mercoledì 5 settembre 2012

I prof non corrono per una questione di decoro

La ragione per cui Ugo Cornia ha scritto Autobiografia della mia infanzia, per la nostra collana Anni in tasca, è che una delle cose belle di essere editore è che puoi chiedere a uno scrittore che ti piace da matti di scrivere qualcosa, per avere un suo libro da leggere. Purtroppo però quando quel libro sarà fresco di stampa in libreria, tu, editore, per forza di cose l'avrai già letto, così non sarà al cento per cento la sorpresa di quando per esempio Cornia pubblica con un altro editore, come Quodlibet, Sellerio o Feltrinelli.
Appena finito di scrivere Il professionale. Avventure scolastiche, Ugo Cornia ce lo ha mandato in file. Così ne ho letti dei pezzi. Poi ho smesso. Non perché non mi piacesse, ma perché non mi volevo rovinare, a tempo debito, la sorpresa di andare in libreria e scoprire che era appena uscito un nuovo libro di Cornia, comprarlo e leggerlo subito, come ho fatto finora con tutti i suoi libri.
Il professionale, uscito all'inizio dell'estate, racconta alcune avventure scolastiche capitate a Cornia che di lavoro fa il professore. Che Cornia faccia il professore ha sempre costituito per me ragione di grande meraviglia essendo Cornia, dal mio punto di vista, sprovvisto di tutte quelle caratteristiche di cui ci si immagina sia dotato chi insegna. Eppure, nonostante questo, tutte le volte che ho pensato che Cornia e scuola costituissero un binomio improbabile, al contempo ho pensato anche che con molte probabilità Cornia fosse un bravo insegnante, dove con bravo intendo uno di quegli insegnanti che ti piacerebbe trovarti davanti alle otto e trenta di mattina, tutte le mattine, per quasi 365 giorni. Non è che siano molti gli insegnanti che superano questo test, come tutti più o meno sappiamo, per averne fatta esperienza.
Questo libro, che mi è piaciuto molto, mi conferma entrambi i pensieri su Cornia insegnante: che Cornia sia una presenza scolastica aliena e nel contempo auspicabile. Le avventure scolastiche raccontate da Cornia nel Professionale sembrano nate dal binomio fantastico creato dalle parole Cornia e scuola cioè due vocaboli, come spiega Gianni Rodari in La grammatica della fantasia, molto distanti e senza alcun nesso apparente fra loro. Una storia, secondo Rodari, nasce appunto dalla grande meraviglia di trovarli, questi nessi che sembrano non esserci e poi invece ci sono. Dico questo anche perché, leggendo il libro, mi sono detta che una delle ragioni per cui secondo me Cornia è un bravo insegnante è che sembra divertirsi abbastanza a stare a scuola e a viverci delle avventure con gli altri che ci vivono dentro, come i ragazzi, i professori, persino col preside, i bidelli e le segretarie, la qual cosa mi sembra già di per sé abbastanza eccezionale, almeno a stare ai resoconti cupi e disperati, quasi apocalittici, di tanti altri racconti scolastici.

A questo punto penso però che se siete interessati a questo libro e lo leggerete, avrete voglia di riflettere anche voi su Cornia professore e sulla scuola che viene fuori da queste sue avventure. Così non vi dirò altro.
Solo un'ultima cosa: personalmente, ci sono solo due scrittori che tutte le volte che finisco di leggere un loro libro mi fanno l'impressione di essermi improvvisamente tolta dalle spalle uno zaino di cinquanta chili (che nemmeno mi accorgevo di avere sulle spalle, prima che mi fosse tolto). Uno è Arto Paasilinna, i cui libri compro sempre allo stand Iperborea al festival Più libri più liberi a Roma, come pre regali di Natale, dato che questo si svolge i primi giorni di dicembre, e l'altro è Ugo Cornia. Questi due scrittori non hanno niente in comune né per stile né per vicende che raccontano né per personaggi né per ambienti. Niente di niente, a parte il fatto, a mio avviso, che sono due anarchici radicali.

Ringraziamo Ugo Cornia per averci permesso di pubblicare questo brano dal suo nuovo libro.

