[di Leyla Vahedi]
Metà Cartastraccia durante l’estate è alle prese col problema di dover studiare (anzi solitamente chiudere, spicciarsi, produrre) per scadenze impellenti, senza avere un posto per sé, dove poter consultare libri, in cui occupare una scrivania, trovare conforto umano: una biblioteca insomma. Perché a Roma d’estate le biblioteche (quelle universitarie e la Biblioteca Nazionale) sono chiuse, o a regime talmente ridotto che definirle aperte è una beffa.
Da qualche anno, dunque, si cerca ospitalità altrove, nelle biblioteche degli altri.
Della Internationale Jugendbibliothek di Monaco, che ha sede nel romantico castello di Blutenburg, avevamo sentito parlare con entusiasmo, due per tutte: Letizia Tarantello, guru delle biblioteche per ragazzi di Roma, e Giulia Mirandola, che ce ne aveva parlato durante un corso presso Spazio BK. Detto fatto, eccoci sul treno notte e alle nove di mattina del giorno successivo siamo nel cortile del castello.
Immediatamente una voce: «Siete voi Cora e Leyla?» Ok, nei giorni precedenti, via mail ho perseguitato il personale della biblioteca, mandando liste su liste di libri storici che avrei voluto visionare. La voce è quella di Petra Wörsching, della direzione, che con molto entusiasmo e un po' di fretta - il giorno successivo si sarebbe aperto il festival White Ravens - ci ha condotto per tutto il castello, dandoci tutte le indicazioni possibili, mostrandoci armadietti, la biblioteca di studio, spiegandoci dove prenotarci per il pranzo.
Nella biblioteca di studio siamo state accolte come in un circolo di amiche di vecchia data, e ci siamo sentite proprio a casa. Due grandi scrivanie, immerse tra scaffali di libri dai quali era impossibile non essere distratte, erano riservate a nostro nome. A lle postazioni vicine, studiose di tutte le nazionalità, a cui siamo state presentate calorosamente. Tra queste, Junko Yokota, che ha praticamente messo le tende alla Jugend, e Anna Becchi, che studiava documenti e carte di Jella Lepman, mitica fondatrice della biblioteca internazionale oltre che dell’Ibby. Appena mi sono seduta, dai magazzini sono cominciati a “salire” con un montacarichi dall’aria fiabesca, una montagna di tesori, direttamente dagli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta, Sessanta… da Stati Uniti, Francia, Italia, Gran Bretagna... Il patrimonio di questa biblioteca è prodigioso.
Vorrei raccontarvi tutto: dalla meraviglia di sfogliare edizioni storiche eppure attualissime (molti libri che mi colpiscono li vedrò ripubblicati in Francia, dove tra i libri per ragazzi spopola il vintage), allo scoprire e innamorarmi dei Provensen; dal toccare con mano i libri di attività Pere Castor al guardare da vicino le incisioni di Antonio Frasconi, all'esplorare i libri di Martha Alexander, Virginia Lee Burton, Roger Duvoisin, Marcia Brown…
O ancora, dalla gentilezza delle bibliotecarie alla competenza del personale tutto, dai magazzinieri che mandavano su casse di tesori accompagnati da un foglietto con su scritto “Leyla”, a Gabriele, la bibliotecaria per ragazzi; dall’immenso tiglio al centro della corte che funge da ombrellone, panchina e punto di osservazione privilegiato, al fiume Isar dove alla fine delle giornate di studio, andavamo a pucciare i piedi, godendoci tramonti strabilianti, blocchetto di schizzi alla mano. Tutto ciò, nello stato d'animo sospeso fra l’emozione del viaggio e della scoperta e il pensiero di casa, vorrei raccontarlo mostrando un libro che mi ha fatto in particolar modo pensare a voi, ai Topi, intesi come editori e lettori: questo stormo sempre più largo di pazzi per libri e bambini. E a tutti quelli che, piccoli e grandi, amano costruire capanne e mettere radici in ogni angoletto del mondo.
Sono arrivata a questo tesoro, emerso dai magazzini interrogando il catalogo, ricercando anno per anno, nazione per nazione - ho seguito un po’ i suggerimenti di Geena Forrest, un po’ le ispirazioni di Carlo Ginzburg, che recentemente in una conferenza raccontava del lavoro d’archivio e di come aggirare anche attraverso il caso quell’ostacolo tra noi e i documenti che è il catalogo. Un libretto stretto e lungo, dalla copertina sgargiante, illustrato in bianco e nero, con tratti sottili, particolareggiati e giocosi.
