Un altro me di Bernard Friot è uno dei tre nuovi titoli appena usciti e da pochi giorni in libreria della collana “Gli Anni in tasca”.
Un racconto aspro, coinvolgente, implacabile, che ci ha presi fin dalle prime pagine. Dopo averlo letto e tradotto, siamo andati a Besançon a trovare Bernard, che non conoscevamo: e la controparte di questo romanzo “difficile” si è rivelata una persona piena di calore, che sprigiona empatia, con uno scintillante senso dell'umorismo.
Per parlarvi del libro, abbiamo pensato di fargli qualche domanda:
Ci siamo chiesti perché, quando ti sei concentrato sulla tua storia di adolescente per scrivere questo libro, fra tutti i ricordi si è imposto proprio quello da cui parti: una domenica sera, al rientro da casa nel collegio che frequentavi, a Parigi. Cos'è stato a determinare questa scelta?
Non avrei mai immaginato di scrivere un libro come questo. La cosa è stata provocata da un'amica, una scrittrice, Jeanne Benameur, alla quale in precedenza avevo dedicato uno dei miei libri. È stata lei a parlarmi del progetto delle Èditions La Martinière di creare una nuova collana, nella quale far raccontare agli scrittori per ragazzi la propria adolescenza. Jeanne mi disse: «Ho pensato che fosse il progetto adatto a te.» Istintivamente le risposi: «Assolutamente no! Ho dimenticato la mia adolescenza; l'ho cancellata dalla mia memoria.» Ma era già troppo tardi. Alcune immagini erano già tornate in superficie. La prima fu quella sensazione di freddo umido che mi raggelava la schiena mentre attendevo l'autobus che, ogni domenica sera, mi riportava al collegio. Le immagini che hanno guidato la scrittura di Un altro me sono state tutte “fisiche”: luci, odori, impressioni atmosferiche, eccetera.
In che modo, dopo che hai scritto questo libro, i tuoi ricordi di ragazzo sono cambiati, se sono cambiati? C'è stato un cambiamento nel tuo modo di pensare la tua adolescenza, mentre scrivevi il libro e quando poi l'hai terminato? Perché, a tuo avviso, la scrittura può cambiare la memoria?
Ho l'impressione che, scrivendo questo libro, si sia creato uno spazio per altri ricordi. Un po' come quando si fa ordine nei cassetti della scrivania: di colpo, si scopre che c'è ancora un sacco di posto. E poi, quei ricordi che volevo tenere sepolti perché erano dolorosi, ora non mi fanno più paura. La scrittura ha creato una distanza o, più esattamente, mi ha permesso di “fissarli”. Non sono più un agglomerato informe e inquietante: sono una fotografia che posso guardare in tutta tranquillità.
Bernard Friot, a sinistra, con il fratello maggiore. |
Come è stato accolto il libro in Francia? Fra ragazzi, adulti e “addetti ai lavori” ci sono state differenti reazioni?
Un altro me è uno dei libri che ha fatto lavorare di più il mio postino. Mi hanno scritto in tanti, soprattutto giovani, ventenni o trentenni, per i quali il libro ha rappresentato uno strumento per chiudere il capitolo della propria adolescenza. Ma anche ragazzi relativamente giovani, con mia grande sorpresa. Uno di loro mi ha detto, semplicemente: « È triste, ma è bello.» Quanto agli adulti, si stupiscono che si possa scrivere un libro del genere, che si possa rivelare così tanto di sé. Ma ho l'impressione di rivelare più cose, più intime, in un testo di pura finzione che in questo, sebbene dichiaratamente autobiografico.
In che modo pensi che collane di narrativa, come la nostra, “Gli anni in tasca”, o quella di Éditions de la Martinière, “Confessions”, o quella di Joie de Lire, “Retroviseur”, possano essere utili, interessanti, coinvolgenti per i lettori, sia adulti, sia ragazzi?
Questo, veramente, non lo so. Pensavo che il mio libro non avrebbe interessato nessuno, che fosse troppo cupo, troppo disperato. Ma, allo stesso tempo, non avrei potuto scrivere altro. In quanto scrittore, mi interessava anche il fatto che la collana mi offriva un nuovo spazio di scrittura; e in quanto lettore, apprezzo il modo in cui ogni scrittore trova i propri strumenti, la forma letteraria più adatta per raccontare la propria infanzia. E questo è particolarmente vero dei titoli della collana “Gli anni in tasca”, nei quali ogni autore trova il proprio registro di scrittura ideale.
Grazie, Bernard.
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