questo, forse, la malinconia e il sottile umorismo, la luminosità e l'ombra, la limpidezza e la densità, sono le stesse: quelle del lindo, misterioso Nord.

Camilla Engman, Giovanna Zoboli, Troppo tardi, 2011.

3 commenti:

Francesca ha detto...

Questo libro è un incanto! L'ho scoperto proprio oggi e non vedo l'ora di leggerlo al mio Elia quando nascerà! ^^

Topipittori ha detto...

I Topi vi fanno una montagna di auguri!

Francesca ha detto...

GRAZIEEEEEEEEEE!!!!!!! :D