Sotto la sovraccoperta, una deliziosa copertina di stoffa portava impresso un buffo disegno, piccola scoperta che è bastata, da sola, a conquistarmi e che ho subito mostrato alla bibliotecaria Nadine, che si è entusiasmata quanto me nel leggere questo libro. Parlo di A little House of Your Own, di Beatrice Schenk de Regniers e Irene Haas, pubblicato a New York nel 1954 da Harcourt, Brace and Company.
Tema: una situazione che ogni adulto conosce. Se è bello stare con gli amici, condividere le cose con gli altri, a volte abbiamo necessità di un posto tutto per noi: A Little House of Your Own, senza coetanei, senza adulti, solo con i nostri pensieri. Tema però anche immediatamente vicino ai piccoli: la passione di costruire capanne, trovare nascondigli segreti, rimpicciolirsi in cantucci o elevarsi dove nessuno ti può raggiungere, per vedere le cose da altri punti di vista: sotto il tavolo, dentro un cespuglio, dalla cima di un albero.
Quindi, un albo-galleria di piccole casette tutte per sé, catalogo fatto di parole gentili e immagini ironiche, ricco di stimoli narrativi e aperture all’avventura, e anche metafora poetica della lettura, come pratica eminentemente solitaria, ma capace di aprire sguardi e relazioni.
Il libro si apre con una affermazione decisa: «Ognuno dovrebbe avere una piccola casa tutta per sé. Ogni bambino dovrebbe avere una piccola casa tutta per sé. Ogni bambina dovrebbe avere una piccola casa tutta per sé».
Poi l’autrice prende la parola in prima persona, perché lei stessa, da piccola, amava stare sotto il tavolo, luogo segreto in cui nessuno la vedeva pur avendola vicina, in sala da pranzo: «Lo so che abiti in una casa, ma non è questo che intendo. Quando ero piccola, mia madre aveva un tavolo da pranzo. Era un tavolo tondo, apparecchiato con una tovaglia bianca lunga fino ai piedi. Ecco, quando ero piccola, vivevo sotto al tavolo. Ovviamente non tutto il tempo, ma a volte” (mia traduzione...).
Da qui, da questo ricordo che si fa immagine, comincia un elenco di posture, rifugi, posticini e situazioni che ci fanno ridere e sorridere, forse proprio grazie alla complicità che l’autrice riesce a tessere, con quel filo che da memoria infantile diventa il presente di ogni bambino.
Perché se è molto interessante mangiare con gli altri bambini la torta di compleanno, o partecipare alle letture in biblioteca, giocare a palla, a mosca cieca, a campana, con la sabbia… ogni tanto si sente il bisogno di ritagliarsi uno spazietto, in cui fare merenda col succo di frutta, leggere un albo illustrato, riflettere sulle cose.
Può essere una casetta sull’albero, ma anche un cespuglio in cui nascondersi, due sedie con una coperta sopra o una poltrona in cui affondare.
Ma può diventare una casetta tutta per sé anche un cappello a falde larghe, o un ombrello. Anche una grande scatola può funzionare, soprattutto perché poi puoi saltare fuori e far «BU!» alla gente che passa.
L’esito è tutt’altro che intimistico, non si tratta di isolarsi, ma di creare il proprio spazio, anche per capire meglio quello altrui.
Ognuno di noi ha la propria casetta tutta per sé, quindi se abbiamo letto immaginando la nostra, la storia finisce con una raccomandazione delicata: «Se passi vicino alla piccola casa tutta per sé di qualcun altro, walk softly, speak gently.»
La Internationale Jugendbibliothek è un po’ così: una piccola casa tutta per noi, in cui si passeggia e si parla dolcemente, uno spazio in cui non si dà fastidio a nessuno, in cui trovare il proprio posto, dove rincantucciarsi non per chiudere, ma per aprire orizzonti, guardare il mondo, esplorare e scoprire.
La biblioteca è come l’incontro con un bel libro, da cui ci si sente capiti e compresi in maniera speciale, personale ma che allo stesso tempo fa volare i pensieri ad altre persone, città, situazioni.
Da Monaco, città piena di luce e libri, un pensiero per i Topipittori, mentre dal magazzino sale una nuova scatola e con Cora divido una rosinen, la brioche all’uvetta.
Le illustrazioni di Irene Haas tengono insieme l’ironia e la tenerezza dei ricordi d'infanzia alla realtà esperita quotidianamente dai piccoli, sempre alla ricerca di angolini segreti dove o pensare in pace o da cui osservare il mondo, ascoltare le conversazioni degli altri senza essere visti.
E se ne volete sapere di più...
