venerdì 11 gennaio 2013

Riflessioni a margine di una crisi /1: invito a una conversazione

Boekhandel Selexyz Dominicanen - Maastricht
La nostra amica Diletta Colombo è una donna coraggiosa. Il 7 dicembre scorso, insieme a una socia, nel bel mezzo di una recessione durissima e dagli esiti ancora incerti, ha aperto a Milano, nel quartiere Isola, una libreria nuova di zecca. Con Diletta, da parecchi anni, ci scambiamo idee e opinioni, ci confrontiamo su una realtà che vediamo da punti di vista diversi, ma prossimi. Qualche giorno fa, abbiamo ricevuto un suo messaggio. Ci sembra sia di interesse generale e lo proponiamo in lettura, insieme alla nostra risposta. Se qualcuno desidera partecipare a questa conversazione, che vorremmo si aprisse anche ad altri librai, editori, distributori, bibliotecari e lettori, può commentare qui. O contattarci e inviare un pezzo con le proprie considerazioni all'indirizzo info[at]topipittori[dot]com.

Le immagini a corredo di questo post sono alcune delle venti più belle librerie del mondo (via Il Post.it)

Diletta Colombo - L'editoria italiana e il mercato librario sono in crisi. Da tempo il digitale mette in crisi la carta. La crisi economica crea una situazione di allarme.  Praticamente non si legge altro.

Atlantis Bookstore - Santorini
Proprio in questi giorni la storica libreria Hoepli mette in cassa integrazione a rotazione 60 dipendenti, la Libreria dei ragazzi è quasi in pensione, Utopia lascia largo La Foppa per trasferirsi in via Vallazze e anche la Libreria del Mondo Offeso trasloca in una zona meno commerciale, chiude la libreria antiquaria Rovello, il futuro di Milano Libri è incerto, i dipendenti Fnac sono in lotta e sul Manifesto del 5 gennaio l'ODEI (Osservatorio degli Editori Indipendenti) mette in guardia dai grandi colossi editoriali che controllano la catena distributiva, rovinando il mercato del libro e costringendo i piccoli a una vita di stenti. I Topi fanno parte di ODEI?

Bookàbar Arion Palazzo delle Esposizioni - Roma
Da giovane donna e neo-imprenditrice, mi dico che non ne posso veramente più di analisi povere, stereotipate e vecchie sull'editoria e sul mercato librario.
La realtà è molto più complessa della dicotomia imperante buono/cattivo, alla quale si tende a far corrispondere grande/piccolo (anzi, grande/indipendente).
La crisi non viene solo dalla riduzione del potere d'acquisto e dal disinvestimento statale nella cultura e nell’istruzione. E non tutto va a rotoli. Ci sono imprese che stanno provando a trasformarsi, a cambiare e a crescere investendo nelle idee, nei progetti di qualità, nelle tecnologie, in un'immagine attraente-seria e all'avanguardia e soprattutto nelle relazioni.

A livraria Lello e Irmao - Oporto
Perché le librerie, piccole o grandi, e gli editori, piccoli o grandi, hanno smesso di fare progetti?  Di porsi domande sulle trasformazioni in atto? Di curare e investire nella propria immagine e nella comunicazione come moltissime aziende avevano già fatto negli anni cinquanta e sessanta? Di selezionare prodotti di qualità? Di incentivare la formazione dei propri dipendenti? Di lavorare sullo spazio in relazione col proprio pubblico? Di risparmiare nei settori giusti e di destinare risorse in ciò che nel lungo periodo può generare reddito? Di fare analisi di mercato per differenziare l'offerta senza arrendersi ai soliti gadget e ai mini-vasetti di marmellata bio?

Capire non è facile, avere la sensibilità e l'intelligenza di cambiare ancora meno.
E la crisi c'è davvero e pesa sugli scontrini.
Ma perché chi fa accordi con Amazon per vendere i Kindle e realizza una nuova applicazione per comprare libri da iPhone, si tiene un sito antidiluviano, esteticamente improponibile, e uno spazio vecchio, poco confortevole e attraente? Non è la globalità di un progetto che fa la differenza sui risultati?
Perché i grandi editori e le grandi catene di librerie investono più energie a piangere miseria che a interrogarsi su come stiano cambiando i modelli culturali di riferimento e su che cosa chiedono "i clienti" oggi?
Forse noi tutti – editori, librai, amministratori, analisti di settore, sociologi - non ci interroghiamo abbastanza sulle ragioni per le quali il modello della grande libreria di catena in voga negli anni ottanta e novanta non è più efficiente, né efficace.

Bart's Books - Ojai, California
Forse ci dimentichiamo che in Italia sono i lettori forti a trainare l'economia del libro, non una vasta massa di lettori deboli. E da noi i lettori forti sono molto più numerosi che in Germania, dove pure una cultura penetra anche in strati più vasti della popolazione. E che questi lettori forti sono stanchi della mediocrità di molta produzione editoriale e della maggior parte dei modi in cui viene commercializzata. Forse ci dimentichiamo che le persone (e i giovani soprattutto) guardano all'estero per comprare molti libri al passo con la ricerca scientifica, economica e artistico-grafica.
Forse ci dimentichiamo del ruolo che le biblioteche potrebbero avere nel rianimare l’economia del libro.
Di questo si tende a non parlare. Si parla della crisi come di un fenomeno esogeno, un maligno deus ex machina entrato di nascosto nel regno della felicità e del benessere, contro il quale l'unica possibile difesa è il sussidio pubblico, la prebenda, il privilegio, l'affitto agevolato.
E la risposta della politica sembra essere l'offerta del privilegio, dell'affitto agevolato e non di un progetto serio e ponderato. (Per quanto già costituisca una novità che dalla politica, almeno da quella locale, venga una risposta così tempestiva).

Ler Devagar - Lisboa
Regna il silenzio sui giornali e sui blog, che sembrano essere capaci solo di sottolineare la crisi e i suoi effetti, senza sondarne approfonditamente le cause, senza cercare, studiare e far conoscere le realtà produttive e distributive  (forzatamente piccole e, perciò, forse scarsamente appetibili dal punto di vista della “notizia”) che contro questa crisi stanno tentando strade nuove.
E ancora più rimangono in silenzio quegli esempi vitali imprenditoriali che trasformano progetti in economia che potrebbero aiutare a dare nuove idee e nuovo coraggio.
Mi piacerebbe tanto che di tutto questo si iniziasse a parlare, perché di questa crisi dei libri, così come ce la raccontano, noi giovani non ne possiamo più.

Barter Books - Alnwich, UK
Paolo Canton - No, cara Diletta, non facciamo parte di ODEI. Anzi, fino a poco fa non ne sapevamo nulla. Come spesso accade, queste iniziative collettive tendono a fare un proselitismo di prossimità. Un po' come l'Associazione Italiana Editori: siamo editori da quasi dieci anni, ormai, ma non siamo mai stati contattati da qualcuno che si sia premurato di spiegarci anche solo quali vantaggi avremmo potuto ottenere dall'associarci. E così non siamo associati.
E siamo d'accordo con te. Le soluzioni alla crisi che vengono proposte e ventilate da più parti (per il comparto librario dell'editoria e la relativa catena distributiva, intendo) sono vecchie, stantie, e soffrono degli stessi mali che questa crisi hanno generato: immobilismo, conservatorismo, sospetto nei confronti del nuovo, disattenzione alla qualità della proposta (sia produttiva sia distributiva), scarsa considerazione, se non totale disistima del “cliente”, desiderio di nicchie protette e privilegi (ricordo qui che “privilegio” deriva da “privata lex”, una legge fatta ad hoc, non molto diversa dalle tanto criticate leggi ad personam).

El Ateneo - Buenos Aires
La ragione del silenzio di quelli che definisci “esempi vitali imprenditoriali” è che, come ben sai, questi sono impegnati anima e corpo, tutto il giorno di tutti i giorni, a lavorare al proprio progetto. Come te e come noi. E trovare lo spazio e il tempo per una riflessione a margine è sempre molto difficile. Serve uno stimolo forte, come il tuo, per farlo. Grazie di avercelo dato.
Ci consideriamo, orgogliosamente una di queste realtà. Nei nostri quasi nove anni di vita, con il nostro piccolo catalogo, siamo diventati voce attiva della bilancia dei pagamenti, esportatori di cultura e creatività italiana (anche se in formato tascabile), insigniti di onorificenze in Francia, beneficiari di sostegni governativi in Portogallo, invitati a rappresentare l'editoria più innovativa in Brasile, in Belgio, in Corea.

El Pendulo - Città del Messico
Il 2012 è stato il primo anno difficile della nostra breve storia. Quest'anno la voce del fatturato domestico non avrà un segno positivo. Ci salva dalla decrescita il lavoro di tessitura di relazioni all'estero (un lavoro che conduciamo da soli, senza alcun supporto istituzionale). E ci salva da un grave segno negativo il prestigio che abbiamo conquistato presso insegnanti, bibliotecari, promotori della lettura, genitori più o meno organizzati: negli ultimi tre mesi dell'anno, le nostre vendite dirette (cioè quelle effettuate fuori dal circuito delle librerie, quindi a scuole, associazioni culturali, gruppi di acquisto, biblioteche e privati) sono aumentate del 60 per cento.

P L U R A L - Bratislava
Il cavallo beve. Sono gli intermediari che non riescono a fargli arrivare l'acqua. Il nostro distributore (ALI) fa un lavoro egregio, ma si scontra con logiche e sistemi di incentivazione tanto perversi quanto consolidati. Uno fra tutti, l'incapacità di pensare a ogni editore come a un'entità separata, invece che a un frammento di un immenso catalogo indistinto da collocare in libreria, possibilmente attraverso un unico buyer che serva più librerie, per minimizzare l'impegno e ottimizzare il costo del venduto. Invece, le librerie di catena sono in fortissimo calo (compensato in parte da Amazon e da IBS, che crescono vertiginosamente). Alcune piccole realtà specializzate e non, hanno un successo incredibile in contesti difficili e ristretti, ma spesso incontrano molta difficoltà a essere riconosciute come interessanti e alimentate, sostenute dalla distribuzione.

