lunedì 21 settembre 2015

Disegnare alberi 3 / Il mestiere di guardare e vedere

Carpini.

[di Lorenzo Sartori]

… e poi, un po' come sempre, ma un po' è anche sempre nuovo, lo sguardo e il disegno hanno continuato a cambiare spostandosi di ramo in ramo, di luce in luce in ombra soprattutto, dalla corteccia al muschio e lungo i dettagli differenti di tutto questo – con l'emozione della scoperta e il gusto di lasciarmi portare senza resistenza opporre.

Succede sempre una metamorfosi dello sguardo. Progressivamente lo sguardo approfondisce il suo acume grazie al tempo in cui resta posato sull'albero o una sua parte, e arriva a vedere cose che anche contraddicono la 'guardata' precedente, che pure era giusta, non frettolosa. Alla pienezza dello sguardo giovano il tempo e l'attenzione, giova la conoscenza dell'oggetto che si accresce a ogni occhiata e pure a ogni tratto disegnato, perché disegnare amplifica la percezione e non ho dubbi: l'amplifica grazie a una sempre più intima comprensione, che a me piace sentire reciproca: l'albero è in relazione con me, accoglie il mio sguardo che l'onora e mi dischiude il segreto del suo carattere.
Così lo sguardo si carica, coglie complessità di trame e volumi… superiori, più strutturali, vede movimenti interni che contraddicono quelli più superficiali. Quelli superficiali sono corretti sì, ma afferrare una pulsazione di vita vera dell'albero (e io credo di arrivare a penetrare solo il primo di chissà quanti strati) chiede allo sguardo di calarsi molto più in profondità.

Ciliegio.

Ecco: se poi riguardo il disegno senza più l'albero davanti ma con la memoria di lui ancora fresca, spesso mi colpisce l'arbitrarietà delle mie scelte espressive. D'accordo che lo sguardo obiettivo non esiste e nemmeno m'interesserebbe, ma è sbalorditivo accorgermi di avere rappresentato una parte limitatissima dell'essere… una parte che dice assai più di me che di lui. Mi viene questo paragone: come assistere alla recita di un grande poeta che attraverso il suo genio ti fa viaggiare in mondi lontani e ti trasmette un'intuizione sul mistero della vita, e raccontarlo in giro a partire dall'abbigliamento che assomiglia al tuo stile di vestire. Nessuna bugia, per l'amor di Dio… invero un tantino limitato.

Vecchio ciliegio. Tre ritratti.

Mi è successa una cosa.
Disegnandolo, ero diventato amico di un vecchio ciliegio che sta in un posto un po' selvatico del quartiere, uno di quei posti irrisolti, non belli, nemmeno tanto raccomandabili, che mi fanno venire una commozione che la gente non capisce, che mi pompano i sospiri. Questo albero annoso, questo anziano, saggio capo tribù l'ho ritratto più volte, da punti di vista diversi, così vario e ricco e carico di forme com'è. Quando la giovane Elena mi ha chiesto in regalo il disegno di un albero, ho scelto lui. Ho dovuto impegnarmi in parecchie sessioni per venirne a capo. Tanto che il 'ciliegio per Elena' è diventato qualcosa di più di un disegno e di un regalo: è stato un banco di prova, un ostacolo, una sfida difficile, una prova di resistenza, un appuntamento con qualcosa di sfuggente della mia stessa anima.
E una mattina è successa la cosa inaspettata: ho vissuto nel disegnare un crescendo di tensione, sospinto da sbotti di frustrazione, per riuscire una buona volta ad afferrare almeno un lembo dell'anima di quest'albero, che mi ha portato a disegnare con tanta energia da sentire la fatica fisica nella carne. Mi era successo qualcosa di simile in gioventù, alle prese coi miei vezzi da aspirante artista maledettoide, e poi facendo esperimenti di disegno a ritmo obbligato dalla musica… ma erano velleità, scelte come altre. Qui la fatica è arrivata da sé, comandata da una sincera, intima necessità.
Interessante in particolare per me, che ho il senso d'inferiorità dello svolgere un mestiere comodo, intellettuale, senza fatica né, quasi, corpo.