Se siete illustratori o appassionati di libri per bambini, o semplicemente genitori a cui va di andare a Monaco in vacanza (probabilmente la più bella delle città tedesche come scrive Jella Lepman), andate a visitare questo castello incantato. C’è una splendida biblioteca per ragazzi, oltre che mostre, archivi, attività, ma se volete visionare libri conservati nei magazzini o accedere alla biblioteca di studio, scrivete alle due bibliotecarie, Nadine Zimmermann e Lucia Obi.
Se siete editori, l’invio dei libri, sin dalla nascita di questa biblioteca davvero speciale, è più che benvenuto.
Se siete studenti, studiosi o ricercatori, entro il 30 settembre potete mandare una proposta di ricerca di due o tre mesi, per concorrere alle 12 borse di studio che ogni anno la biblioteca internazionale mette a disposizione e immergervi in una gran quantità di libri illustrati da tutti i paesi.
Tutte le informazioni, sul sito della Internationale Jugendbibliothek.
Molte immagini di A Little House for Your Own si trovano qui e qui. Lo stesso anno di A little House of Your Own, le due autrici danno alle stampe il rocambolesco Was it a Good Trade? che si può leggere integralmente qui.
Beatrice Schenk de Regniers (1914-2000) è una autrice e editrice scolastica americana, ha scritto il suo primo libro con Maurice Sendak, The Giant Story (Harper 1953). Beni Montresor ha vinto la Caldecott Medal illustrando il suo May I Bring a Friend? (Atheneum 1965; a questo libro il blog di Topipittori ha dedicato un post) (Ha scritto numerosissimi libri, uno che ci teniamo a segnalare è Waiting for Mama (ill. da Victoria De Larrea, Houghton Mifflin 1984).
Altri libri di Irene Hass sono The Maggie B (Margaret K. McElderry Books 1975), The Little Moon Theater (Atheneum 1981), A summertime song (Margaret K. McElderry Books 1997), Bess and Bella (Margaret K. McElderry Books 2006). Ha illustrato di S. Joslyn, There is a Dragon in My Bed (Harcourt, Brace and Company 1961) e Dear Dragon…and other useful Letter Forms for Young Ladies and Gentlemen Engaged in Everyday Correspondence (Harcourt, Brace and Company 1962).
Metà Cartastraccia durante l’estate è alle prese col problema di dover studiare (anzi solitamente chiudere, spicciarsi, produrre) per scadenze impellenti, senza avere un posto per sé, dove poter consultare libri, in cui occupare una scrivania, trovare conforto umano: una biblioteca insomma. Perché a Roma d’estate le biblioteche (quelle universitarie e la Biblioteca Nazionale) sono chiuse, o a regime talmente ridotto che definirle aperte è una beffa.
Da qualche anno, dunque, si cerca ospitalità altrove, nelle biblioteche degli altri.
Della Internationale Jugendbibliothek di Monaco, che ha sede nel romantico castello di Blutenburg, avevamo sentito parlare con entusiasmo, due per tutte: Letizia Tarantello, guru delle biblioteche per ragazzi di Roma, e Giulia Mirandola, che ce ne aveva parlato durante un corso presso Spazio BK. Detto fatto, eccoci sul treno notte e alle nove di mattina del giorno successivo siamo nel cortile del castello.
Immediatamente una voce: «Siete voi Cora e Leyla?» Ok, nei giorni precedenti, via mail ho perseguitato il personale della biblioteca, mandando liste su liste di libri storici che avrei voluto visionare. La voce è quella di Petra Wörsching, della direzione, che con molto entusiasmo e un po' di fretta - il giorno successivo si sarebbe aperto il festival White Ravens - ci ha condotto per tutto il castello, dandoci tutte le indicazioni possibili, mostrandoci armadietti, la biblioteca di studio, spiegandoci dove prenotarci per il pranzo.
Nella biblioteca di studio siamo state accolte come in un circolo di amiche di vecchia data, e ci siamo sentite proprio a casa. Due grandi scrivanie, immerse tra scaffali di libri dai quali era impossibile non essere distratte, erano riservate a nostro nome. A lle postazioni vicine, studiose di tutte le nazionalità, a cui siamo state presentate calorosamente. Tra queste, Junko Yokota, che ha praticamente messo le tende alla Jugend, e Anna Becchi, che studiava documenti e carte di Jella Lepman, mitica fondatrice della biblioteca internazionale oltre che dell’Ibby. Appena mi sono seduta, dai magazzini sono cominciati a “salire” con un montacarichi dall’aria fiabesca, una montagna di tesori, direttamente dagli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta, Sessanta… da Stati Uniti, Francia, Italia, Gran Bretagna... Il patrimonio di questa biblioteca è prodigioso.
