Ogni anno l'associazione Tapirulan organizza un premio di poesia inedita. Ne abbiamo già scritto qui, in questo blog, perché in effetti questo premio ci piace: per la selezione che ogni anno viene fatta, rigorosa; per i poeti che partecipano, sorprendentemente interessanti e bravi; e per l'edizione che ogni anno viene pubblicata (che potete sfogliare qui; qui, invece, trovate quelle edite fino a oggi). Se invece volete partecipare alla prossima edizione del premio, avete tempo fino al 25 luglio: qui le informazioni. Quest'anno il titolo del concorso era Mevoj, ovvero gabbiani, e il perché di questo titolo, scelto in funzione antipoetica, lo spiega Paolo Briganti nella sua introduzione. Mentre pensavo a cosa scrivere su questa nuova edizione, non ho potuto fare a meno di ripensare ai vari concorsi di poesia a cui ho partecipato, tempo addietro, quando scrivevo di più. Insomma è andata poi che mi sono lasciata prendere, perciò oggi ho deciso di scrivere proprio di questi. In fondo i premi sono un passaggio obbligato per tutti quelli che svolgono attività/professioni creative.
Come capita pressoché a tutti quelli che scrivono poesia, c'è stato un periodo in cui partecipavo ai concorsi. Poi ho smesso: un po' perché ora scrivo poco, un po' perché dopo l'ultimo concorso a cui ho preso parte, ho deciso che sarebbe stato l'ultimo (invece, oggi, se scrivessi di più, sicuramente parteciperei al concorso di Tapirulan). Siccome quella volta fui tra i vincitori, dovetti andare alla serata di premiazione, la quale rapidamente si trasformò in una pellicola dei Fratelli Marx. Durò qualcosa come quattro ore. I giurati, tutti molto anziani, si addormentavano appena finito di parlare.
Terminate le prolusioni, ci fu una commemorazione di un assessore locale da poco defunto, con discorsi infiniti e sgrammaticati, che mi suscitarono una tale ilarità da dovermi nascondere, come accadeva sui banchi di scuola, da piccoli. Il presidente della giuria, noto letterato, a un certo punto, risvegliatosi dal torpore, furibondo, si scagliò contro il Comune e i ridicoli fondi che riservava al premio, minacciando l'abbandono della giuria (in effetti, mi ospitarono in un albergo dove, nonostante alcuni leopardi impagliati dall'allure coloniale, mancava persino la tavoletta del wc; albergo che peraltro, contro ogni logica, per quanto a buonissimo mercato, era a spese dei poeti vincitori). Nel corso della premiazione fu dato un riconoscimento alla carriera a una anzianissima poetessa, che si favoleggiava amica di D'Annunzio, il quale consisteva in una statua di marmo così pesante da far vacillare la poveretta, alla consegna, salvata in extremis da un premuroso premiato, aitante pilota di linea, accorso a tenerla in posizione verticale. A me fu consegnata una lapide di marmo con sopra inciso il mio nome in capitale quadrata: riconoscimento, per così dire, sepolcrale. Trascorsi quella serata in uno stato d'animo che alternava sconcerto, noia e ilarità. Fu così che: Basta coi concorsi, mi dissi. E così fu.
Anche se poi, a dire il vero, mi sono capitate premiazioni deliziose. A una, a Busseto, mi fu corrisposto, oltre a un assegno, un chilo di ottimo parmigiano. Nel parco della villa dove si teneva la premiazione, ci fu un bellissimo concerto di ottoni delle principali arie verdiane. Era estate, nugoli di zanzare si aggiravano, fameliche, fra i poeti. La serata si concluse a casa dell'organizzatrice: una persona squisita. Ci accolse nel suo frutteto, offrendoci lambrusco e ciliegie paradisiache. Faceva caldo, ma c'era fra noi un noto poeta, freddolosissimo, che, avvolto in un plaid, continuò, tuttavia, indomito e crudele, a spregiare noi poveri principianti. L'albergo era dignitosissimo: lindo e datato, in stile neomedievale, con stampe da scene di opere del Giuseppone. La mattina ci svegliammo e c'era, in piazza, un mercato allegrissimo. Conservo un bel ricordo di quei giorni.
In Liguria partecipai a un'altra bella premiazione. Noti poeti e letterati che facevano parte della giuria, di una gentilezza e attenzione commovente. Avevo chiesto a un'amica di accompagnarmi, la quale accettò a patto che mi accollassi le spese della trasferta: una proposta che mi parve equa. Non sapevo però che a noi si sarebbe aggiunta un'altra persona: una poetessa che ci fermammo a prendere a Bologna, la quale, inopinatamente, per tutto il viaggio non fece che manifestare il suo sommo disprezzo per i concorsi di poesia, per chi vi partecipava e, soprattutto, per chi li vinceva. Cosa che, ovviamente, mi mise in uno stato di grave imbarazzo: dovetti, tuttavia, provvedere anche alle sue spese.
