L'attenzione è una attitudine che mi colpisce sempre molto. Di solito, la spia dell'attenzione sono gli occhi. Occhi che, mentre guardano, pensano. Spesso mi capita di vederli in alcuni bambini, e quando accade ne rimango sempre presa.
Pia Valentinis è una persona attenta. Non parla molto. Ha uno sguardo molto fermo, come quello di una persona che non sia sicura di capire esattamente. E anche come se quel tipo di sguardo le fosse imposto dalle cose, una specie di risposta dovuta al mondo.
Una volta sono andata a trovarla nel suo studio, a Cagliari, e mi ha fatto vedere alcune tavole di Ferriera a cui allora stava lavorando. Era un lavoro la cui intensità emergeva con evidenza. Con impudenza le dissi che sarebbe stato perfetto per la nostra collana Anni in tasca graphic. E questo pur sapendo benissimo che il lavoro era destinato a un altro editore, quello che poi l'ha pubblicato, cioè Coconino Press. Ma si sa, gli editori...
Pia fu molto contenta, non che abbia in alcun modo preso in considerazione la proposta spudorata di tradimento, la stupiva la mia reazione di entusiasmo, che forse non si aspettava. La stessa reazione l'ho avuta leggendo il libro, da poco pubblicato, qualche giorno fa.
O meglio, entusiasmo non è la parola giusta. La definirei una sospesa e tranquilla meraviglia, che corrisponde allo stato d'animo su cui il ritmo, piano e profondo, della narrazione sintonizza il lettore. Non mi viene in mente che questo ossimoro, per descrivere la risonanza interiore che provoca il racconto.
Raccontare la propria famiglia, e dunque se stessi, non è facile. La materia autobiografica è scivolosa, perché ampia, crudele, prossima. Me ne sono resa conto osservando la fatica degli autori e fumettisti che hanno pubblicato nelle nostre collane dedicate all'autobiografia di infanzia e adolescenza. Nel libro di Pia, che ripercorre la storia di Mario, cioè del padre, operaio, a Udine, di questa fatica non c'è traccia, e non perché non ci sia stata: il libro ha avuto una lunga incubazione e lavorazione, proprio per le difficoltà che ha posto all'autrice. Il fatto è che ogni sforzo non ha lasciato residuo, bruciato da una narrazione che ha trovato una forma perfettamente coincidente e coerente con la propria materia.
Sono d'accordo con uno dei personaggi di Ferriera, Biagio, che ha studiato in seminario e cita a memoria Marx e Lenin, quando afferma: “La verità è sempre concreta”. Anche la poesia, lo è.
Ho letto diverse recensioni su questo libro (e molte altre ne usciranno), che giustamente ne mettono in luce temi, personaggi, contenuti. A me, quando ho pensato di scrivere qualcosa su Ferriera, è venuto subito in mente di elencare le pagine che mi sono rimaste, e mi rimarranno, in mente. Non perché siano migliori delle altre, ma perché in queste, per me, c'è una grande chiarezza di visione, coincidente con una altrettanto capacità di esprimerla.
Per cui adesso scriverò questo elenco. Le immagini che corredano questo post, però, non corrispondono a queste pagine, ma alla sequenza narrativa con cui Ferriera inizia. Perciò, se vi verrà voglia di osservare queste pagine, dovrete farlo con il libro fra le mani: per dire che questa non è tanto una recensione quanto una riflessione sul libro di Pia Valentinis.