Ciliegio.

Il vecchio ciliegio è difficilissimo perché ha nelle sue fibre tutta una lunga vita.
I bagolari mi sono ostici per essere così lineari e apparentemente semplici, per l'ardua lucentezza della loro pelle d'elefante.
La sensualità delle curve dei platani mi turba e mi entusiasma, ma mette a dura prova il mio segno nervoso e restio all'abbandono. E dentro a ciascuna famiglia, ogni albero è uno, con le sue (mie) specifiche difficoltà che mi porge come occasioni. Con la sua unica inconfondibile bellezza.
Ma si è capito: gli alberi non sono solo un soggetto colmo di bellezza da ritrarre: sono scoprire qualcosa di me stesso in loro, sono forza pura della Vita, evidenza dello Spirito, sfida con la materia del mondo, luogo a parte nella superficie della quotidianità, dono (reciproco)… e chissà quanto altro ancora. Saggezza, ad esempio.
Ogni incontro è un'esperienza nuova, in cui le piccole cose che ho già imparato sono soltanto una cassetta degli attrezzi minima al cospetto del cimento. E, spesso, finisco per adeguare il cimento alla limitatezza dei miei attrezzi. Così è naturale che mi venga da stupirmi, rendendomi conto mentre mi arrabatto a disegnare, che quanto l'albero mi dà nel lasciarsi contemplare riesco a ripagarlo soltanto in minuscola misura. È amaro, ogni volta, accettare di ricorrere al mestiere per camuffare una piccola sconfitta nel ritrarre questo o quel particolare… Ma è anche entusiasmante quanto la Vita permane indisegnabile pure concentrando l'attenzione e l'azione sui piccoli piccoli dettagli.

Carpini.

Sono emozionato di portare a compimento il mio primo taccuino d'alberi. Sento gratitudine per ognuno degli alberi che mi si sono disvelati generosamente nella loro bellezza e in quel po' della loro anima che sono stato capace di cogliere. E per quel po' che mi hanno rispecchiato di me stesso. Per tutte le ore che ho passato in così piacevole compagnia.
Sono loro grato anche per le nuove cose che mi hanno mostrato del mio mestiere, che sto imparando a maneggiare un poco meglio… anche grazie alla consapevolezza acquisita dei miei voraginosi limiti, con cui ho preso contatto impegnandomi nei ritratti di queste pagine. E loro grato anche per i piccoli progressi che mi accorgo di fare nel mestiere, tutt'altro che semplice, di guardare e di vedere.

Ora, che è di nuovo estate, ho ricominciato a disegnare gli alberi.

Pioppo grigio, 2015.

3 commenti:

gioia marchegiani ha detto...

Caro Lorenzo,
è proprio così, è tutto vero. Grazie per averci raccontato i tuoi incontri con gli alberi.
Bello sapere che non c'è mai fine a questo dialogo, che passa attraverso un foglio e la matita tra la tua anima a quella dell'albero. Ho atteso l'ultimo post per scrivere come per chiudere e invece son rimasta così, con lo sguardo ancora aperto nel pensiero dei tuoi ultimi disegni, quelli che forse non vedrò oppure sì e dal vivo, oppure ancora in questo luogo di cose belle che è il blog dei Topipittori.

Lorenzo Sartori ha detto...

È un gran bel luogo sì, il blog dei Topi. L'esistenza stessa dei Topi è un altro miracoloso mistero della Vita, no?
Grazie ai Topi quindi e grazie a te, Gioia: rimasta con lo sguardo ancora aperto. Non sono sicuro di capir bene quello che intendi, ma l'immagine sfuggente mi piace molto, mi lascia qui sospeso… Non so che cosa è successo, ma mi piace e mi viene su un sorriso.
Lorenzo

Matilde ha detto...

Meraviglia! Non so che altro dire.
Grazie grazie grazie