Devo dire che fin dall’inizio, ogni tanto io e Eugenio, che indubbiamente come nostro carattere personale eravamo tutti e due degli individualisti, e stavamo benissimo a imboscarci nelle aule libere del secondo piano a studiare l’euro o a fare le nostre scenette tratte da I Promessi Sposi, e ogni tanto invece venivamo coinvolti nelle attività generali del sostegno, cioè di tutti quelli che adesso dovrebbero essere chiamati i diversamente abili, e tutti i diversamente abili, ognuno colle sue diverse abilità, facevano qualcosa insieme, quindi ci trovavamo tutti riuniti, ragazzini e prof di sostegno in quella auletta che si chiamava auletta sostegno, dove c’era anche una cucina, infatti buona parte delle attività comuni consisteva nella realizzazione di torte o frittate o frittelle, e però mentre mangiavamo io mi divertivo con Eugenio e con gli altri diversamente abili perché ci perdevamo in considerazioni abbastanza fiabesche sulle cose, e producevamo delle grandi fantasie, e una volta, io mi ero seduto per terra in un angolo dell’auletta, e però era un periodo in quei tre o quattro giorni in cui avevo avuto delle mie malinconie, e allora uno di questi ragazzini mi aveva chiesto sei triste?, e io per scherzo, visto che mi sembrava fuori luogo parlargli dei miei problemi personali, gli avevo detto la prima cosa che mi era venuta in mente, e cioè gli avevo detto ragazzi, ieri ho preso una botta in testa e ho perso la memoria, e allora loro mi avevano detto che cosa voleva dire che avevo perso la memoria, e io gli avevo detto che non sapevo più chi ero, e loro subito mi hanno detto ma tu sei Ugo, quello che viene da Modena, e poi Eugenio aveva detto tu sei Ugo, il mio insegnante, e anche gli altri avevano detto che era vero, che io ero Ugo l’insegnante di Eugenio, allora io gli avevo detto se erano sicuri che io fossi di Modena, perché con questa botta in testa che avevo preso mi ero scordato anche dove abitavo, e gli avevo detto che quella notte lì, non sapendo più dove abitavo ero andato a dormire sotto un ponte del Panaro, per stare al coperto se pioveva, allora loro mi avevano chiesto se a dormire sotto il ponte c’era freddo, che io avevo detto sì, c’è stato freddissimo stanotte, - e allora come hai fatto a dormire?, mi hanno detto loro, e io gli ho detto che avevo acceso un gran fuoco sotto il ponte, con dei rami secchi, come facevano i cowboy, e poi gli avevo detto se erano sicuri che io abitassi a Modena, e come facevano a saperlo, visto che nessuno di loro stava a Modena, poi gli avevo chiesto ma se sto a Modena, come faccio tutti i giorni a venire fino a qui a piedi, che Modena è lontanissima?, e due o tre avevano detto che io avevo la macchina, quella macchina bianca, e io gli avevo detto veramente? io ho la macchina?, perché gli avevo detto che mi ero scordato anche di avere la macchina, mi ero proprio scordato tutto, infatti ero andato a dormire a Camposanto, sotto il ponte del Panaro, a piedi, perché io non mi ricordavo più che avevo la macchina, che avevo visto tante macchine nel parcheggio ma non sapevo che una di quelle macchine era mia, e loro mi avevano detto che se volevo me la facevano vedere dalla finestra, e io gli ho detto che quando suonava la campana dovevano accompagnarmi, e allora era saltato fuori sto gioco bellissimo, perché sapevano tutte queste cose su di me, e io non me lo sarei mai immaginato che sapessero tutti quale era la mia macchina, e allora io gli avevo anche chiesto se ero sposato o no, perché io non mi ricordavo più neanche se ero sposato, e gli dicevo che mia moglie, se ero sposato, di sicuro si era preoccupata che stanotte non ero tornato a casa, e lì in due o tre dicevano che ero sposato, e io gli avevo detto veramente?, e loro avevano detto sì sì, veramente mentre gli altri due o tre dicevano di no, che io non ero sposato, però Eugenio diceva che io avevo una sorella che si chiama Marinella che aveva un cane che si chiamava Tobia, che glielo avevo detto tante volte mentre disegnavamo i tipi diversi di cani, e allora comunque, visto che con sta storia era passato più di un’ora, e ormai fra un quarto d’ora suonava la campanella (e qua vorrei dirlo, ma la campanella è sempre uno strano miracolo che ogni giorno si rinnova perché anche se per tutta la mattinata ti sei anche divertito, però quando inizia ad avvicinarsi l’ora che suona la campana ti arriva addosso una specie di strana furia di uscire, tutti i giorni uguale, come se sapessi che si aprirà la porta di una gabbia che sta aperta soltanto per dieci secondi, tu hai soltanto dieci secondi per uscire perché poi la porta si richiude per sempre, allora suona e tutti hanno una tale smania di uscire che alcuni corrono e gli altri che non corrono, i prof non corrono per una questione di decoro e di esempio, ma anche chi non corre quasi corre e zang, dopo un attimo è già fuori, e dopo un attimo tutta la scuola è vuota), e allora, mentre ci mettevamo i giubbotti aspettando la campana, io gli avevo detto ma adesso, che usciamo da scuola, io per sapere dove devo andare, che se no mi tocca di tornare sotto al ponte fino a domani, dove devo andare?, e allora uno che si chiamava Piero mi aveva detto vai alla polizia, che sanno tutto i poliziotti, gli chiedi dove abiti e loro te lo dicono. E poi era finita lì, era suonata la campana, io per continuare un po’ lo scherzo mi ero fatto accompagnare alla mia macchina da Eugenio, e tra tante altre macchine parcheggiate gli avevo chiesto qual era la mia, lui me l’aveva indicata, poi io come al solito ero saltato subito in macchina, partendo verso Modena.

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