Ecco le pagine di cui ho detto prima:
- la pagina 6 dove si vede Pia che disegna, di spalle. Mi ha impressionato la precisione con cui Pia sa come è se stessa vista da dietro (questa la potete vedere, è la prima, dopo la copertina);
- la pagina 18, il riquadro in basso a destra, in cui ci sono Pia, il padre e la madre, per mano, coi piedi nell'acqua bassa del mare, un mese prima delle vacanze, mentre si sottopongono, miti e solidali, alla fatalità della prima scottatura;
- la pagina 25 in cui si elencano le acque sante bevute da nonna Luigia, per il modo in cui un semplice elenco di nomi mette a fuoco l'enigmatico rapporto fra fede e quotidiano, assoluto e relativo, sacro e profano;
- la pagina 21 e la pagina 28, gemelle, nelle quali sei dettagli visivi accompagnati da sei frasi, in un caso pronunciate dalla nonna durante i pasti, e nell'altro dal padre mentre guarda la televisione, danno conto di chi le pronuncia con tale evidenza che si ha l'impressione di non aver necessità di sapere altro di queste persone/personaggi, (ma forse nemmeno di noi e della nostra famiglia);
- la pagina 49 che apre il capitolo dedicato all'incontro fra i genitori con le parole di una vecchia canzone e immagini di baci di famosi film e attori in voga al tempo della storia: una scelta che evidenzia in modo disarmante come l'immaginario amoroso di ogni epoca determini in modo sottile, per analogia e contrasto, la realtà degli amori di chi in essa vive;
- la pagina 66 in cui sono elencate le espressioni inglesi che il padre di Pia apprese durante il primo giorno di lavoro in una fabbrica australiana. Parole che, associate alle immagini di corrispondenti gesti delle mani, raccontano a chi legge non quella sola giornata, ma i tre anni che Mario trascorse in Australia, paese in cui era emigrato per lavorare;
- la pagina 72 in cui attraverso il dialogo di due canarini si mette a fuoco cosa siano luoghi come una fabbrica o una miniera;
- la pagina 74 in cui una intera pagina di francobolli dà conto di quella cosa immateriale e potentissima che sono le parole e i pensieri fra due persone lontane;
- la pagina 75 in cui attraverso un dialogo fatto di otto battute e otto quadri, si dà conto contemporaneamente di due universi, delle dinamiche di una rapporto amoroso, del carattere di due persone, delle ragioni profonde che sottostanno a una scelta in grado di cambiare due vite.
Ricordo che, anni fa, quando guardavo le illustrazioni di Pia Valentinis, tutte le volte pensavo (con imbarazzo) che quello che mi piaceva di più non erano i tanti albi, certamente belli, che faceva. Io trovavo magnifici i disegnini che produceva per la rivista Fuorilegge. La letteratura bandita, edita dall'Associazione Equilibri. Erano dei microfumetti in bianco nero. Marginali, silenziosi. Adesso ho capito perché mi piacevano.
Pia Valentinis è una persona attenta. Non parla molto. Ha uno sguardo molto fermo, come quello di una persona che non sia sicura di capire esattamente. E anche come se quel tipo di sguardo le fosse imposto dalle cose, una specie di risposta dovuta al mondo.
Una volta sono andata a trovarla nel suo studio, a Cagliari, e mi ha fatto vedere alcune tavole di Ferriera a cui allora stava lavorando. Era un lavoro la cui intensità emergeva con evidenza. Con impudenza le dissi che sarebbe stato perfetto per la nostra collana Anni in tasca graphic. E questo pur sapendo benissimo che il lavoro era destinato a un altro editore, quello che poi l'ha pubblicato, cioè Coconino Press. Ma si sa, gli editori...
Pia fu molto contenta, non che abbia in alcun modo preso in considerazione la proposta spudorata di tradimento, la stupiva la mia reazione di entusiasmo, che forse non si aspettava. La stessa reazione l'ho avuta leggendo il libro, da poco pubblicato, qualche giorno fa.
O meglio, entusiasmo non è la parola giusta. La definirei una sospesa e tranquilla meraviglia, che corrisponde allo stato d'animo su cui il ritmo, piano e profondo, della narrazione sintonizza il lettore. Non mi viene in mente che questo ossimoro, per descrivere la risonanza interiore che provoca il racconto.
Raccontare la propria famiglia, e dunque se stessi, non è facile. La materia autobiografica è scivolosa, perché ampia, crudele, prossima. Me ne sono resa conto osservando la fatica degli autori e fumettisti che hanno pubblicato nelle nostre collane dedicate all'autobiografia di infanzia e adolescenza. Nel libro di Pia, che ripercorre la storia di Mario, cioè del padre, operaio, a Udine, di questa fatica non c'è traccia, e non perché non ci sia stata: il libro ha avuto una lunga incubazione e lavorazione, proprio per le difficoltà che ha posto all'autrice. Il fatto è che ogni sforzo non ha lasciato residuo, bruciato da una narrazione che ha trovato una forma perfettamente coincidente e coerente con la propria materia.