Vorrei raccontarvi tutto: dalla meraviglia di sfogliare edizioni storiche eppure attualissime (molti libri che mi colpiscono li vedrò ripubblicati in Francia, dove tra i libri per ragazzi spopola il vintage), allo scoprire e innamorarmi dei Provensen; dal toccare con mano i libri di attività Pere Castor al guardare da vicino le incisioni di Antonio Frasconi, all'esplorare i libri di Martha Alexander, Virginia Lee Burton, Roger Duvoisin, Marcia Brown…
O ancora, dalla gentilezza delle bibliotecarie alla competenza del personale tutto, dai magazzinieri che mandavano su casse di tesori accompagnati da un foglietto con su scritto “Leyla”, a Gabriele, la bibliotecaria per ragazzi; dall’immenso tiglio al centro della corte che funge da ombrellone, panchina e punto di osservazione privilegiato, al fiume Isar dove alla fine delle giornate di studio, andavamo a pucciare i piedi, godendoci tramonti strabilianti, blocchetto di schizzi alla mano. Tutto ciò, nello stato d'animo sospeso fra l’emozione del viaggio e della scoperta e il pensiero di casa, vorrei raccontarlo mostrando un libro che mi ha fatto in particolar modo pensare a voi, ai Topi, intesi come editori e lettori: questo stormo sempre più largo di pazzi per libri e bambini. E a tutti quelli che, piccoli e grandi, amano costruire capanne e mettere radici in ogni angoletto del mondo.
Sono arrivata a questo tesoro, emerso dai magazzini interrogando il catalogo, ricercando anno per anno, nazione per nazione - ho seguito un po’ i suggerimenti di Geena Forrest, un po’ le ispirazioni di Carlo Ginzburg, che recentemente in una conferenza raccontava del lavoro d’archivio e di come aggirare anche attraverso il caso quell’ostacolo tra noi e i documenti che è il catalogo. Un libretto stretto e lungo, dalla copertina sgargiante, illustrato in bianco e nero, con tratti sottili, particolareggiati e giocosi.
Sotto la sovraccoperta, una deliziosa copertina di stoffa portava impresso un buffo disegno, piccola scoperta che è bastata, da sola, a conquistarmi e che ho subito mostrato alla bibliotecaria Nadine, che si è entusiasmata quanto me nel leggere questo libro. Parlo di A little House of Your Own, di Beatrice Schenk de Regniers e Irene Haas, pubblicato a New York nel 1954 da Harcourt, Brace and Company.
Tema: una situazione che ogni adulto conosce. Se è bello stare con gli amici, condividere le cose con gli altri, a volte abbiamo necessità di un posto tutto per noi: A Little House of Your Own, senza coetanei, senza adulti, solo con i nostri pensieri. Tema però anche immediatamente vicino ai piccoli: la passione di costruire capanne, trovare nascondigli segreti, rimpicciolirsi in cantucci o elevarsi dove nessuno ti può raggiungere, per vedere le cose da altri punti di vista: sotto il tavolo, dentro un cespuglio, dalla cima di un albero.
Quindi, un albo-galleria di piccole casette tutte per sé, catalogo fatto di parole gentili e immagini ironiche, ricco di stimoli narrativi e aperture all’avventura, e anche metafora poetica della lettura, come pratica eminentemente solitaria, ma capace di aprire sguardi e relazioni.
Il libro si apre con una affermazione decisa: «Ognuno dovrebbe avere una piccola casa tutta per sé. Ogni bambino dovrebbe avere una piccola casa tutta per sé. Ogni bambina dovrebbe avere una piccola casa tutta per sé».
Poi l’autrice prende la parola in prima persona, perché lei stessa, da piccola, amava stare sotto il tavolo, luogo segreto in cui nessuno la vedeva pur avendola vicina, in sala da pranzo: «Lo so che abiti in una casa, ma non è questo che intendo. Quando ero piccola, mia madre aveva un tavolo da pranzo. Era un tavolo tondo, apparecchiato con una tovaglia bianca lunga fino ai piedi. Ecco, quando ero piccola, vivevo sotto al tavolo. Ovviamente non tutto il tempo, ma a volte” (mia traduzione...).
Da qui, da questo ricordo che si fa immagine, comincia un elenco di posture, rifugi, posticini e situazioni che ci fanno ridere e sorridere, forse proprio grazie alla complicità che l’autrice riesce a tessere, con quel filo che da memoria infantile diventa il presente di ogni bambino.
