lunedì 24 febbraio 2014

Illustratori da baraccone

La donna barbuta, la scimmia sapiente, il vitello a due teste, l'incantatore di serpenti, la bellezza circassa e le gemelle saiamesi. Qui da noi li chiamavano "i fenomeni da baraccone": protagonisti di spettacoli itineranti tesi a richiamare il pubblico delle fiere di campagna titillandone il desiderio di assistere a fenomeni straordinari, di vedere e toccare con mano gli "scherzi della natura", di ridere delle disgrazie altrui rassicurandosi al tempo stesso della propria normalità (anche se - o forse proprio perché - questa normalità era fatta di lavoro servile, denutrizione, pellagra, accoppiamenti tra consanguinei). 


Una forma un po' diversa di quegli stessi contenuti che ci propinano oggi i canali digitali della televisione, con maniaci del pulito, accumulatori compulsivi di merce, obesi che perdono 126 chili in pochi mesi, bambini canterini, uomini minuscoli che incontrano giganti (ve li ricordate Pingping e Xi Shun), conditi da Maurizi Costanzi, Barbare d'Urso e Marie De Filippi.



Dico una forma un po' diversa perché il risultato, se dal punto di vista sostanziale è il medesimo (ed è francamente riprovevole), ha esiti estetici affatto diversi. Se alla contemporanea ostensione televisiva dei fenomeni da baraccone corrisponde un'estetica standardizzata e dozzinale, i freak show di un tempo hanno generato una apprezzabile quanto ingenua forma d'arte popolare che ha trovato in Fred G. Johnson uno dei rappresentanti più prolifici e interessanti.



Questa forma d'arte popolare, quella dei sideshow banner, si sviluppò inizialmente in Europa, nei primi anni dell'Ottocento, per poi diffondersi e trovare la sua massima espressione negli Stati Uniti a partire dagli anni Settanta di quel secolo. E ancora negli anni Sessanta del Novecento, le cittadine di campagna del Midwest erano periodicamente visitate da questi spettacoli, con il loro apparato di sgargianti stendardi pubblicitari.



Johnson, che negli Stati Uniti è considerato il Picasso dell'arte per il circo, attivo a Chicago per sessantacinque anni, dal 1909 al 1974, era servo di una disciplina standardizzata, che aveva regole precise e inviolabili, nell'ambito delle quali l'artista/artigiano aveva poco spazio di libertà. Un telo di circa tre metri per tre, una cornice rosso vivo, un cartiglio dorato con il nome dell'attrazione, un grosso bollo bianco nel quale scrivere in blu altre notizie allettanti per il potenziale pubblico.



In questi stretti limiti: spazio alla fantasia. Proprio in senso letterale. Perché era assai raro che i protagonisti di questi spettacoli posassero per il pittore di stendardi. Infatti, le immagini di questi pannelli pubblicitari sono sintetiche, prive di dettaglio, stereotipate. Ma, in fondo, forse sono proprio queste caratteristiche di genericità che le rendono rassicuranti nella loro esagerazione.



In queste illustrazioni, l'accento è sempre posto su un solo elemento: la stella dello spettacolo. Ma per esplicitarne le prerogative di eccezionalità, lo sfondo acquisiva una grande importanza. Infatti, il fenomeno da baraccone veniva spesso ritratto su uno sfondo di cose "normali", le cui misure e caratteristiche erano note e familiari al pubblico. Per esempio, lo stendardo di un gigante, all'interno della sua larga bordura di un rosso fiammante, lo mostra stagliato su una linea dell'orizzonte bassa, in compagnia di persone molto più piccole, in modo da farlo torreggiare su tutto.




Quello che molto colpisce di questi stendardi è l'efficacia. A questi artisti (e dire a Johnson in particolare) erano sufficienti mezzi molto limitati per raggiungere il risultato voluto: far sì che la gente si fermasse: pochi colori, grandi figure, testi sintetici e una buona dose di sensazionalismo. Una volta ottenuto il risultato, entrava in azione l'imbonitore: «Venghino, siore e siori, venghino. Più gente entra, più bestie si vedono!» Fra l'odore delle frittelle e gli scoppi del tirassegno, si formava un capannello e qualcuno cominciava a frugarsi le tasche alla ricerca di un soldo col quale comprare un'esperienza che avrebbe potuto narrare per anni e anni a bambini increduli e amici scettici. Un ottimo affare, non vi pare?



1 commento:

Alessia H.V. ha detto...

Riguardo questi spettacoli, ho potuto vedere un film degli anni '20 famoso per essere stato 'ucciso' dalla censura: Freaks.
La cosa interessante di questi manifesti di propaganda, oltre all'unicità che nel bene o nel male li accompagna, è che credo vivano ancora in forma diversa nei manifesti del Circo.