Sono d'accordo con uno dei personaggi di Ferriera, Biagio, che ha studiato in seminario e cita a memoria Marx e Lenin, quando afferma: “La verità è sempre concreta”. Anche la poesia, lo è.
Ho letto diverse recensioni su questo libro (e molte altre ne usciranno), che giustamente ne mettono in luce temi, personaggi, contenuti. A me, quando ho pensato di scrivere qualcosa su Ferriera, è venuto subito in mente di elencare le pagine che mi sono rimaste, e mi rimarranno, in mente. Non perché siano migliori delle altre, ma perché in queste, per me, c'è una grande chiarezza di visione, coincidente con una altrettanto capacità di esprimerla.
Per cui adesso scriverò questo elenco. Le immagini che corredano questo post, però, non corrispondono a queste pagine, ma alla sequenza narrativa con cui Ferriera inizia. Perciò, se vi verrà voglia di osservare queste pagine, dovrete farlo con il libro fra le mani: per dire che questa non è tanto una recensione quanto una riflessione sul libro di Pia Valentinis.
Ecco le pagine di cui ho detto prima:
- la pagina 6 dove si vede Pia che disegna, di spalle. Mi ha impressionato la precisione con cui Pia sa come è se stessa vista da dietro (questa la potete vedere, è la prima, dopo la copertina);
- la pagina 18, il riquadro in basso a destra, in cui ci sono Pia, il padre e la madre, per mano, coi piedi nell'acqua bassa del mare, un mese prima delle vacanze, mentre si sottopongono, miti e solidali, alla fatalità della prima scottatura;
- la pagina 25 in cui si elencano le acque sante bevute da nonna Luigia, per il modo in cui un semplice elenco di nomi mette a fuoco l'enigmatico rapporto fra fede e quotidiano, assoluto e relativo, sacro e profano;
- la pagina 21 e la pagina 28, gemelle, nelle quali sei dettagli visivi accompagnati da sei frasi, in un caso pronunciate dalla nonna durante i pasti, e nell'altro dal padre mentre guarda la televisione, danno conto di chi le pronuncia con tale evidenza che si ha l'impressione di non aver necessità di sapere altro di queste persone/personaggi, (ma forse nemmeno di noi e della nostra famiglia);
- la pagina 49 che apre il capitolo dedicato all'incontro fra i genitori con le parole di una vecchia canzone e immagini di baci di famosi film e attori in voga al tempo della storia: una scelta che evidenzia in modo disarmante come l'immaginario amoroso di ogni epoca determini in modo sottile, per analogia e contrasto, la realtà degli amori di chi in essa vive;
- la pagina 66 in cui sono elencate le espressioni inglesi che il padre di Pia apprese durante il primo giorno di lavoro in una fabbrica australiana. Parole che, associate alle immagini di corrispondenti gesti delle mani, raccontano a chi legge non quella sola giornata, ma i tre anni che Mario trascorse in Australia, paese in cui era emigrato per lavorare;
- la pagina 72 in cui attraverso il dialogo di due canarini si mette a fuoco cosa siano luoghi come una fabbrica o una miniera;
- la pagina 74 in cui una intera pagina di francobolli dà conto di quella cosa immateriale e potentissima che sono le parole e i pensieri fra due persone lontane;
- la pagina 75 in cui attraverso un dialogo fatto di otto battute e otto quadri, si dà conto contemporaneamente di due universi, delle dinamiche di una rapporto amoroso, del carattere di due persone, delle ragioni profonde che sottostanno a una scelta in grado di cambiare due vite.
Ricordo che, anni fa, quando guardavo le illustrazioni di Pia Valentinis, tutte le volte pensavo (con imbarazzo) che quello che mi piaceva di più non erano i tanti albi, certamente belli, che faceva. Io trovavo magnifici i disegnini che produceva per la rivista Fuorilegge. La letteratura bandita, edita dall'Associazione Equilibri. Erano dei microfumetti in bianco nero. Marginali, silenziosi. Adesso ho capito perché mi piacevano.
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