The American Book Center - Amsterdam
Sono anche convinto che alla professionalizzazione del libraio e alla riduzione del costo del venduto possa contribuire anche la formulazione concertata di un diverso regime per le rese. Sono infatti convinto che le rese, così come sono gestite oggi, siano un'ottima scusa per perpetuare la prassi ignobile degli invii d'ufficio, un fertile terreno per piccoli ricatti (se non prendi anche A e B, non ti do le quantità che mi chiedi di C), ma anche – se non soprattutto – un fortissimo incentivo per il libraio a non selezionare l'offerta e a delegare in toto al pubblico la scelta. È, quest'ultima, una strategia suicida. Basti ricordare chi, fra i piccoli commercianti di quartiere, è sopravvissuto alla devastante orda dei supermercati, negli anni Settanta e Ottanta: solo chi ha saputo trasformarsi da vinaio a enoteca, da pizzicagnolo a salumiere (se non salumaio), da lattaio in bottega specializzata in formaggi selezionati. Anzi, sono stati proprio questi commercianti, e il loro successo di nicchia, a imporre alla grande distribuzione vere e proprie rivoluzioni di approccio, e a sostenere la crescita di tanti piccoli produttori di qualità. Perché non si dovrebbe riuscire a fare altrettanto nel mondo del libro?

The Last Bookstore - Los Angeles
Sul fronte della politica, credo che spesso si guardi dalla parte sbagliata. Non è pensabile immaginare che vengano messe a disposizione più risorse pubbliche di quelle attuali. Anzi, temo che dovremo accontentarci di qualcosa di meno. Non ho i dati sotto mano, ma credo che più del 90 per cento delle provvidenze pubbliche per l'editoria finiscano nella tasche dei quotidiani di partito e di gruppo parlamentare (che nessuno compra, neppure i pochi che li leggono) a garanzia di un pluralismo fittizio e parassita. Il resto finisce nelle tasche dei grandi editori. Un esempio per tutti è quello di Bookcity Milano, dove mi è stato riferito che le poche risorse pubbliche disponibili sono state assegnate alle grandi fondazioni che portano il nome dei marchi editoriali più importanti del paese (e spero di essere stato informato male) e tutti gli altri si sono dati da fare, autotassandosi (e qualcuno facendo pagare 12 euro per l'ingresso a una festa in una struttura museale di proprietà dei Comune di Milano ottenuta gratuitamente).

Cook&book - Bruxelles
A me sembrerebbe più utile, per salvare l'editoria libraria (tutta: quella di qualità come quella nazional-popolare) cancellare tutte le provvidenze pubbliche all'editoria e trasferire i fondi così risparmiati alle biblioteche (nazionali, comunali, scolastiche) affinché comprino libri. Magari imponendo loro per legge di acquistarli nelle librerie locali (con apposita asta, a tutela della trasparenza e della concorrenza).Questo penso varrebbe assai di più degli affitti agevolati e dei contribuiti a sostegno della bibliodiversità.
Ma è un discorso molto più complesso e articolato di questo, cara Diletta.
E le nostre sono solo due voci.

Mi piacerebbe che se ne aggiungessero altre, magari sulle pagine di questo blog.

50 commenti:

passpartù ha detto...

Discussione davvero interessante, speriamo diventi una conversazione a più voci (sarebbe anche ora, non credete?, Soli siamo niente, disse UN saggio!).
Noi iniziamo ora, e la questione delle biblioteche la stiamo affrontando a misura (piccola) nostra.
Inspiriamo e...ci tuffiamo!
Barbara&Ilaria

Ila ha detto...

E' un argomento e una discussione interessante e che mi sta molto a cuore.
Di cose da dire ne avrei molte, ma devo riordinarmele per non fare confusione e affogarci :)
In prima persona vivo "La Crisi" attuale da quando è iniziata, sulla pelle, come molti. Come singola persona, come Giovane italiana, come ex studentessa e ora Lavoratrice legata al mondo dell'editoria e del libro.
E osservo La Crisi anche da cittadina, da spettatrice, da lettrice...
Questa Crisi è economica, poltica, culturale... affonda le radici ovunque.
E fin'ora gli unici "barlumi" di possibili soluzioni, o per lo meno di azioni sane, anche se piccole, ma utili, le ho viste emergere solo da Singole e Piccole (e spesso povere economicamente parlando) Realtà.
Persone che con cuore e mani (e tanta fatica ma altrettanta determinazione) spinge via le lamentele stagnanti e si dà da fare.
Agisce. Senza troppe parole.
Io sto cercando la mia di soluzione. E pur restando sulla mia strada principale, sto provando e "curiosando" davvero ovunque.
E penso che come me ci siano mille altri giovani e non a farlo.
A novembre ho partecipato a uno dei bei corsi per librai tenuti da Centostorie, per esempio.
E ho incontrato altre persone come me. Donne per lo più.
Persone stufe di questa rassegnazione e di questa stasi ammuffita; persone che hanno voglia di fare, talenti da usare e desiderio di cambiare.
Partendo dal piccolo.
Sono ancora nel mio marasma, alla ricerca di un ordine.
La nascita di B**K è stato l'ennesimo barlume a guidarmi e a pensare "forse sto andando nella giusta direzione". Forse, finalmente, qualcosa si muove.
Ci vorrà molto tempo.
E anche questa discussione è un barlume.
Seguirò il dibattito, volentieri.
(scusate eventuali errori di battitura, ma scrivo di getto).

Ila

Topipittori ha detto...

@ Ila: scrivi «Persone stufe di questa rassegnazione e di questa stasi ammuffita; persone che hanno voglia di fare, talenti da usare e desiderio di cambiare.»
Ne abbiamo incontrate tante anche noi, di persone così. Ma che speranza potranno mai nutrire nelle proprie possibilità quando la stampa, specializzata e non, concede spazio solo a chi si lamenta, a chi fallisce, a chi chiude bottega? Anzi, rincara la dose e recita requiem per quello che, in fondo, è solo il trasloco di una libreria.
Credo che una delle cose più irritanti di questo comunicare la crisi sia l'atteggiamento conservatore, pigro e neghittoso di chi, invece di andare a cercare cose interessanti da raccontare e da leggere (tu sei giovane e non puoi ricordarlo, ma Steve Jobs e Steve Wozniak erano sulle pagine del Wall Street Journal il giorno dopo aver venduto i loro primi 50 computer in una piccola fiera di settore in uno sperduto paesetto della California) tende a concentrarsi sulla coltivazione intensiva del proprio orticello di relazioni. La stampa e i media potrebbero avere un rilievo e una forza stupefacenti nell'indirizzare le energie di chi, come te, a questa crisi non si vuole arrendere. Non sarebbe molto difficile farlo.

Ila ha detto...

No, non sarebbe difficile. Vero.
Ma chissà perchè (o forse è solo una mia impressione?) le cose che vanno bene, la "felicità" (diciamolo in modo pure sdolcinato), non parliamo poi della cultura quella buona, non fa notizia, non attrae, o per lo meno questo sembra dall'atteggiamento comune.
L'essere umano per natura dovrebbe tendere all'equilibrio... invece pare essere attirato da ciò che va giù (crisi, dolore, cronaca nera, fatti altrui possibilmente morbosi, superficialità).
Io, sarò giovane, sarò ottimista, sarò "gnucca di comprendonio" e convinta che si possa tirar fuori anche e ancora qualcosa di buono, continuo a sperare e sostenere (nel mio piccolo) i singoli e piccoli che si rimboccano le maniche.
Augurandomi che i singoli diventino tanti, una comunità, che da tanti piccoli possano formare un Uno grande con Una nuova e Propria voce che alterni le giuste notizie, belle e brutte (e magari sostituisca la voce rauca e opprimente di adesso).
L'atteggiamento della stampa&co odierna stagna. Non è nemmeno più un conservare, è un'ammuffire (e purtroppo non siamo gorgonzola!). E sopratutto non aiuta e non sostiene.
In natura, o in fisica, per continuare a vivere ci deve evolvere. Quindi i casi sono due: o si cambia o... ci vediamo alla prossima reincarnazione (ammesso che ci si creda).
Qui da cambiare non ci sarebbero solo i politici e le azioni... ma la testa del grande pubblico, il modo e la capacità di pensare autonomamente, il sentire.
C'è chi dice: la gente abbassa il suo livello perchè il mercato/la tv/etc offre solo questo. Altri dicono il contrario: ciò che offre il mercato/tv/etc è di basso livello perchè la gente vuole questo.
E' un serpente che si morde la coda; cambiare è difficile e faticoso e nessuno vuol faticare.
Che facciamo?
Il clima in questo Paese non sostiene; io non mi sento per nulla sostenuta. Ma continuo a sperare (e faticare). Per mio carattere? Può darsi. Per sopravvivenza e ostinazione? Anche.
Finchè ce la faccio, insisto. Se l'esterno non mi sostiene, mi sostengo da me e con chi la pensa come me. E non siamo pochi, solo sparsi in giro.
Qunato durerà? Lo vedremo.
Al momento presente questo è quel che posso fare.

Ila ha detto...

Aggiungo questo, a questa bella frase a proposito di chi “tende a concentrarsi sulla coltivazione intensiva del proprio orticello di relazioni”. .
"Loro", conservatori e chiusi, sono chini su un orticello stantio che dà ancora frutti, forse, e non fa stancare troppo. Un orticello che agli inizi era piccolo e nuovo...
Ma anche "Noi", con fatica, ci stiamo costruendo un sistema di orticelli... coltiviamoceli.
Ci vorrà sicuramente un sacco di tempo e di fatica, ma se valgono qualcosa, magari fra anni, ne vedremo i risultati.
:)
(scusate, mi si era perso un pezzo)

elillisa ha detto...