Non potei fare a meno di chiedermi, in seguito, cosa l'avesse spinta a prender parte a quella gita durante la quale la sua espressione di tetra disapprovazione non cambiò mai. Al ritorno a casa, scoprii infine che il mio fidanzato di allora aveva approfittato della mia trasferta per fare inequivocabili avance a una persona a me cara. Capii così in quell'occasione che alla gloria letteraria non sempre si accompagna la felicità.
Quella giornata ebbe poi uno strascico, perché il club di notabili a cui dovevo l'assegno corrispostomi in occasione del premio, volle organizzare una serata in mio onore. Partecipai tramortita dall'agitazione e dall'imbarazzo, accompagnata dal fidanzato fedifrago (e perdonato). A quell'epoca ero afflitta da una timidezza a dir poco paralizzante, ma provai a farmi forza mettendo insieme alla bell'e meglio un piccolo repertorio poetico da leggere durante la serata. Davanti a un platea stracolma di signore e signori benvestiti e bendisposti, dopo le varie presentazioni degli organizzatori venne il mio momento. Ressi per una decina di minuti, con la voce tremante e un colorito scarlatto, finché una poesia dedicata a una persona che era mancata da poco, improvvidamente inserita nel novero delle letture, mi ruppe la voce. Scoppiai a piangere, ma proprio a piangere come un vitello, stupendo prima di tutto me stessa che tutto mi ero immaginata, fuorché un'uscita tanto esecrabile. Venne giù il teatro, come si suol dire. La platea non la smetteva più di applaudire. Rimasi basita e, in quel momento, con altrettanta assoluta stupefazione, cominciai a rendermi conto, oltre che delle inesorabili leggi dello spettacolo, dei singolari meccanismi che governano la mente umana.
Quando la serata finì, tutti coloro che erano in sala mi vollero salutare di persona. Ero molto giovane, e penso di avere scatenato in quei signori tenerezza e affetto, come fossi una loro figlia o nipote dalla personalità imperscrutabile. Ricordo che una signora mi abbracciò, dicendomi: “Lei non è come noi. Lei ha quattro occhi: due davanti e due di dietro.” Apprezzai, sentendomi un po' come una utilitaria. Dopo, col fidanzato, sul lungomare, andammo a brindare con qualcosa di molto alcolico per smaltire le forti emozioni e l'ufficialità un po' ingessata dell'evento. A quel punto mi ero rilassata e mi veniva solo molto da ridere. Ero contenta e, ripensandoci, lo sono ancora oggi.
Ecco, adesso che vi ho raccontato queste cose, perché è estate e anche questo blog risente dell'aria di vacanza e di confidenze, vi propongo due poesie dal concorso e dal libro Mevoj. Una è del vincitore e una è di Silvia Vecchini: una poesia che, fra l'altro fa parte della seconda raccolta poetica che Silvia pubblicherà con noi, In mezzo alla fiaba, con illustrazioni di Arianna Vairo (appena insignite di una honorable mention dall' annual 3x3 magazine.
E ricordatevi: se siete poeti, vi aspettano vite avventurose. Forse perché la poesia nell'opinione comune sembra appartere a un piano alto della vita, per così dire rarefatto e sublime, la vita si prende gioco di chi la pratica, mettendolo nelle situazioni più prosaiche e comiche. C'è molta saggezza in questo. E, in fondo, molta poesia.
La copertina è rigida
di Roberto Minardi
amore è la forza tranquilla
dei passi sparsi con dedizione
lungo la riva del canale: le anatre
e il loro modo sciolto di nuotare,
le pieghe e i cerchi sull'acqua,
gente che corre o che va in bicicletta,
coppie avvinghiate più o meno, ma anche
uomini e donne, da soli, sovrappensiero.
sui tetti delle barche c'è legna
e sacchi di carbone, per lo più
mentre qualcuno ha un pannello solare.
si è trasferita la barca dei libri,
che c'era fino all'altro giorno, dove
hai preso la versione per bambini
e inglese del Pinocchio di Collodi.
Il più delle volte
di Silvia Vecchini
Il più delle volte
non serve sprangare le porte
bruciare ogni fuso
vietarne il possesso, proibire l’uso
ci sarà sempre
una porticina aperta, una vecchina che fila
una scoperta
qualcosa che non sai neppure cos’è
uno sbaglio fatto apposta per te.
Non sempre, ma a volte
occorre pungersi
sanguinare un poco
dormire tutto il sonno
che viene dopo
sorbirlo come una medicina
per svegliarti diversa
da com’eri prima.
