La donna barbuta, la scimmia sapiente, il vitello a due teste,
l'incantatore di serpenti, la bellezza circassa e le gemelle saiamesi. Qui da
noi li chiamavano "i fenomeni da baraccone": protagonisti di
spettacoli itineranti tesi a richiamare il pubblico delle fiere di campagna
titillandone il desiderio di assistere a fenomeni straordinari, di vedere e
toccare con mano gli "scherzi della natura", di ridere delle
disgrazie altrui rassicurandosi al tempo stesso della propria normalità (anche
se - o forse proprio perché - questa normalità era fatta di lavoro servile,
denutrizione, pellagra, accoppiamenti tra consanguinei).
Una forma un po' diversa di quegli stessi contenuti che ci propinano
oggi i canali digitali della televisione, con maniaci del pulito, accumulatori
compulsivi di merce, obesi che perdono 126 chili in pochi mesi, bambini
canterini, uomini minuscoli che incontrano giganti (ve li ricordate Pingping e Xi Shun),
conditi da Maurizi Costanzi, Barbare d'Urso e Marie De Filippi.
Dico una forma un po' diversa perché il risultato, se dal punto di
vista sostanziale è il medesimo (ed è francamente riprovevole), ha esiti estetici
affatto diversi. Se alla contemporanea ostensione televisiva dei fenomeni da
baraccone corrisponde un'estetica standardizzata e dozzinale, i freak show di
un tempo hanno generato una apprezzabile quanto ingenua forma d'arte popolare che
ha trovato in Fred G. Johnson uno dei rappresentanti più
prolifici e interessanti.
Questa forma d'arte popolare, quella dei sideshow banner, si
sviluppò inizialmente in Europa, nei primi anni dell'Ottocento, per poi
diffondersi e trovare la sua massima espressione negli Stati Uniti a partire
dagli anni Settanta di quel secolo. E ancora negli anni Sessanta del Novecento,
le cittadine di campagna del Midwest erano periodicamente visitate da questi
spettacoli, con il loro apparato di sgargianti stendardi pubblicitari.
Johnson, che negli Stati Uniti è considerato il Picasso dell'arte per il circo, attivo a Chicago per
sessantacinque anni, dal 1909 al 1974, era servo di una disciplina
standardizzata, che aveva regole precise e inviolabili, nell'ambito delle quali
l'artista/artigiano aveva poco spazio di libertà. Un telo di circa tre metri
per tre, una cornice rosso vivo, un cartiglio dorato con il nome
dell'attrazione, un grosso bollo bianco nel quale scrivere in blu altre notizie
allettanti per il potenziale pubblico.
In questi stretti limiti: spazio alla fantasia. Proprio in senso letterale. Perché era assai raro che i protagonisti di questi spettacoli posassero per il pittore di stendardi. Infatti, le immagini di questi pannelli pubblicitari sono sintetiche, prive di dettaglio, stereotipate. Ma, in fondo, forse sono proprio queste caratteristiche di genericità che le rendono rassicuranti nella loro esagerazione.
In queste illustrazioni, l'accento è sempre posto su un solo elemento: la stella dello
spettacolo. Ma per esplicitarne le prerogative di eccezionalità, lo sfondo acquisiva una grande importanza. Infatti, il fenomeno da baraccone veniva spesso ritratto su uno sfondo di cose "normali", le cui misure e
caratteristiche erano note e familiari al pubblico. Per esempio, lo stendardo
di un gigante, all'interno della sua larga bordura di un rosso fiammante, lo
mostra stagliato su una linea dell'orizzonte bassa, in compagnia di persone
molto più piccole, in modo da farlo torreggiare su tutto.
Quello che molto colpisce di questi stendardi è
l'efficacia. A questi artisti (e dire a Johnson in particolare) erano
sufficienti mezzi molto limitati per raggiungere il risultato voluto: far sì
che la gente si fermasse: pochi colori, grandi figure, testi sintetici e una buona dose di sensazionalismo. Una volta ottenuto il risultato, entrava in azione
l'imbonitore: «Venghino, siore e siori, venghino. Più gente entra, più bestie si vedono!» Fra l'odore delle frittelle e gli scoppi del tirassegno, si formava un capannello e qualcuno cominciava a frugarsi le
tasche alla ricerca di un soldo col quale comprare un'esperienza che avrebbe
potuto narrare per anni e anni a bambini increduli e amici scettici. Un ottimo
affare, non vi pare?
1 commento:
Riguardo questi spettacoli, ho potuto vedere un film degli anni '20 famoso per essere stato 'ucciso' dalla censura: Freaks.
La cosa interessante di questi manifesti di propaganda, oltre all'unicità che nel bene o nel male li accompagna, è che credo vivano ancora in forma diversa nei manifesti del Circo.
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