Mi trovo pienamente d’accordo con la riflessione della sig.ra Colombo.
E sono assolutamente certa che la proposta, per quanto ardua e difficilissima da realizzare, del sig. Dal Canton di trasferire le provvidenze pubbliche per l'editoria alle biblioteche, potrebbe dare frutti a dir poco sorprendenti.
Siamo un gruppo di mamme che un po’ di anni fa, chi per i figli, chi per programmare letture ad alta voce, chi per entrambe le cose, ha cominciato a bazzicare in maniera assidua il reparto under 12 di una biblioteca. Siamo state fortunate: abbiamo trovato scaffali fornitissimi ma, soprattutto, bibliotecarie competenti e coinvolgenti che ci hanno aperto un mondo. Bibliotecarie che, lo vediamo ogni giorno, pur con fondi quasi dimezzati si sforzano sempre e comunque di offrire il meglio alla cittadinanza: sono preparate, attente ed ogni acquisto è fatto cercando tra le novità l’eccellenza.
E noi, respirando questa attenzione e questa cura, ci siamo ritrovate a volerne sapere sempre di più, perché se è davvero il meglio che vogliamo per i nostri figli e che vogliamo trasmettere con le nostre letture ad alta voce, quando trovi chi ti indica il meglio in che direzione va, non ci pensi due volte e lo segui. Certo molti libri li prendiamo ancora in prestito in biblioteca ma, sempre spinte da questa ricerca, abbiamo imparato a conoscere e riconoscere le case editrici che “lavorano bene” , abbiamo cominciato a frequentare molte librerie indipendenti, quelle dove siamo quasi certe di trovarli quei libri delle suddette case editrici (magari esposti in prima fila!), abbiamo cominciato ad acquistare, come piccoli tesori, quegli albi così belli da far male agli occhi (cit.). E no, non siamo un gruppo di ricche signore sfaccendate, la crisi, quella dei pochi soldi, la sentiamo anche noi, solo decidiamo dove indirizzare gli acquisti una volta soddisfatte le necessità primarie della famiglia, decidiamo quale sia per noi e per gli altri il miglior regalo di Natale e di compleanno, scegliamo (e perdonate la bruta generalizzazione) se davvero ci interessa o no un ulteriore paio di scarpe, l’abbonamento ad una pay tv o lo smalto semipermanente sulle nostre unghie.
E grate a tutti questi posti virtuali (il blog di Topipittori, di Anna Castagnoli, di Prìncipi e Principi e molti altri) che con gratuità alimentano questo nostro procedere, anche noi cerchiamo di trasmettere alle persone che incontriamo “la passione, il disordine e la voluttà” verso il mondo della letteratura per l’infanzia che c’hanno così preso e non ci mollano più. E in questo scambio conosciamo altre persone, mamme e no, che si stanno muovendo nella stessa direzione.
Insomma, un circolo virtuoso.
Non siamo molte, lo so, non siamo lo specchio di tutti i possibili acquirenti nei dintorni, ma ci siamo. E siamo sempre in attesa di luoghi e progetti come Spazio b**k. A voi.

Topipittori ha detto...

@ Elilisa: è appena uscito dai nostri uffici un bibliotecario di straordinaria bravura e competenza. Ci raccontava che quest'anno il suo sistema bibliotecario dovrà farcela con 100 000 euro in meno (su 350 000 di budget dello scorso anno). Ma ci ha anche detto che non capisce per quale ragione i suoi colleghi siano tutti depressi. «Le risorse intellettuali per fare qualcosa di bello e soddisfacente le abbiamo comunque,» ci ha detto, speranzoso. Noi proveremo, nel nostro piccolo, a dargli una mano. Come fate voi, a vostro modo, con le vostre bibliotecarie.

Unknown ha detto...

Verissimo, Diletta, serve una maggiore coesione fra libreria e biblioteca. Si potrebbero ad esempio unire le risorse fra le due realtà territoriali e offrire esperienze qualificate, permettendo alla libreria di organizzare un punto vendita in biblioteca in occasione degli eventi.
Spesso, invece, si programmano eventi ripetitivi, si abusa dei lettori volontari a cui si delega un'animazione approssimativa e sovrabbondante, si programmano attività stanche e ripetitive per le scuole che non portano ad alcuna fidelizzazione alla lettura. Si dovrebbero invece offrire pochi eventi di altissima qualità, avvalendosi di professionisti. Creare curiosità sull'evento, rendendolo appetibile e desiderabile per successive programmazioni. Si deve curare l'utenza, creare un'offerta di qualità e non di massa.
Sono d'accordo con Canton: bisogna puntare alla qualità, differenziarsi, fare scelte settoriali. E' impossibile tenere in libreria l'universo mondo delle uscite editoriali, quando la velocità di rotazione dello scaffale impone una mole di uscite editoriali impossibili da contenere. Non ci si può sovrapporre all'offerta della grande distribuzione. Si deve puntare alla stessa differenza che c'è fra l'offerta del cinema d'essay e del multisala: offerta nettamente distinta, ricerca continua, stile nelle scelte. Si deve coltivare il lettore, puntando a coltivare un'estetica collta.
Diciamocelo: sul web si trova tutto a minor costo, si possono visionare capitoli in anteprima, si possono fare ricerche bibliografiche sugli autori, insomma, sapendo usare lo strumento, si potrebbe fare a meno della libreria. E allora dove sta la differenza? Nel rapporto diretto, nel fattore umano, nello scambio di informazioni non univoco libraio-cliente, ma bi direzionale, si deve intercettare il bisogno del cliente e scambiare con lui opinioni. Si deve curare investire nell'aggiornamento dei librai, nella capacità di essere accoglienti ed aperti sul territorio che si intende rappresentare.

Topipittori ha detto...

@ Sonia Basilico: scrivi «sul web si trova tutto a minor costo [...]. E allora dove sta la differenza?» A nostro avviso, sta nell'imbarazzo della scelta che, dati i livelli di produzione di novità, è davvero un imbarazzo. In una grande libreria di catena, così come nel web, il lettore è consumatore, solo davanti ala merce, che acquisisce un carattere di indistinzione per la sua sovrabbondanza e perde totalmente ogni valore. Rimane solo il prezzo. Quello che il libraio dovrebbe fare (e che Diletta ha cominciato a fare benissimo nel suo Spazio Bk) è intermediare, nel senso di mettersi in mezzo. Lo si può fare solo selezionando severamente, sulla base di un gusto e di una competenza ben formati, applicando l'intelligenza a creare percorsi, anche visivi, fra i libri proposti, accostando novità, catalogo, reminder, usato, antiquariato. In luoghi del genere il lettore si sente accolto, non abbandonato. E percepisce tutto il valore di quello che gli viene proposto. A questo punto, il prezzo è una variabile residuale.
È un lavoro massacrante. Ma qualcuno deve pur farlo.

Unknown ha detto...

Concordo in pieno, non è sostenibile per il libraio e non è interessante per il cliente trovare tutto in libreria. La selezione fatta dal libraio mi aiuta a capire chi ho di fronte, mi fa intravvedere una certa concordanza di gusti e di intetessi, e, soprattutto mi fa capire che lì impareró qualcosa, che questa frequentazione mi farà crescere culturalmente. Io vedo la missione del libraio come quella di un educatore al gusto, come in esperto che ti guida alla lettura di in inguaggio polisemico, testo e immagine, nel caso di bk. L'acquisto del libro è una conseguenza. E questo vale per qualunque livello di conoscenza abbia il cliente della libreria. Si possono coltivare lettori a partire dai primi approcci con le scelte letterarie.

Topipittori ha detto...

Vorrei aggiungere una cosa: nelle librerie di catena fino a un anno fa si è assistito a un inizio molto promettente di cambiamento nei settori ragazzi. Una metamorfosi dovuta anche dalla positiva evoluzione dell'offerta soprattutto nel comparto degli albi illustrati e a un certo fiorire di piccole librerie specializzate di successo, anche in contesti geografici non troppo favorevoli.

Molti librai giovani, usciti dalle scuole come l'Accedemia Drosselmeier o la Scuola per librai di Urbino, hanno fatto di questi settori piccoli gioielli curati e funzionanti. Oggi si avverte un'inversione di tendenza: negli un tempo pregiati settori ragazzi delle librerie Feltrinelli ristrutturati due anni fa in collaborazione con Reggio Children, regna il caos: non esiste più selezione, l'offerta è deludente, scarsa, male proposta. In un contenitore virtuoso che comunica qualità, cura, attenzione, il contenuto è mediocre, e riflette un omaggio barbaro e antidiluviano alla classifica delle vendite. Perché buttare via tante competenze e un investimento in qualità che è stato tanto apprezzabile e promettente?

alessandro riccioni ha detto...

c'è un articolo molti interessante di Antonella Agnoli sulla "crisi" delle biblioteche in Italia che, in sintesim attacca il moltiplicarsi di festival costosissimi a ricaduta minima per invitare il finanziamento dei patrimoni delle biblioteche, con ricaduta altissima, soprattutto di questi tempi. ma, è ovvio, un festival appare molto di più, ha un impatto mediatico molto più forte del lavoro faticoso, costante, rigoroso di una biblioteca. Detto questo, la depressione non fa aumentare il budget, il lavoro è anche coraggio, rischio, rete (oddio, come sono diventato serio!), e, soprattutto per un bibliotecario, un rapporto sempre attento agli utenti, alle scuole, ai genitori. la qualità del lavoro, quasi sempre, porta qualità nelle scelte. Scusate la lunghezza, ma volevo dire la mia, ale, il bibliotecario tondo...

Topipittori ha detto...

D'accordo con te e con Antonella Agnoli. D'estate in tutta Italia, dai piccolissimi ai grandi centri, si assiste a una proliferazione di eventi "culturali" e di intrattenimento, il più delle volte di pessima qualità, demenziali, di rado sorretti da un progetto o un pensiero. Ci si chiede come facciano i comuni, che lesinano fondi e personale alle biblioteche, a trovare poi le risorse per queste attività che non hanno alcuna ricaduta positiva sul lungo periodo, ma sono pensate per dare l'impressione alla popolazione di una comunità vitale. E sarebbe interessante anche sapere che costi abbia una stagione estiva media in un centro medio.

Rossana Bossù ha detto...