Perché se è molto interessante mangiare con gli altri bambini la torta di compleanno, o partecipare alle letture in biblioteca, giocare a palla, a mosca cieca, a campana, con la sabbia… ogni tanto si sente il bisogno di ritagliarsi uno spazietto, in cui fare merenda col succo di frutta, leggere un albo illustrato, riflettere sulle cose.
Può essere una casetta sull’albero, ma anche un cespuglio in cui nascondersi, due sedie con una coperta sopra o una poltrona in cui affondare.
Ma può diventare una casetta tutta per sé anche un cappello a falde larghe, o un ombrello. Anche una grande scatola può funzionare, soprattutto perché poi puoi saltare fuori e far «BU!» alla gente che passa.
L’esito è tutt’altro che intimistico, non si tratta di isolarsi, ma di creare il proprio spazio, anche per capire meglio quello altrui.
Ognuno di noi ha la propria casetta tutta per sé, quindi se abbiamo letto immaginando la nostra, la storia finisce con una raccomandazione delicata: «Se passi vicino alla piccola casa tutta per sé di qualcun altro, walk softly, speak gently.»
La Internationale Jugendbibliothek è un po’ così: una piccola casa tutta per noi, in cui si passeggia e si parla dolcemente, uno spazio in cui non si dà fastidio a nessuno, in cui trovare il proprio posto, dove rincantucciarsi non per chiudere, ma per aprire orizzonti, guardare il mondo, esplorare e scoprire.
La biblioteca è come l’incontro con un bel libro, da cui ci si sente capiti e compresi in maniera speciale, personale ma che allo stesso tempo fa volare i pensieri ad altre persone, città, situazioni.
Da Monaco, città piena di luce e libri, un pensiero per i Topipittori, mentre dal magazzino sale una nuova scatola e con Cora divido una rosinen, la brioche all’uvetta.
Le illustrazioni di Irene Haas tengono insieme l’ironia e la tenerezza dei ricordi d'infanzia alla realtà esperita quotidianamente dai piccoli, sempre alla ricerca di angolini segreti dove o pensare in pace o da cui osservare il mondo, ascoltare le conversazioni degli altri senza essere visti.
E se ne volete sapere di più...
Se siete illustratori o appassionati di libri per bambini, o semplicemente genitori a cui va di andare a Monaco in vacanza (probabilmente la più bella delle città tedesche come scrive Jella Lepman), andate a visitare questo castello incantato. C’è una splendida biblioteca per ragazzi, oltre che mostre, archivi, attività, ma se volete visionare libri conservati nei magazzini o accedere alla biblioteca di studio, scrivete alle due bibliotecarie, Nadine Zimmermann e Lucia Obi.
Se siete editori, l’invio dei libri, sin dalla nascita di questa biblioteca davvero speciale, è più che benvenuto.
Se siete studenti, studiosi o ricercatori, entro il 30 settembre potete mandare una proposta di ricerca di due o tre mesi, per concorrere alle 12 borse di studio che ogni anno la biblioteca internazionale mette a disposizione e immergervi in una gran quantità di libri illustrati da tutti i paesi.
Tutte le informazioni, sul sito della Internationale Jugendbibliothek.
Molte immagini di A Little House for Your Own si trovano qui e qui. Lo stesso anno di A little House of Your Own, le due autrici danno alle stampe il rocambolesco Was it a Good Trade? che si può leggere integralmente qui.
Beatrice Schenk de Regniers (1914-2000) è una autrice e editrice scolastica americana, ha scritto il suo primo libro con Maurice Sendak, The Giant Story (Harper 1953). Beni Montresor ha vinto la Caldecott Medal illustrando il suo May I Bring a Friend? (Atheneum 1965; a questo libro il blog di Topipittori ha dedicato un post) (Ha scritto numerosissimi libri, uno che ci teniamo a segnalare è Waiting for Mama (ill. da Victoria De Larrea, Houghton Mifflin 1984).
Altri libri di Irene Hass sono The Maggie B (Margaret K. McElderry Books 1975), The Little Moon Theater (Atheneum 1981), A summertime song (Margaret K. McElderry Books 1997), Bess and Bella (Margaret K. McElderry Books 2006). Ha illustrato di S. Joslyn, There is a Dragon in My Bed (Harcourt, Brace and Company 1961) e Dear Dragon…and other useful Letter Forms for Young Ladies and Gentlemen Engaged in Everyday Correspondence (Harcourt, Brace and Company 1962).
1 commento:
interessantissimo post!
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