Come capita pressoché a tutti quelli che scrivono poesia, c'è stato un periodo in cui partecipavo ai concorsi. Poi ho smesso: un po' perché ora scrivo poco, un po' perché dopo l'ultimo concorso a cui ho preso parte, ho deciso che sarebbe stato l'ultimo (invece, oggi, se scrivessi di più, sicuramente parteciperei al concorso di Tapirulan). Siccome quella volta fui tra i vincitori, dovetti andare alla serata di premiazione, la quale rapidamente si trasformò in una pellicola dei Fratelli Marx. Durò qualcosa come quattro ore. I giurati, tutti molto anziani, si addormentavano appena finito di parlare.
A Tomium, di Walter Borghisani, in Mevoj. |
Boy jump, di Linda Vukaj, in Mevoj, 2014. |
In Liguria partecipai a un'altra bella premiazione. Noti poeti e letterati che facevano parte della giuria, di una gentilezza e attenzione commovente. Avevo chiesto a un'amica di accompagnarmi, la quale accettò a patto che mi accollassi le spese della trasferta: una proposta che mi parve equa. Non sapevo però che a noi si sarebbe aggiunta un'altra persona: una poetessa che ci fermammo a prendere a Bologna, la quale, inopinatamente, per tutto il viaggio non fece che manifestare il suo sommo disprezzo per i concorsi di poesia, per chi vi partecipava e, soprattutto, per chi li vinceva. Cosa che, ovviamente, mi mise in uno stato di grave imbarazzo: dovetti, tuttavia, provvedere anche alle sue spese.
Towards the light, di Nicola Fanini, in Mevoj, 2014. |
Quella giornata ebbe poi uno strascico, perché il club di notabili a cui dovevo l'assegno corrispostomi in occasione del premio, volle organizzare una serata in mio onore. Partecipai tramortita dall'agitazione e dall'imbarazzo, accompagnata dal fidanzato fedifrago (e perdonato). A quell'epoca ero afflitta da una timidezza a dir poco paralizzante, ma provai a farmi forza mettendo insieme alla bell'e meglio un piccolo repertorio poetico da leggere durante la serata. Davanti a un platea stracolma di signore e signori benvestiti e bendisposti, dopo le varie presentazioni degli organizzatori venne il mio momento. Ressi per una decina di minuti, con la voce tremante e un colorito scarlatto, finché una poesia dedicata a una persona che era mancata da poco, improvvidamente inserita nel novero delle letture, mi ruppe la voce. Scoppiai a piangere, ma proprio a piangere come un vitello, stupendo prima di tutto me stessa che tutto mi ero immaginata, fuorché un'uscita tanto esecrabile. Venne giù il teatro, come si suol dire. La platea non la smetteva più di applaudire. Rimasi basita e, in quel momento, con altrettanta assoluta stupefazione, cominciai a rendermi conto, oltre che delle inesorabili leggi dello spettacolo, dei singolari meccanismi che governano la mente umana.
Parma, biblioteca del Monastero di San Giovanni, presentazione del volume Mevoj, maggio 2014. |
Ecco, adesso che vi ho raccontato queste cose, perché è estate e anche questo blog risente dell'aria di vacanza e di confidenze, vi propongo due poesie dal concorso e dal libro Mevoj. Una è del vincitore e una è di Silvia Vecchini: una poesia che, fra l'altro fa parte della seconda raccolta poetica che Silvia pubblicherà con noi, In mezzo alla fiaba, con illustrazioni di Arianna Vairo (appena insignite di una honorable mention dall' annual 3x3 magazine.
E ricordatevi: se siete poeti, vi aspettano vite avventurose. Forse perché la poesia nell'opinione comune sembra appartere a un piano alto della vita, per così dire rarefatto e sublime, la vita si prende gioco di chi la pratica, mettendolo nelle situazioni più prosaiche e comiche. C'è molta saggezza in questo. E, in fondo, molta poesia.
La copertina è rigida
di Roberto Minardi
amore è la forza tranquilla
dei passi sparsi con dedizione
lungo la riva del canale: le anatre
e il loro modo sciolto di nuotare,
le pieghe e i cerchi sull'acqua,
gente che corre o che va in bicicletta,
coppie avvinghiate più o meno, ma anche
uomini e donne, da soli, sovrappensiero.
sui tetti delle barche c'è legna
e sacchi di carbone, per lo più
mentre qualcuno ha un pannello solare.
si è trasferita la barca dei libri,
che c'era fino all'altro giorno, dove
hai preso la versione per bambini
e inglese del Pinocchio di Collodi.
Il più delle volte
di Silvia Vecchini
Il più delle volte
non serve sprangare le porte
bruciare ogni fuso
vietarne il possesso, proibire l’uso
ci sarà sempre
una porticina aperta, una vecchina che fila
una scoperta
qualcosa che non sai neppure cos’è
uno sbaglio fatto apposta per te.
Non sempre, ma a volte
occorre pungersi
sanguinare un poco
dormire tutto il sonno
che viene dopo
sorbirlo come una medicina
per svegliarti diversa
da com’eri prima.
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