Io penso, e non sto certo scrivendo una gran novità, che questa sia l'epoca della sciatteria e del pressapochismo. La professionalità e la voglia, il coraggio di fare bene il proprio lavoro ormai bisogna ricercarla con il lanternino.
Mi trovo pienamente d'accordo con Diletta Colombo quando scrive:
" Ma perché chi fa accordi con Amazon per vendere i Kindle e realizza una nuova applicazione per comprare libri da iPhone, si tiene un sito antidiluviano, esteticamente improponibile, e uno spazio vecchio, poco confortevole e attraente? Non è la globalità di un progetto che fa la differenza sui risultati?"
Tante volte mi è capitato di incappare in situazioni di questo genere. Un esempio recente: qualche giorno fa sono andata a visitare la mostra di Degas alla Promotrice delle belle arti a Torino. Il percorso guidato faceva in modo che all'uscita ci si ritrovasse nel negozio di gadget in cui c'erano anche degli scaffali pieni di libri d'arte e fotografici e sorpresa delle sorprese anche uno scaffale di albi illustrati! Non faccio in tempo ad avvicinarmi con un bel sorriso stampato in faccia che mi accorgo che in mezzo a vari albi di un certo livello facevano bella mostra di sè degli albi da colorare con alberelli di Natale, princepessine e bamboline. Ora io mi chiedo: perché? Perché una caduta di stile così grossolana?
Forse perché appunto ormai, con la scusa della crisi, si tende a lavorare in maniera sciatta, a non affidare i lavori a dei professionisti perché altrimenti poi bisogna retribuirli.
Per gestire la propria immagine ci si affida al nipote che smanetta sul computer o al vicino di casa che a tempo perso progetta siti web, tanto che ci svuole, tutti siamo ormai capaci a fare tutto.
Sembra ormai di essere entrati a far parte di un circolo vizioso per cui la poca qualità, il pressapochismo portano ad una cattiva qualità in crescita esponenziale per cui ci si accontenta, si è rassegnati alla sciatteria tanto tutti fanno così.

Sono fermamente convinta, e mi trovo d'accordo con Alessandro Riccioni, che la qualità del lavoro porta qualità nelle scelte!
Certo non è facile e spesso pur resistendo con le unghie e con i denti tante volte capita di rassegnarsi e di seguire l'onda perché sembra che non ci sia possibilità di fare diversamente ma credo che già parlarne possa essere un passo avanti.

Topipittori ha detto...

@ Rossana Bossù (che, almeno per questa volta, non perde l'accento): Hai scoperchiato un vaso di Pandora di recriminazioni e lamentele. I bookshop dei musei sono uno dei comparti peggio gestiti della distribuzione libreria. A nostro parere, sono pochissimi quelli che si salvano. Fra questi in particolare, ma senza far torto ad altri, quelli gestiti da Arion alle Scuderie del Quirinale e al Palazzo delle Esposizioni a Roma. Non a caso, Arion è una micro-catena di librerie, non un editore che gestisce un punto vendita in conflitto di interessi, cercando di vendere soprattutto i propri libri, belli o brutti che siano, disattendendo completamente al servizio che dovrebbero rendere al pubblico dei visitatori, e che dovrebbe essere la sua unica priorità (e mai che l'istituzione gliene domandi ragione). Ma quello del conflitto di interessi, in questo paese, è un problema assai poco sentito, in alto come in basso, a destra come a sinistra.
Per il resto, ai tuoi commenti aggiungeremmo che questo paese, nel quale è vietato pronunciare la parola "povertà", sostituita da disagio e altri eufemismi, sta davvero scivolando nella povertà economica a causa della profondissima povertà culturale nel quale è stato fatto precipitare, per pigrizia o per strategia, senza che nessuno, per pigrizia e convenienza, se ne lamentasse. A arte uno sparuto manipolo di "noiosi parrucconi".
Un trentennio abbondante di panem et circenses che sta -vien da dire per fortuna - volgendo al termine per una mancanza di pane che rende quel tipo di companatico sempre e sempre più odioso e insopportabile a sempre più persone.

diletta ha detto...

@ Rossana Bossù molto interessante il binomio pressapochismo-qualità.
Aggiungo un esempio.
In piazza della Scala ha aperto il Cantiere del Novecento: progetto meraviglioso sia dal punto di vista architettonico, sia culturale, sia artistico. Sembra di stare in Europa, una volta tanto.
Nel progetto c'è pure una libreria da cui si può accedere direttamente dalla piazza. Eppure la libreria risalta per povertà di assortimento, banalità del catalogo, offerta quasi mono marca editoriale dello stesso gestore del bookshop, se non leggermente diversificato per 3 o 4 scelte "stilose" che danno l'idea di essere all'avanguardia.
Quindi la domanda centrale è: chi ci guadagna da questa mala gestione delle librerie e dell'editoria? Chi ci guadagna dalla non qualità? Chi ci guadagna da questo modo di raccontare la crisi?
Di esempi ne potrei fare infiniti.
Forse dovremmo iniziare da qui. Dal guardare meglio dentro le cose, dal capire che cosa sta cambiando a livello sociale, culturale, economico e tecnologico; dal guardare che cosa funziona e cresce in Italia e all'estero; dal capire chi come e perché sta rovinando il mercato del libro. Per arrivare a immaginare e creare qualcosa di nuovo.

Teresa Porcella ha detto...

Fa bene leggere questo scambio. Fa bene da molti punti di vista. Il primo è quello della convergenza di vedute tra operatori di settore. Non più tardi di 4 giorni fa, a un incontro tra editori e librai dell'area fiorentina, ho detto più o meno le stesse cose che hanno detto Diletta, Paolo e Sonia. Sebbene a distanza, dunque, le prospettive e le vedute convergono. La progettualità, le competenze, la selezione dei titoli e l'attenzione alla persone sono gli elementi che consentono a una libreria di fare la differenza. Non c'è dubbio. E la riprova l'abbiamo tutti i giorni. Ma non basta. Credo sia necessario ragionare in termini di rete tra i diversi anelli della filiera. E, soprattutto, mi pare si debba giocare un ruolo più attivo con le amministrazioni che spesso si muovono con logiche inerziali, incapaci non solo di mettere in campo, ma anche di riconoscere progettualità nuove. Su questo, francamente, credo la riflessione vada allargata. Non tutti i festival, per esempio, vengono per nuocere... A volte i festival sono il modo in cui i librai indipendenti o gli operatori culturali di zona riescono a finanziare attività nel territorio che durano mesi e mesi, riuscendo ad operare ben oltre i giorni di visibilità dichiarata... Anche questo va messo in conto: c'è festival e festival. Come va messo in conto che, laddove a livello delle istituzioni nazionali non si riesce ad incidere (e i perché sono spesso legati all'incapacità di andare oltre le logiche di categoria...), a volte ci si potrebbe riuscire a partire dalle istituzioni locali o, anche, attraverso reti NON istituzionali, trasversali alle categorie della filiera, che comprendano anche i lettori e non solo chi ha fatto del libro un mestiere (vedi il progetto Liberos in Sardegna...). Penso che i margini per muoverci in questa direzione siano ancora ampi.
Ecco, leggere questo scambio, fa bene anche come lettori. Perché credo che la cosa vera che viene fuori dagli interventi che mi hanno preceduta è che, anzitutto, le persone che scrivono sono persone che leggono e che sanno trasmettere il loro desiderio di leggere e di far leggere. E questo tipo di complicità è intesa subito da qualunque lettore del nostro paese, di qualunque provenienza culturale o geografica. Credo che, se nelle nostre librerie, negli incontri e negli eventi che proponiamo, raccontiamo più spesso (e senza mai smettere) queste verità a chi viene a comprare un libro, qualcosa cambierà. Forse sta già cambiando...

Barbara ha detto...

Mi sento in dovere di rispondere qui nelle vesti di libraia Feltrinelli che fino ad un anno fa si è occupata con amore e passione del settore ragazzi della sua libreria.
Concordo a pieno con tutti voi.
È necessario in un momento come questo attingere alle sole risorse che possono attirare i lettori in libreria: la competenza e la capacità dei librai.
Se le cosiddette 'grandi catene' non saranno in grado di fare leva sulle persone, onestamente mi sento di dire, e con amarezza, visto che lavoro per una di queste, che il futuro appare fosco all'orizzonte.
E invece i librai sono sempre meno, pochissimi direi e lasciati soli.
Qualcuno più sopra ha ben colto un pensiero anche mio rispetto alle potenzialità ormai fallimentari di un mercato editoriale sempre più generico e generalista.
Gli scaffali massificati non attirano i lettori forti.
Chi legge ha bisogno di cura, di stimoli alla curiosità e all'intelletto.
Vuole librai che sappiano condividere.
Vuole scambio di saperi. (E questo lo dico da lettrice fortissima).
Per ora, almeno nella libreria in cui lavoro, esiste ancora in piccolo margine di possibilità e voglio ancora poter pensare che noi, la gente dei libri, potrà riuscire ad influenzare la dirigenza verso un cambio di marcia.
(Io non solo sono gnucca ma sono anche ancora idealista, pur non essendo più così giovane).
Due parole sull'ormai per me faticosa diatriba catene/indipendenti:
Evviva sempre chi lotta per realtà piccole, colte e accoglienti.
Sarebbe il caso però di ricordarsi anche che quando i piccoli editori arrivano nelle librerie di 'catena' come le mia, ottengono anche visibilità e talvolta ( e non così poco spesso ) anche fatturato.
Il bellissimo 'gli uccelli' di zullo e albertine è persino stato primo per più settimane nella classifica dei libri...per ragazzi della libreria.
Libraia capace io? Mah. Non credo sia solo questo.
Di sicuro c'è solo che tutti noi, lettori, librai, bibliotecari, insegnanti 'gnucchi e idealisti abbiamo tantissimo lavoro da fare.
Con tanta stima a tutti,
Barbara

Unknown ha detto...

Brava Teresa, sono d'accordo. C'è festival e festival, e noi abbiamo il dovere di denunciare festival scatti, di suggerire idee per migliorarli. Dopo di che un festival è un evento importante che permette a tutti noi di incontrare gli autori, di capirne la bontà, anche sentendoli parlare. A me è capitato di incontrare pesone straordinarie ai festival, e per contro di scoprire autori blasonati come poco generosi e molto supponenti, e di aver compreso meglio la loro scrittura dopo l'incontro. E cosa dire dei giovani? Io porto mia nipote ai festival da anni. Ora ha 10 anni, ma per lei è sempre un'occasione conoscere di persona i suoi autori preferiti e di fidelizzarsi sempre più ai loro scritti. Questo è lo scopo della promozione della lettura: avvicinare l'utente all'autore.
Personalmente sono molto scettica sulle tesi della Agnoli, l'ho detto più volte. Non credo che portare le biblioteche vicino ai luoghi di consumo, ai luoghi di maggior frequentazione possa generare un aumento dei lettori. Si potrebbe incentivare il consumo del libro, questo sì, far lievitare le statistiche, ma questo è molto poco interessante. Ad esempio qui a Rimini, la nostra migliore libreria si trova in un vicolino buio, fuori dai luoghi di transito. Per raggiungerla devi volerlo fare. Spazio bk a Milano si trova (non a caso) nel quartiere Isola, bassissima periferia. Non ci capiti davanti, ci devi andare. E ci vai, eccome. Qualità, insomma, non volontari modello Agnoli ad animare i luoghi della cultura. Valorizzazione e formazione del personale esistente e non sostituzione con pensionati volonterosi. Sì ai Festival di qualità, dove però ci si metta in confronto con altre entità, non si faccia a gara a chi ha l'idea migliore, non ci si trinceri uno contro l'altro. Io penso che un festival possa essere anche un'occasione di confronto e di incontro sulle varie attività nazionali di promozione della lettura, uno scambio di esperienze che possa far circolare le idee e i professionisti. Sta al pubblico non accettare sbavature e approssimazioni, criticare apertamente le occasioni perse o di spreco. Forza, tocca a tutti noi!

