giovedì 30 giugno 2011

Come l’acqua nel deserto

Quando siamo sbarcati ad Anafi era notte, tirava un vento micidiale e non si vedeva un accidente. La mattina seguente ci siamo svegliati per scoprire qualcosa che sapevamo, ma alla quale non avevamo creduto fino in fondo. Eravamo capitati nel deserto.

Un deserto meraviglioso, sostanzialmente intatto, quasi spopolato o, meglio, popolato di strani esseri nudi e silenziosi, dediti alla contemplazione, al riposo, alla lettura, ai bagni di sole e di mare. Pensionati di Bologna con molta voglia di fare chiacchiere, taciturni direttori d’orchesta salisburghesi (con una imbarazzante somiglianza al Nando detto Ferdy di Prosciutto e uova verdi del Dr. Seuss), milanesi composti e silenziosi, un residuato tedesco dell’era del Flower Power e qualche greco già del colore dei bronzi di Riace, nonostante la stagione appena cominciata.

Poi un paesino in cima al monte, con un municipio di due stanze, l’ufficio postale aperto due giorni la settimana, due botteghe, due negozi di souvenir, due telefoni pubblici (il cellulare non va), tre bar, cinque taverne, un museo archeologico aperto il venerdì, duecentottanta autoctoni e svariate centinaia di monasteri, chiesette e ossari sparsi per l’isola. Come Macy’s e Harrod’s, le due botteghe vendono tutto: dall’ago all’elefante. Tutto fuorché libri e giornali. Biblioteca, non c’é.

Giovanna si è un po’ agitata: e se finisco i libri? Ne ho portati solo dodici e due li ho già letti. Tredici, in effetti: uno l’ho rubato a Santorini, in albergo. Ma, come tutte le cose non veramente volute, non ha un vero valore. Giovanna l’ha annusato e ha fatto lo sguardo schifato del gatto quando apri la scatoletta che non gli piace.

Mi stupiva soprattutto che nessuno avesse pensato a sfruttare il mercato: in spiaggia o sugli scogli c’è da fare ben poco, a parte leggere. Poi, una mattina, saliti alla Chora presto, quando i negozi e i bar erano tutti chiusi (aprono alle dieci, sappiatelo), Touristica Anafe, specialista in paccottiglia, stava aprendo e una gentile signora cominciava a esporre su strada camicette, pareo e ceramiche rustiche. Non ancora celato, sommerso dalla merce, uno scaffaletto di libri: in tedesco, in inglese, in italiano. Sorpresi, entriamo e chiediamo. No, non si possono comprare. La gentile signora mi porta fuori del negozio e mi fa notare un cartellino in inglese:
LIBRI!!!
PRENDETELI.
LEGGETELI.
E RIPORTATELI!!!

Sono convinto che la gentile signora non sarebbe disposta a fare altrettanto con una maschera da sub o una borraccia termica. Quelle le vende. Quelle sono merce. Ma il libro? Vale così poco da non meritare un prezzo? O vale così tanto da non poter essere venduto, ma solo offerto gratuitamente a conforto dell’improvvido viandante, come un sorso d’acqua nel deserto?

A questa biblioteca affettuosa e artigianale un nostro contributo l’abbiamo lasciato. Ma ci è dispiaciuto davvero non aver pensato a portare una copia dell’edizione greca delle Favole di Esopo. In quello scaffaletto ci sarebbe stata proprio bene.

4 commenti:

Maribel Moreno ha detto...

Bellissimo! è vero, bisogna portarlo, vediamo chi lo farà....bentornati!

gianlorenzo ingrami ha detto...

buone vacanze...e letture!

isabel archer ha detto...

forte!

Cristiana C. ha detto...

Mi avete fatto venire in mente quel racconto di Maugham, "La sacca dei libri", quando parla dell'inquietudine che ci assale quando siamo stati troppo a lungo senza leggere, le sensazioni di ansia e di irritabilità che accompagnano questo stato di astinenza dalla pagina stampata! Come non condividere? Buon blu!