Topipittori ha detto...

@ Barbara: grazie per la testimonianza. E rassicurati, noi Topi non siamo contrari alle librerie di catena. Anzi. Siamo solo convinti che il loro modello sia rapidamente invecchiato e che, metaforicamente, se da una parte è lodevole mettere nei supermercati i banchi del fresco, poi non li puoi riempire di scatolette e sottovuoti. Infatti, i supermercati non lo fanno. Ci domandiamo che senso abbia avuto l'investimento della tua catena nell'area ragazzi, visti i recenti sviluppi.

@ Sonia Basilico: La domanda che ci poniamo è: quanti festival di letteratura per ragazzi di qualità può reggere questa sciagurata penisola? Non bastano quelli che già ci sono e funzionano benissimo (che sono pochissimi)? Quelle risorse non sarebbero meglio spese altrimenti, a sostegno della cultura, della lettura, dei libri?

@ tutti: suggerisco di leggere questo post, che si integra a mio avviso perfettamente in questa conversazione. http://doppiozero.com/materiali/fuori-busta/speciale-librerie-sotto-dettatura-senza-rinunce
(grazie a Chiara B. per la segnalazione.

Anna ha detto...

Lettrice forte all’appello. In famiglia abbiamo: una fornita libreria, due Kindle, un iPad, un IPhone, due computer, un proiettore per i film collegato al sistema wifi della casa. Non abbiamo la televisione, non compriamo più un quotidiano di carta da circa 6 anni e seguiamo l’attualità su internet.
Se può servire, stilo il profilo del mio libraio ideale, che assomiglia molto al nuovo spazio B**K (bravissima Diletta! Anche per questo post).

Il mio libraio ideale, piccolo o grande che sia, ha uno spazio fisico che mi fa venire voglia di “stare lì”, magari all’interno della libreria c’è anche la possibilità di prendere un tè leggendo un libro. Organizza molte mostre, eventi, corsi: ma di nicchia, dove magari posso avere il privilegio di stringere la mano dell’autore (non come quelle anonime e brutte mostre che organizza la Fnac). Insomma, eventi con una dimensione umana e familiare.

Ha un sito ben fatto, pulito, efficiente, e sempre aggiornato di nuovi contenuti, dibattiti, citazioni, riflessioni, che mi fa venire voglia di tornarci spesso. Ha l'intero catalogo della sua libreria on line, continuamente aggiornato, disponibile alla vendita e all'invio con un clic: sotto ogni titolo c’è uno spazio per i commenti dei lettori e ci sono i link verso i blog o media che hanno recensito quel libro.
Le sue attività e le sue novità sono comunicate su Facebook e Twitter, e magari (ma non è indispensabile) ha anche un blog carino aggiornato ogni due/tre giorni.
Sul sito della libreria, così come sul computer a disposizione dei clienti dentro la libreria, vorrei trovare anche una selezione di e-book.
Non mi invia newsletter (che odio), ma mi conosce e conosce i miei campi di interesse, e quando entro in libreria mi chiama per nome mostrandomi una novità imperdibile.

Io ho un blog abbastanza seguito. Il mio libraio ideale riconosce il mio potere di vendita: se è piccolo e non può permettersi di dirmi grazie con la stessa generosità di Amazon, mi regala un libro ogni 5 suoi libri venduti tramite il mio blog.

Ho un blog abbastanza seguito (cifre ridicole nel mercato di internet: se io con LeFiguredeiLibri.com ho una media di 1.200 visite al giorno, un blog come Brainpickings.org ne ha 100.000 al giorno).
Come blogger sono partner di Amazon. Nell’ultimo trimestre pre-natalizio, tramite i link di libri distribuiti da Amazon che ho messo sul mio blog (pochissimi link a dire il vero, in un blog con cifre di lettori semi-ridicole), ho fatto guadagnare ad Amazon quasi 900 euro. Amazon mi ha dato il 10% di questa somma, versandomi direttamente il mio guadagno in banca. (Per informazione: con Amazon guadagno il 10% su TUTTI i prodotti che un lettore compra passando da un mio link, anche se il lettore si compra il libro che io ho consigliato + una lavatrice).

La maggior parte dei libri che scelgo e compro (ormai quasi esclusivamente su Amazon) li trovo consigliati sui blog che seguo. Clic. In 48 ore il mio libro è in casa, in un nano-secondo è sul mio kindle.

Una volta ho avuto un problema con un e-book comprato su Amazon: ho scritto ad Amazon-italia e una signorina gentilissima mi ha chiamata al telefono (in Spagna, sul cellulare spagnolo) per aiutarmi a risolvere il problema passo a passo. Non aveva per nulla fretta, abbiamo persino chiacchierato di nuovi mercati digitali: eravamo d’accordo entrambe che gli editori, limitando l’acquisto dei loro e-book a una sola nazione, non hanno ancora capito niente del nuovo mercato internazionale.

Ecco, il mio libraio ideale mi è simpatico almeno quanto Amazon.

A Parigi, durante una cena, ad un’intellettuale francese che stava per aprire una libreria, ho fatto il discorso che leggete qui sopra: per poco non si strozzava col boccone. Diventò tutta rossa in viso e mi disse che mi dovevo vergognare di quello che avevo detto. Era matta? No. Era un’intellettuale. Nonché futura libraia in bancarotta.

Grazie per questa ondata di intelligenza, cara Diletta.

diletta ha detto...

@ Sonia una precisazione: Isola non è bassissima periferia, anzi zona a metà tra corso Como e periferia bassa ma molto ambita, tanto che Boeri ci ha fatto i boschi verticali ed è in atto un cambiamento urbanistico molto significativo che ha lasciato anche molte feriti nel quartiere. ci tengo a non far mai l'elogio della periferia, nè del centro. quello che è importante è fare studi accurati sul territorio e scommettere su ciò che è in crescita o in trasformazione e soprattutto vedere chi si ha di fianco, quali reti possibili costruire a 360 gradi, su quali linee di passaggio ci si colloca. noi abbiamo scelto una strada dove camminano genitori verso una piscina, un giocattolaio, un supermercato, una libreria specializzata in fotografia ecc..

@ Anna la tua risposta è una meraviglia. nel senso che per me tutte le cose capaci di attrarre e crescere sono quelle che non hanno paura di mettere insieme cose diverse e hanno la curiosità di conoscere a tutto tondo. la società è molto più avanti delle gabbie che vogliamo metterle. la carta e il digitale si possono sposare a meraviglia (almeno per i libri illustrati, forse non egualmente per un libro di economia), un libro autoprodotto artigianalmente può stare a fianco di un libro di skira, un giornalino da 2 euro può stare di fianco a un libro da collezionisti da 1000 euro, quello che li può contenere è un progetto.
e un progetto che riesce a sostenersi economicamente. e lavorare per 10 anni (e continuare a farlo con gioia, tra l'altro) me lo ha insegnato.
le strade per cambiare sono tante, moltissime da esplorare.
ma forse bisogna proprio partire dal vedere le cose a tutto tondo, con l'obiettivo di creare un progetto preciso ma con braccia che si allungano senza paura.
e questa non è utopia, è partire dai comportamenti dei lettori forti (o possibili nuovi lettori) per trasformare idee in economia.

Barbara ha detto...

@topipittori
Pochissimo senso e infatti ho chiesto di essere sollevata da un incarico che trovavo quantomai frustrante. ( E se sono ancora qui a leggere il blog di topipittori - così come seguo tutti gli editori piccoli e grandi che sono stati capaci di farmi sognare e costruirmi un mestiere è segno che il mio amore è ancora grande:))
Mi spiace però avere fatto un discorso allargato e notare solo una gentile ma comunque pungente notarella su quella che non è la MIA azienda ma quella per cui lavoro...
L'amarezza è principalmente mia e dei miei colleghi librai da anni. Non è solo il settore ragazzi ad essere svuotato
di contenuti.
Sulle motivazioni di questo tipo di comportamento commerciale ( della sfida culturale si sono perse le tracce da tempo) non ho risposte altre che non delle supposizioni che condivido anche con i miei colleghi. Ma suggerirle qui temo non sia nè corretto nè adatto.
Quando penso ad un luogo ideale legato ai saperi ( cartacei o multimediali, usati e nuovi, passati e presenti) mi viene in mente in maniera ideale ( e pure un po' banale) una grande piazza coperta dove potersi anche sedere in silenzio.
@ Anna: non disdegno la rete per gli acquisti, sono dotata di IPad, e-reader e pc.
Eppure mi piace ancora da lettrice e da libraia sentire le voci di librai e lettori, stringere mani a chi torna ancora e ancora per farsi raccontare un libro. Toccare la carta. Tagliarmi con impossibili e idiote fascette.
Ho un blog. Scrivo, mi leggono, mi scrivono. Scrivo per una rivista.
Ma Esserci è diverso.
Sarebbe ottimo trovare una misura comune e utilizzare la rete per poi esserci anche fisicamente.
Grazie a tutt* per gli stimoli e gli spunti di riflessione che mi avete offerto
B

Topipittori ha detto...

@Barbara: ci dispiace che tu abbia percepito pungenti le nostre parole che, nell'intenzione non lo erano affatto. Ci domandiamo sinceramente, e senza alcun sarcasmo, quale sia stata la logica di questo percorso. Anche perché ci eravamo altrettanto sinceramente entusiasmati per la piega che la gestione dei reparti ragazzi della catena per la quale lavori aveva preso.
C'è stato un momento nel quale i libri dei Topipittori andavano fortissimo nelle librerie di catena. Sappiamo che era anche merito di persone appassionate e professionali come te e molti altri, oltre che di una strategia aziendale precisa. Ci era sembrato un segnale molto importante di cambiamento, anche perché, come tu sottolinei, avremmo un grandissimo bisogno (noi e i nostri colleghi editori) della visibilità che le grandi librerie possono offrirci.
Grazie di nuovo, per allora e per ora.

Piero ha detto...

Qualche dato in più sui bookshop dei musei, che ritengo un tema importante, perché ha enormi potenzialità: per i musei medio piccoli in Italia i ragazzi in età scolare rappresentano, specialmente nelle città di provincia, di gran lunga la maggior parte dei visitatori!
I musei sono solitamente istituzioni pubbliche che affidano la gestione dei loro bookshop (quando hanno appetibilità economica) attraverso una gara d'appalto ad inviti. Le società che gestiscono la stragrande maggioranza dei bookshop museali e delle mostre temporanee in Italia si contano sulle dita di una mano. Si tratta di un oligopolio che impone alle amministrazioni dei musei forme di automatismo dalle quali spesso neppure i direttori più sensibili riescono poi a sfuggire. Il settore per ragazzi rappresenta una parte secondaria dell'offerta libraria, che ha come parte centrale monografie di artisti e correnti artistiche (se si tratta di musei d'arte) o saggistica del settore museologico trattato. I gestori dei bookshop sono specializzati in questi settori, ma il "pacchetto" che forniscono è completo, e include anche, in modo più o meno curato o sciatto, il settore ragazzi.
Riuscire a scalzare questo sistema è difficile, però sono sicuro che lavorandoci si incontrerebbero, tra chi gestisce i musei, molte persone disposte a cambiare rotta.

@Anna: tutto quel che dici corrisponde al vero, che piaccia o no (povera francese).
Molto interessanti le tue rivelazioni su Amazon perché dimostrano cosa significhi saper usare (anche se in modo forse un po' spregiudicato) la enormi potenzialità della rete! La prossima volta che comprerò qualcosa dal loro sito passerò senz'altro prima da Le figure dei libri, per farti guadagnare una percentuale (sul serio!).

@Diletta: giustamente elogi Anna per la sua lucidità, però se tutti fossero come lei ("la maggior parte dei libri che scelgo e compro ormai quasi esclusivamente su Amazon") la tua libreria fallirebbe! Credo invece (ma lo sai già) che molti lettori cosiddetti forti, tra cui il sottoscritto, pur frequentando blog e siti specializzati, abbiano ancora il gusto e anzi proprio la necessità di frequentare le librerie semplicemente per poter tenere in mano i libri che comprano (magari consigliati proprio da Anna...), o anche per confrontarli con altri libri che non compreranno mai. Non mi sognerei mai di andare in libreria a leggere parti di un libro, che so, di Canetti o Bulgakov, per convincermi ad acquistarlo (e infatti li compro on-line), mentre un albo illustrato (come un libro di poesie) mi sembra quasi indispensabile poterlo sfogliare.
Inoltre molti clienti delle librerie per ragazzi sono adulti che cercano libri non destinati a loro e per i quali, senza un libraio competente e appassionato, fanno fatica a trovare un "timone" che li guidi nella scelta.
Quindi: IN BOCCA AL LUPO!

Clementina ha detto...

Mi sembra che sia stata data una visione molto chiara sulle volontà di reagire al contesto culturale e di crisi economica che si sta vivendo dal un punto di vista del libro, ed anche molto positiva. Ne ho gioito! Personalmente però ci tengo sottolineare che le voci in capitolo sono delle realtà privilegiate, già coinvolte nel mondo tecnologico e culturale del libro. Diversamente l'intervento di Antonella Agnoli mi ha entusiasmato proprio perché non si riferiva esclusivamente a queste realtà. Vedasi anche l'articolo inchiesta di Daniela Corneo sul corriere della sera "Le biblioteche, rifugio dalla crisi". Si parla di coloro che normalmente non usano il libro come strumento di benessere ne tantomeno Kindle, iPad o se ci riferiamo agli anziani (e con loro molte famiglie) addirittura il computer. Inoltre, vorrei sottolineare l'importanza sociale del volontariato, non solo come forza economica, ma come valore umano sia per chi lo opera ma anche per chi lo riceve. L'aria che si respira e si produce in questi casi è di una società migliore, vissuta non per interposta persona. Importante, però, anche in questo caso è la qualità che si produce: i volontari devono essere preparati da corsi ad hoc, così come per i malati terminali di cancro, il volontario che lo accompagna ha seguito periodicamente dei corsi di formazione che lo ha preparato a sostenere la situazione al meglio, anche negli altri campi il volontario deve avere la possibilità di essere preparato (perché non offriamo noi stessi dei corsi formativi gratuiti?).
Sono felice di sentire attorno a me tanta voglia di vivere!

Topipittori ha detto...

L'articolo del Corriere Bologna che Clementina suggerisce è http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cronaca/2013/4-gennaio-2013/biblioteche-rifugio-crisi-cosi-cultura-diventa-welfare-2113405472999.shtml#.UOrpEXZFUKN.facebook

@Piero: grazie per la sintetica analisi del comparto bookshop musei.

@ Barbara: la tua idea di"usare la rete per poi esserci, anche fisicamente" ci ha fatto venire un'idea che speriamo possa avere uno sviluppo. Vi erremo aggiornati.

Anna ha detto...

@Piero che dice: "giustamente elogi Anna per la sua lucidità, però se tutti fossero come lei ("la maggior parte dei libri che scelgo e compro ormai quasi esclusivamente su Amazon") la tua libreria fallirebbe!".

Non penso. Devo specificare che vivendo all'estero Amazon lo uso per avere libri italiani, o francesi, o inglesi. Per quelli spagnoli preferisco uscire e andare a farmi un giro nei begli spazi della libreria "Central" di Barcellona, che è una grande catena catalana, ma molto ben curata. O nella deliziosa Abracadabra, di libri illustrati.
Ne deduco che se abitassi in Italia, andrei in libreria.

Poi, per essere ancora più precisi, se devo fare un grosso ordine di libri italiani (più di 3 o 4) passo da Webster.it, che è gestito da un ragazzo che conobbi qui a Barcellona e che mi spiegò che aveva fatto questa scelta commerciale (che trovo geniale): il prezzo delle spese di invio all'estero è fisso. Circa 14 euro. Ma con quel prezzo si possono ordinare anche una tonnellata di libri.

Comunque, Piero, se passerai dai link di LFdL, grazie! Sono guadagni piccoli, ma almeno mi pago le spese di server annuali del blog e qualche libro.

@Barbara: capisco quello che dici sull'esserci, ma trovo che la rete sia anche un modo di esserci, e a suo modo caldo e vivo.

diletta ha detto...

@ Piero. Concordo pienamente sui bookshop dei musei. E' un tema a me molto caro che andrebbe portato alla luce perchè, soprattutto al centro-sud, le librerie nei musei avrebbero grandissime potenzialità.
Non sono per nulla d'accordo con la visione che se tutti comprassero da Amazon la mia libreria chiuderebbe.
Innanzitutto perchè questa stessa libreria compra libri da Amazon perchè la sua offerta, la sua velocità e i suoi prezzi sono imparagonabili rispetto a un distributore che fa ricarichi folli, è lentissimo nelle consegne dall'estero e non ti sa mai dire quando arriva un libro. Certo, devi saper comprare, sennò i libri ti rimangono perchè non li puoi rendere.
Inoltre perchè dalla cultura in rete non si può tornare indietro e il futuro sta lì dentro.
Infine sono convinta che i lettori forti (ma anche quelli deboli) sono onnivori e amano alla follia la fisicità della carta e perdono la testa per acquisti d'impulso on line o per ricerche mirate.
L'acquisto dei libri di carta ha a che fare con componenti irrazionali, di attrazione, impulso e attrazione che mai nessun pc potrà sostituire completamente, almeno per i prossimi 100 anni.
La bellezza di uno spazio e di un incontro umano, la casualità di una scoperta, il piacere di vedere e toccare un formato, un colore, di una storia vanno molto oltre internet e vivono dentro le pagine che uno incontra emotivamente per caso.
La vendita on line non spaventa per nulla BK, ci convive benissimo e, anzi, la sfrutta in mille occasioni.
Ovviamente gli acquisti variano molto a seconda del genere di riferimento (se libri illustrati, libri per ragazzi, saggistica scientifica, o narrativa).
Oltre al fatto che saper sfruttare le vendite on line ha salvato molte librerie antiquarie dal tracollo, offrendo un mercato infinito. Hoepli stessa ha puntato tutto sulle vendite on line, Ibs ha fatto partire un progetto molto interessante per far convivere librerie fisiche e on line, ancora per un po'.
Per me la sfida è tenere insieme e questo richiede fare un grosso lavoro di ricerca, scelta, selezione e offerta.

@ Clementina trovo molto più illuminati della Agnoli le recenti riflessioni di Virginia Gentilini http://nonbibliofili.wordpress.com/2012/11/23/ebookfest-sanremo-e-librinnovando-milano-i-materiali/ Magari dacci un occhio.

Unknown ha detto...

@Diletta: conosco molto bene l'evoluzione urbanistica della mia città e del quartiere Garibaldi, e quando dicevo che siete lì "non a caso", mi riferivo a questo. Dopo di che, per dirla tutta, sia il Bosco verticale che la Piazza Gae Aulenti, a 6 metri da terra, mi ricordano l'episodio di Sean Penn, interpretato da Ernest Borgnine in 11 settembre 2001: quartiere rimasto all'ombra per cosa? Per una costruzione brutta che, non ancora terminata, presenta lastricati in ardesia di spessore risibile, già sbroccolati prima dell'inaugurazione. L'opposto della qualità di cui parliamo, una grandeur prepotente e già vecchia, anche se fornita di pannelli fotovolaici e quant'altro. Ma già le premesse le avevamo viste nella nuova sede della Regione.. Comunque l'Isola avrà il suo collegamento con Brera e bon..

Unknown ha detto...

Quanto alla rete, è sì una grande risorsa, soprattutto per chi già sa cosa andarci a cercare/trovare. La rete non fa altro che amplificare quello che noi già siamo: se siamo persone scrupolose, capaci di fare ricerche mirate, ci permette di risparmiare tempo e denaro come nessun'altra cosa, ma se siamo disorientati e confusionari come spesso capita, non facciamo altro che amplificare il nostro caos, perdendoci in mille meandri con pochi risultati. In rete chi non ha grandi esperienze tende a replicare le ricerche di ciò che già conosce, senza fare grandi scatti in avanti. Una libraia ti può guidare su sentieri nuovi, sconosciuti, ti può far notare nuove tecniche di illustrazione, far saggiare la grammatura della carta, parlarti dei messaggi contenuti in certe immagini, dandoti quindi strumenti nuovi, nuove competenze che arricchiranno il tuo patrimonio, e che poi potrai continuare a condividere e ricercare in rete, perchè no? Scambio di competenze, quindi, arricchimento..

Flores ha detto...

"La stampa e i media potrebbero avere un rilievo e una forza stupefacenti nell'indirizzare le energie di chi, come te, a questa crisi non si vuole arrendere. Non sarebbe molto difficile farlo." Noi di Bibliocartina.it ci stiamo provando, ma non è vero che non è difficile. Anzi direi che è difficilissimo, visto che ormai dilaga la stampa gratuita. Il paradosso, che dice tutto delle contraddizioni in cui a fatica si tiene a galla il mondo dei media, è che un sito come il nostro che cerca di far parlare tutti gli attori, anche i più misconosciuti, del mondo editoriale, ottenga al momento l'unica - minima e risibile - fonte di introiti dall'affiliazione con Amazon.

diletta ha detto...

@ Flores colgo l'occasione per guardare il tuo blog che ammetto di non conoscere. qui http://www.bibliocartina.it/speciale-libreria-edison-il-vincolo-duso-sui-locali-nostra-unica-speranza-la-sfida-dellazionariato-popolare-ii/ un altro fenomeno interessante per parlare di crisi: i passi più lunghi della gamba di grandi aziende che investono sul vuoto, provocando tracolli che rovinano anche le parti buoni dei propri rami aziendali.

emanuela bussolati ha detto...

Il tema è sicuramente complesso per la quantità di attori che si dividono il palcoscenico.
Ma uno spettacolo appassionante non è la risultanza delle lamentele del gruppo di attori che attribuiscono al regista, alla scenografia, al collega, al pubblico… la causa della crisi del Teatro.
Anche in piena crisi del Teatro può capitare di vedere uno spettacolo appassionante, che fa ripartire la voglia di fare teatro, di andare a teatro.
Quando scoppia il cocomero asinino di colpo il frutto esplode e i semi vanno dappertutto.
Siamo in un momento di apparente appiattimento, durante il quale ogni attore pensa che siano gli altri che devono darsi da fare. È utile invece mettersi realmente in gioco, ognuno per la sua parte, calamitando altri per la convinzione stessa con cui ci si muove, si fanno proposte e progetti.
Un buon libro è il risultato di un lavoro di team in cui ogni parte lavora con le altre ma viene profondamente rispettata. Non è il lavoro di un manovratore di robot, il Mercato, che ha bisogno di protesi pubblicanti, disegnanti, scriventi, vendenti…
Dobbiamo ancora riimparare a far rete? E’ anche entusiasmante sentirsi pionieri.
L’energia dei giovani, su cui si è anche seminato tanto in questi anni, un po’ in sordina, grazie ai festival, alle Biblioteche, a molte librerie, sta emergendo nelle immagini e nei temi proposti in libri, a volte forse un po’ elitari ma indicatori di nuovi percorsi, di voglia di ricerca. Come le onde, sorge proprio quando l’energia attuale è davvero in basso ma andrà avanti perché è nella fisica dell’onda procedere. Spesso poi, chi segue l'onda, segue una moda non un’idea e lo fa in maniera poco critica. Perché non usare il pensiero? Perché non credere in una propria proposta, in un proprio stile? Perché fare come gli altri e omologare le linee editoriali?
E’ per questo disorientamento che non si vende e non si legge?
Per che cosa si legge? Per i cosiddetti “numeri” oppure per il piacere di leggere, di scegliere il proprio libro, di ricordarlo durante tutta una vita, per quell’immagine o quel testo?
Non diciamo in continuazione che la voglia di leggere figure e testi viene trasmessa condividendo questo piacere?
Allora forse dobbiamo leggere di più. Creare più circoli di lettori. Leggere ad alta voce, più che fare laboratori che spesso “coprono” la voce del libro.
Leggere e trasmettere l’entusiasmo di leggere.
Pubblicare con l’entusiasmo di pubblicare buoni libri.
Scegliere i titoli da vendere con l’entusiasmo di proporli.
Lavorare su immagini e testi col gusto di comunicare.
Per creare tutti insieme un ottimo spettacolo.
Il rapporto quantità di libri/libraio uccide il piacere della relazione tra chi vende e chi entra a comperare, base fondamentale per coinvolgere, incuriosire, dare il gusto di frugare tra gli scaffali in cerca del libro che non chiama la massa omologata ma proprio “me”, che avevo bisogno di “quel” titolo.
I soldi mancano. I politici preposti alla Cultura la dimenticano (non parliamo poi di quella che si rivolge ai ragazzi o ancor peggio ai bambini). La distribuzione strangola: da tempi infiniti le medesime lamentele. Con la differenza che si lavora sempre di più ognuno per il proprio orticello e il lavoro perde di convinzione, di rispetto, di verità.
E’ il momento di lavorare per il meglio e non per il tanto. Di dare spazio e correttezza ai rapporti di lavoro, perché si possa tutti lavorare felicemente e meglio. La creatività esige questo: al settimo giorno Dio sorrise.
Non ho esperienza da commercialista, da distributore, da stampatore, da libraio. Credo che tanti, in ognuno di questi settori, abbiano dato l’anima per far crescere la qualità e per allargare la base di quanti potessero goderne. Ma tanti si sono trovati nel gorgo dei “numeri”, nella necessità di aumentare e aumentare i titoli per alimentare un drago che poi li rigetta al macero.
Pensiamoci.
Personalmente prendo una pausa per tornare alle radici e al senso della mia scelta di “fare” libri. Sono certa di ritrovare lì la sorgente del desiderio.

Unknown ha detto...

@ anna
Ciao Anna. Purtroppo Amazon è tanto lungimirante e innovativo, quanto "maligno". Ecco il riassunto della puntata di report di dicembre 2012 dove si denuncia il fatto che Amazon non indica minimamente i dati sulle vendite né tantomeno fiscalizza in Italia per beni confezionati, venduti e a volte anche prodotti in Italia. > http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-425f93d2-fc86-4c0c-8a99-e6cc133500e3.html
Invito anche a leggere il recente appello di un piccolo editore italiano rivolto ad altri editori e ai lettori.
> http://tropicodellibro.it/notizie/amazon-editori/
In una società dove, grazie al libero mercato e alle sue logiche, si sta andando sempre di più verso una sciatteria generale dei contenuti e a una mancanza di scelta critica da parte delle persone (che stanno diventando consumatori-pecorelle) di certo un buon libraio può aiutare, e molto, l'economia editoriale, ma ti prego non dire più che "il mio libraio ideale mi è simpatico almeno quanto Amazon." perché sotto sotto c'è molto fango (sotto sotto ad Amazon intendo) :(
Ps: sia chiaro Anna, non ce l'ho con te assolutamente, solo, ragioniamoci. :)

Clementina ha detto...

@Diletta: grazie, andrò a leggermi l'articolo che mi hai suggerito.

Anna ha detto...

Ciao Patrizia,
va bene, ragioniamoci :)

..che Amazon possa essere un gigante non troppo gentile lo posso anche credere, e sarebbe interessante soprattutto riflettere sui rischi dell'omologazione della distribuzione a livello mondiale (come sulla centralizzazione dell'informazione con google), ma sul fatto che non paghi le tasse in Italia questi sono gli scoop da quattro soldi dei giornalisti italiani.
Ci sono leggi nell'Unione europea sulla libera circolazione della merce, e ci sono accordi bilaterali tra Stato e Stato.
Per ora, il fatto che Amazon paghi le tasse solo dove ha sede fiscale, cioè nello Stato del Lussemburgo, è legale grazie alla convenzione sulla doppia imposizione tra Stati membri, che permette esattamente di non pagare le tasse due volte.

E i giornalisti che puntano allo scoop (non sono riuscita a vedere il video) lo ricordano o no al pubblico di quanti soldi sta portando Amazon all'economia italiana?
O delle piccole imprese italiane che grazie ad Amazon riescono a stare a galla o ingrandirsi?

Ma no, dimentichiamocele queste notizie positive, che come ricordano Diletta e Paolo in questo post, è più conveniente continuare ad alimentare una cultura delle "emozioni di pancia", che ci faccia brontolare tutti senza darci gli strumenti per aiutarci a ragionare davvero.

E non toccatemi Amazon! :)
Secondo un'impresa come Amazon meriterebbe che si inventasse per lei sola il nobel della Genialità d'impresa.

Anna ha detto...

Refuso:
l'ultima frase inziava con
"Secondo me..."

Anna ha detto...

Aggiungo un dato interessante:
a Libri più Liberi ho assistito a una conferenza sulla lettura e i lettori di domani (molto intellettuale e poco realistica) tenuta da Agamben, Ginevra Bompiani, due scrittori e Alberto Galla presidente di ALI (Associazione Librai Italiani).
Potete leggere alcuni temi trattati su Bibliocartina:
http://www.bibliocartina.it/speciale-piu-libri-piu-liberi-ginevra-bompiani-nottetempo-meglio-non-leggere-che-leggere-50-sfumature/

Galla citava un dato interessante dell'attuale panorama delle librerie americane: le grandi catene sono in fallimento anche lì, mentre invece c'è tutto un nuovo fiorire delle librerie di quartiere, che a quanto pare non solo non hanno risentito della crisi di Amazon e dei nuovi lettori digitali, ma ne hanno beneficiato.
Forse, proprio per quel bisogno di dimensione "umana" di cui hanno parlato molti di voi e io stessa.

Unknown ha detto...

@ Anna
Ok, tu sei riuscita a rispondermi senza neanche vedere il servizio di Report... Questo articolo firmato BBC magari riesci ad aprirlo, non ci sono video: http://www.bbc.co.uk/news/business-20288077
E' anche il parlamento inglese che chiede spiegazioni ad Amazon, e non si trattava di un servizio bomba sensazionalistico quello di Report, che ti consiglio di provare a vedere quando riuscirai.
Poi, non voglio convincerti di nulla, Amazon può essere il bene o il male per uno o mille motivi, però è una corporation-multinazionale come le altre, che tu me la associ ai librai un poco mi spiazza.
Se un lettore si fida e si affida al libraio classico, magari di una piccola libreria indipendente, che gli da consigli su acquisti e nuove uscite, è proprio perché non vuole comprare nel freddo e asettico spazio di Amazon.
Poi, ripeto, non voglio convincerti, solo ampliare il dialogo, ma da come hai difeso a spada tratta Amazon non credo ci sia molto margine di dialogo. Finisco qui, sottolineando che mi chiamo Patrizio, non Patrizia :)
Ciao, buona giornata.

diletta ha detto...

@ Patrizio Concordo che bisogna sempre guardare l'altra faccia della medaglia: cioè come queste grandi multinazionali rispettano leggi, trattano e pagano i dipendenti o altro. Cfr anche Ikea!
Tuttavia, per la questione centrale qui è che se molte librerie, grandi o piccole, avessero avuto l'efficienza, la precisione, la velocità, la gentilezza, l'intelligenza, il calore (amazon non mi sembra per nulla asettico, mettiamolo a confronto con Deastore per esempio ed esce la differenza tra un sito caldo e uno freddo!), il servizio, la creatività e la capacità di cambiare di Amazon, forse non avrebbero chiuso dopo poco tempo o non avrebbero fatto così fatica a trasformarsi. Non che cambiare basti, perchè molti problemi del mercato del libro in Italia sono molto più grandi del lavoro del singolo. Ma la qualità del lavoro del singolo e la sua lungimiranza sono la base.

Anna ha detto...

@Patrizio: il mio tono è bonario quando difendo Amazon! ☺ E mi piace discuterne.
Sono riuscita a vederlo il servizio su reporter e resto ferma sul fatto che sono servizi per suscitare emozioni di pancia, non informare.
Ne è un esempio il fatto che lei ha riportato qui che Amazon non paga le tasse in Italia, quando non c'è nessuna accusa reale né commissione parlamentare che lo accusi di questo.
E che cerchi di aggirare le tasse in Inghilterra ci posso annche credere, ma non sposta il mio giudizio di fondo.

Secondo me è un presupposto sbagliato vedere in Amazon un antagonista delle piccole librerie.
Come spiega Diletta, magari è proprio Amazon che permette oggi di far sopravvivere piccole librerie o piccoli editori.
E comuqnue sta portando un enorme entrata di capitale in un paese sull'orlo del fallimento. E questo Reporter non lo dice.

Non è Amazon il responsabile del fallimento di molte catene. E’ il cambiamento sostanziale che sta avendo il mercato, i consumatori, le forme di fruizione della cultura: Amazon ha solo cavalcato l’onda, capito questo cambiamento.

Quello che molti librai non capiscono è che una grossa fetta di lettori (forti, ma anche meno forti) oggi ha bisogni nuovi.

Qualche mese fa, alla Feltrinelli, ci ho messo mezz’ora per far capire a una signorina che cercavo un libro di Wells scrittore di fantascienza e non di Wells scrittore di romanzi porno. E quando ha capito e non ha trovato il libro mi ha detto: non ce l’abbiamo. Punto.
Non mi ha detto: non ce lo abbiamo, glielo ordino, l’avrà domani (magari sarei anche tornata). L’ho raccontato qui:
http://www.lefiguredeilibri.com/2011/10/25/io-alla-feltrinelli-non-ci-entro-piu-una-riflessione-sul-futuro-dei-librai/.
E in Emilia, in una piccola libreria, un libraio mi ha mezzo insultata perché gli ho chiesto se poteva togliere il cellophane a un libro che volevo sfogliare…
E poi si lamentano che sono in bancarotta??

Io ho la sensazione che Amazon capisca i miei bisogni. E che li soddisfi. E mi sta portando un guadagno. Come fa a non essermi simpatico? Mi sto facendo intortare? Sono come uno di quei consumatori abbindolati da strategie segrete di cui parlava Packard nei Persuasori occulti?
Dovrei optare per un consumo più critico? Per cosa? Per non far fallire i librai di domani?
Non so: avrei anche dovuto continuare a fare foto su pellicola per non far fallire la Kodak? Avrei dovuto continuare a compare cd invece di ascoltare musica in streaming per non far fallire l’industria musicale?
Il modello di consumo è cambiato.
A questa nuova generazione dell’odore della carta non gliene importa più un piffero. I ragazzi affollano anonimi Starbucks al posto di piccoli caffè, perché lì c’è “connessione wifi gratis”.
Se questo i librai non lo capiscono, e non si adattano, sono destinati a fallire. E’ una rivoluzione del consumo troppo forte per fermarla con una nostalgica difesa dei “veri valori”.

E detto questo SPERO CON TUTTO IL CUORE che, come è avvenuto in America (dove sono sempre 10 anni più avanti), i piccoli librai di quartiere non siano destinati a fallire.

Topipittori ha detto...

@ Diletta e Patrizio: la questioni delle prassi operative e della deontologia degli operatori è molto interessant ee credo vada allargata. Io, per bocconiana formazione, non mi stupisco che una multinazionale cerchi di minimizzare il proprio carico fiscale. Non mi piace che lo faccia, ma non mi meraviglio. Ma non è tutto lì il problema. Credo che qualcuno, anche fra chi ha commentato questo post, potrebbe raccontarne di assai sorprendenti sul trattamento che ricevono i dipendenti delle librerie, di catena e non, della prassi diffusissima dell'evasione e dell'elusione fiscale da parte delle piccole librerie (con i relativi fuoribusta per tacitare il malcontento dei dipendenti), della altrettanto diffusa, pessima abitudine di non pagare i conti al distributore e, una volta vistosi revocare il "conto", rivolgersi all'editore per una fornitura diretta.
Ma non mi pare che sia questo il punto.
Che ci piaccia o no (e a me non dispiace), Amazon è un operatore del mercato con il quale dobbiamo fare i conti, così come dobbiamo fare i conti tutti gli altri, dalla cartolibreria che vende solo i libri della Pimpa al megastore Feltrinelli all'interno della Stazione Centrale di Milano.
Io credo che buona parte di questa crisi non derivi da cattivi comportamenti che non trovano sanzione o non generano danno reputazionale, ma dall'incapacità di riconoscere quali meccanismi e incentivi hanno cominciato ad agire in modo perverso: fino a ieri funzionavano benissimo, ma oggi non funzionano più.
E, come diceva Diletta fin dall'inizio, non credo sia solo un fatto di riduzione del potere d'acquisto.
Glio standard di servizio di Amazon, per esempio, definiscono nuovi parametri. Come fa un libraio a soddisfarli? Penso che non possa. Allora deve trovare un modo per giustificare economicamente la propria esistenza. Perché un libraio è prima di tutto un'impresa e sopravvive in questo caso. Poi, certo, il libro è una merce-non-merce (se o si tratta come tale, sennò è una merce come tutte le altre).
IIo ho trovato molto interessante il discorso di Anna-lettrice: come dovrebbe essere il mio libraio ideale? E mi domando in che modo io possa essere l'editore ideale per un libraio (fermo restando il fatto che il mio rapporto economico con lui è intermediato da un distributore). So bene come vorrei che fosse il mio distributore, perché fosse ideale. Anzi, magari adesso gli telefono e glielo dico.
C'è qualche libraio che ha voglia di telefonare a me?

Topipittori ha detto...

Mi scuso per il profluvio di refusi del commento precedente. Prometto che non lo farò più.

Flores ha detto...

Ecco una delle cose che ci siamo inventati per dare un ritratto a colori del mondo editoriale oggi: le recensioni delle librerie, e una nostra collaboratrice oggi ha recensito proprio una libreria per ragazzi, Pel di carota di Padova.
http://www.bibliocartina.it/le-recensioni-delle-librerie-pel-di-carota-un-angolo-di-padova-dedicato-ai-piu-piccoli/

Anna Pisapia ha detto...

Dibattito molto interessante. Per aggiungere altri elementi di riflessione vi segnalo - nel caso non lo aveste già letto - questo articolo uscito ieri proprio sul futuro delle librerie, che riprende alcune cose dette da Diletta Colombo.
http://www.leultime20.it/librerie-quale-futuro/

Massimo Del Papa ha detto...

Scrivo professionalmente da più di 20 anni, di recente mi sono votato all'autoproduzione in formato digitale. Non ne potevo più di libri letteralmente rovinati da piccoli editori (o sedicenti tali) e i grandi sono irraggiungibili, chiamano per cooptazione e spesso per meriti televisivi. Non ne potevo più di silenzi o di sentirmi chiedere se, per caso, non avessi un porno già pronto o almeno un vissuto personale osceno da poter vendere. Per me la crisi viaggia anche per queste assurde strade. Max Del Papa

Pietro ha detto...

@topipittori
Mi hanno segnalato questa frase: "e qualcuno facendo pagare 12 euro per l'ingresso a una festa in una struttura museale di proprietà dei Comune di Milano ottenuta gratuitamente" riferita chiaramente alla festa organizzata da Iperborea insieme ad altri editori (Instar, La nuova frontiera, minimum fax, nottetempo e Voland) al Museo della scienza e della tecnologia durante i giorni di Bookcity Milano.
Il museo è gestito da una fondazione privata e non dal Comune, e non è affatto stato messo a disposizione gratis. I sei editori hanno pagato di tasca propria a prezzi di mercato l'affitto dello spazio. Essere calunniati non è mai bello, quando a farlo sono colleghi che si stimano è ancora peggio. Un caro saluto,
Pietro Biancardi, Iperborea

Topipittori ha detto...

Alla rettifica di Pietro Biancardi abbiamo ritenuto non fosse sufficiente rispondere con un semplice commento. Trovate la nostra risposta e le nostre scuse, a lui e a voi, qui: http://topipittori.blogspot.it/2013/02/rettifiche-e-scuse.html

Unknown ha detto...

Cari Topipittori,
bello l'approccio propositivo di questo blog, che seguo sempre. Vi invito a "leggerci indietro", se vi va, perché potreste forse dire che non ovunque "regna il silenzio...". Per esempio qui: http://tropicodellibro.it/notizie/librerie-indipendenti-se-vendi-libri-ti-cancello/
A presto spero,
Francesca Santarelli
Tropico del Libro